Luciano Mecacci

Psicologia - Teorie e scuole di pensiero – II

il Sole 24 ore, Milano 2009

Capitolo sesto - La prospettiva storico-culturale

1. Introduzione
2. Freudo-marxismo, psicologia marxista e psicologia critica
3. La teoria storico-culturale da Vygotskij agli anni '60
4. La teoria dell'attività
Note

1. Introduzione

A partire dai primi anni '20, e in stretta relazione con le trasformazioni sociali e politiche prodotte dalla Rivoluzione bolscevica del 1917, si sviluppò una tradizione di ricerca che si proponeva di fondare una nuova psicologia sulla base dei principi del marxismo e del materialismo storico. Rispetto alle altre prospettive psicologiche maturate nei primi decenni del Novecento, questo orientamento teorico si caratterizzava quindi per una scelta filosofica di fondo che non era né il positivismo, né la fenomenologia, né il pragmatismo, ma una filosofia che - stando alle parole di Marx - aveva lo scopo non solo di conoscere il mondo, ma soprattutto quello di trasformarlo.

Questa prospettiva assume come principio di partenza che la psiche non è un'entità ideale, come la res cogitans di Descartes, ma un prodotto dell'evoluzione animale, divenuto funzionalmente sempre più complesso sotto l'influenza dei fattori storici, sociali e culturali. Si tratta quindi di una prospettiva che privilegia in primo luogo la dimensione storico-culturale nello studio della psiche umana. Allo stesso tempo, il richiamo marxiano e leninista ad una scienza che operi attivamente e concretamente per la trasformazione della società comporta che questa prospettiva sia "critica" verso concezioni ritenute conservatrici e reazionarie. Di conseguenza la verifica della teoria non si limita all'indagine empirica, ma ricerca immediatamente una ricaduta nei campo delle relazioni sociali, nel lavoro, nella scuola. Non è dunque né una psicologia da divano (psicoanalitica), né una psicologia da laboratorio (fenomenologica o comportamentistica); è una psicologia che si confronta con i problemi di carattere psicologico di un preciso contesto storico e sociale, che fa i conti con la prassi (Vygotskij dirà che "l'urto con la pratica obbliga la psicologia a una ricostruzione dei suoi principi in modo che essi reggano alla prova della pratica", 1927, P. 387). È in questo senso "prassico", che tale prospettiva si definisce "critica".

Essa, inoltre, sottolinea l'importanza che sempre più la psicologia assume nel mondo contemporaneo, in quanto scienza umana che può servire da strumento di controllo dello sviluppo psichico individuale, nel momento in cui ne stabilisce i criteri normativi. La psicologia può essere quindi una scienza al "servizio" delle classi dominanti. Può, però, essere anche una scienza che smaschera il condizionamento che la società opera sulla personalità. In tale ottica, questa tradizione di ricerca valuta positivamente la teoria freudiana come il primo tentativo esplicito di chiarificazione dei processi di condizionamento sociale della psiche, cercando altresì di inquadrarne i risultati nella più ampia concezione marxista dei rapporti tra uomo e società.

Nell'ambito della prospettiva storico-culturale possono dunque essere inclusi tutti gli studi e le ricerche compiuti per la fondazione di una psicologia critica, sulla base esplicita del marxismo e del materialismo dialettico. Si tratta spesso di contributi di gruppi minoritari nel quadro della psicologia del Novecento, ad eccezione della teoria storico-culturale sviluppatasi in Unione Sovietica. D'altronde, anche quest'ultima teoria ha avuto una scarsa influenza sulla psicologia di questo secolo: solo recentemente in Europa e negli Stati Uniti è cresciuto l'interesse verso di essa. Si deve infatti notare che la maggior parte degli psicologi che hanno adottato la prospettiva storico-culturale sono stati impegnati politicamente (spesso erano membri del Partito comunista) e hanno incontrato resistenze notevoli negli ambienti universitari tradizionali (come scrisse G. Politzer nel 1929, "è possibile confutare delle idee, ma non delle istituzioni. Ecco perché è difficile eliminare la psicologia classica").

Negli anni '20 e '30 vari psicologi cercarono di individuare i punti di incontro tra la teoria freudiana e il marxismo, con un orientamento noto come "freudo-marxismo". Il contributo più importante si deve a Wilhelm Reich, originariamente di scuola psicoanalitica. In Francia, lo psicologo Georges Politzer elaborò un programma di "psicologia concreta", dedicata allo studio della psiche dell'"uomo concreto", che cercava di riprendere alcuni elementi innovatori della psicoanalisi. L'assimilazione teorica più profonda e articolata del pensiero freudiano, comunque, fu compiuta dalla "scuola di Francoforte" negli anni tra le due guerre mondiali. Un duro attacco alla psicoanalisi fu invece sferrato negli anni '30 dagli psicologi sovietici rigidamente fedeli ai principi del materialismo storico-dialettico, per i quali il "freudismo" era una "psicologia borghese" essenzialmente idealistica.

Un'interessante concezione "dialettica" dello sviluppo psichico infantile fu elaborata negli anni tra le due guerre mondiali dallo psicologo francese Henri Wallon. Una ripresa della psicologia critica si è avuta negli anni della contestazione studentesca, dopo il 1968, soprattutto nell'università di Berlino. Il movimento della "psicologia critica", il cui massimo esponente è stato Klaus Holzkamp, si richiamava sia alla tradizione marxista che alla teoria storico-culturale sovietica.

La teoria storico-culturale, fondata dallo psicologo sovietico Lev S. Vygotskij verso la metà degli anni '20, fu sviluppata nei primi anni '30 dallo stesso Vygotskij e dai suoi allievi e collaboratori, tra i quali Aleksej N. Leont'ev. Questi, negli anni '40, elaborò una nuova teoria, oggi nota come "teoria dell'attività". Il concetto di attività era stato riconosciuto come centrale anche dall'altro importante psicologo sovietico Sergei L. Rubinstejn, che criticò la teoria vygotskijana per non aver considerato adeguatamente il momento della prassi nello sviluppo dei processi psichici. Dopo le critiche degli anni '30, la teoria storico-culturale vygotskijana ha incontrato un nuovo interesse negli anni '60 e '70 e, nella versione della teoria dell'attività, ha suscitato ricerche e dibattiti in Europa e negli Stati Uniti dalla metà degli anni '80 in poi.

2. Freudo-marxismo, psicologia marxista e psicologia critica

Il problema dei rapporti tra psicologia e marxismo si pose immediatamente dopo la rivoluzione del