È morto Paolo Arvati
La Camera del Lavoro Metropolitana di Genova e la Cgil Liguria esprimono profondo cordoglio per la scomparsa del compagno e amico Paolo Arvati, stimato dirigente sindacale e studioso sensibile ai valori del lavoro. La sua dirittura morale e il rispetto per i principi democratici costituzionali, hanno sempre ispirato la sua azione in Cgil.
Arvati si avvicina al sindacato, in particolare alla FLM in qualità di docente nei corsi di formazione organizzati con le 150 ore per il diritto allo studio, conquistate con il contratto dei metalmeccanici di inizio anni '70.
Successivamente è chiamato alla Camera del Lavoro di Genova con il ruolo di responsabile dell'Ufficio Studi confederale.
Nel 1975 entra nella Segreteria del Sindacato Nazionale Scuola, dove si distingue per la tenacia e l'intransigenza con cui nelle scuole e nelle università si adopera per combattere i tentativi di infiltrazione terroristica.
Successivamente, nel 1978 diventa Segretario Generale del Sindacato Scuola, carica che ricopre sino al 1982, quando viene richiamato dalla Camera del Lavoro per assumere la responsabilità della zona Centro in quanto Segretario.
Resta in Camera del Lavoro sino al 1986, quando passa alla Segreteria della Cgil Regionale Ligure dove resta sino al 1988 anno in cui decide di lasciare l'incarico sindacale ed entrare al Comune di Genova in qualità di responsabile Ufficio Studi e Ricerche del Servizio Statistica, diventando dirigente nel 1996. Con Arvati scompare uno dei più stimati ed apprezzati intellettuali della nostra città: riconosciuto anche a livello nazionale in qualità di storico del sindacato e del movimento operaio e di Liberazione, Arvati ha lasciato innumerevoli opere, fra cui preziosi volumi sulla storia della Camera del Lavoro genovese e sulla Resistenza.
Le esequie si svolgeranno giovedì 10 novembre 2011 alle ore 10 presso la Camera del Lavoro di Genova in via San Giovanni d'Acri a Cornigliano.
(Genova, 8 novembre 2011)
 

La Fondazione Di Vittorio esprime profondo cordoglio per la scomparsa del compagno e amico Paolo Arvati, stimato dirigente sindacale e studioso sensibile ai valori del lavoro. La sua dirittura morale e il rispetto per i principi democratici costituzionali hanno sempre ispirato la sua azione in Cgil. Arvati, sociologo, si avvicina alla FLM in qualità di docente nei corsi di formazione organizzati con le 150 ore per il diritto allo studio, conquistate con il contratto dei metalmeccanici di inizio anni '70. Successivamente è chiamato alla Camera del Lavoro di Genova con il ruolo di responsabile dell'Ufficio Studi confederale.
Nel 1975 entra nella Segreteria del Sindacato Nazionale Scuola di Genova, dove si distingue per la tenacia e l'intransigenza con cui nelle scuole e nelle università si adopera per combattere i tentativi di infiltrazione terroristica. Successivamente, nel 1978 diventa Segretario Generale del Sindacato Scuola provinciale, carica che ricopre sino al 1982 quando viene richiamato nella segreteria della Camera del Lavoro genovese e assume la responsabilità della zona Centro sino al 1986 quando passa alla Segreteria della Cgil Regionale Ligure. Vi rimane sino al 1988 anno in cui decide di lasciare l'incarico sindacale ed entrare al Comune di Genova in qualità di responsabile dell' Ufficio Studi e Ricerche del Servizio Statistica, diventandone dirigente nel 1996. Ha frequentemente collaborato con la Fondazione Di Vittorio e con l'Anpi.
Con Arvati scompare uno dei più stimati ed apprezzati intellettuali genovesi apprezzato in qualità di storico del sindacato e del movimento operaio e di Liberazione anche a livello nazionale. Ha lasciato innumerevoli opere, fra cui preziosi volumi sulla storia della Camera del Lavoro genovese e sulla Resistenza.

Addio a Paolo Arvati. Nei suoi numeri tutta Genova (La Repubblica, 09/11/2011)
SE NE è andato mentre Genova vive momenti terribili. Genova, la città di cui insegnava a leggere i mutamenti e le trasformazioni profonde. Paolo Arvati aveva compiuto da poco 62 anni. Era della generazione dei ventenni che irrompe sulla scena nel Sessantotto e la passione politica, per la storia, per i libri lo hanno accompagnato per tutta la vita. Sociologo, già direttore dell' Istituto Gramsci, tra i massimi esperti di statistica a livello nazionale, docente universitario, dirigente del Comune di Genova, Paolo era un intellettuale rigoroso. Dai numeri che trasformava, anche su "la Repubblica", in persone, comportamenti collettivi, scenari sociali ed economici aveva imparato ad evitare ogni retorica e ogni condizionamento ideologico. Alcuni suoi lavori sugli stranieri, sugli anziani, sulle identità collettive sono tra i contributi più importanti all'analisi di Genova negli ultimi trent' anni. Testardamente ricordava a una politica sempre più leggera, più attenta alla presenza televisiva che al territorio, la necessità di misurarsi con la realtà. Anche per questo dopo una lunga militanza nel Pci si era progressivamente distaccato da ogni appartenenza di partito ma non dall' impegno civile. Proprio poco tempo fa, già malato, si era pronunciato a favore della candidatura di Marco Doria alle primarie. Ma, soprattutto, era la CGIL il suo riferimento. E alla Camera del Lavoro aveva anche dedicato libri e studi oggi preziosi. Per Paolo il sindacato esprimeva la centralità del lavoro come fondamento della democrazia e della crescita sociale. Idea a cui è rimasto sempre legato anche quando il lavoro che cambiava è sembrato diventare socialmente invisibile. La stessa idea che stava anche a fondamento della sua concezione riformista. Un riformismo vero, intransigente, capace di cambiare le cose e insieme di governare. Carlo Canepa e Antonio Negro insieme, per rifarsi al passato della sua Sestri Ponente. E poi il Ponente, non più città operaia, il Ponente che studiava e spiegava per aiutarne la riqualificazione, per conservarne la dignità e l' identità, e che lo legava a Franco Sartori, di cui come tanti di noi sentiva profondamente la mancanza. Paolo era questo: l'espressione della parte migliore di una storia politica diffusa di questa città. Storia di cui non aveva nostalgia, che era capace di leggere in modo disincantato, ma di cui non accettava la rimozione e la banalizzazione. Severo con sé stesso e con gli altri, ascoltato per la lucidità delle sue riflessioni che avevano sempre alle spalle la fatica dello studio, capace di intervenire per dire e non per ripetere. Come appunto la parte migliore di quella storia di cui oggi sarà più difficile riannodare i fili.
(Luca Borzani, Presidente Fondazione Palazzo Ducale)

PAOLO ARVATI - Un rito laico per il commiato
Pochi giorni fa è morto Paolo Arvati. Nell’articolo che gli dedica Luca Borzani su La Repubblica di mercoledì 9 novembre troviamo le parole che descrivono la sua opera: sociologo, direttore dell’Istituto Gramsci, esperto di statistica di livello nazionale, docente universitario, dirigente del Comune di Genova, intellettuale rigoroso, militante del Pci, ma, scrive Borzani: “soprattutto era la Cgil il suo riferimento”. Infatti era stato dirigente sindacale, nella Cgil Scuola e nella Camera del Lavoro, ma non era invecchiato nel sindacato, aveva saputo cambiare. Il suo legame col movimento sindacale e operaio però non si era mai interrotto, e si era espresso nella sua attività di ricerca storica e sociale.
Un rito laico lo ha salutato, come avevano chiesto lui e sua moglie. Il luogo, un piazzale all’aperto, quello della Camera del Lavoro di Genova.
La sfera del trascendente, del religioso, non era assente: la rappresentava un amico, sindacalista e membro della Tavola Valdese, ma si presentava sotto la forma della ricerca, della indagine etica e intellettuale, dell’interrogativo, e non sotto quella dell’affidamento e della fede.
E’ stato un rito semplice, che è riuscito a restituire l’immagine della persona che si stava salutando: una personalità limpida, e schiva, priva di qualsiasi boria; una grande intelligenza e uno stile di lavoro e di vita caratterizzato dal rigore; una inesauribile curiosità intellettuale e una costante disponibilità verso tutti.
Le persone che affollavano il cortile, dal racconto di questa vita che avevano avuto la fortuna di incrociare, ricevevano di riflesso frammenti della propria.
Nello spazio di un’ora la cerimonia si è conclusa. Tutto, mi pare, era in armonia col carattere di Arvati.
Nel momento del commiato incontro un compagno della Cgil, ora in pensione, che dice: “I riti bisognerebbe abolirli. Tutti i riti”. L’amica che è con me reagisce “No, i riti sono essenziali, anche per chi è laico. Non possiamo fare a meno dei riti!”.
Paolo Arvati ha potuto avere un luogo che ha accolto, con dignità e senso, il rito laico del suo commiato.
Ma questa è una possibilità rara, nata da una storia personale non comune.
Per la maggioranza non esistono luoghi in cui svolgere riti alternativi a quelli religiosi. Dovrebbero essere luoghi belli, diffusi in tutti i quartieri. Una città rispettosa delle storie, dei sentimenti e dei pensieri di tutti i suoi cittadini dovrebbe essere capace di crearli.
Hanno parlato di Paolo: Ilvano Bosco, segretario della Camera del Lavoro; Adriano Bertolini, membro della Tavola Valdese; Marco Doria, storico; Giorgio Ghezzi, presidente della Fondazione Di Vittorio.
(Paola Pierantoni, Osservatorio ligure sull'informazione, 16/11/2011)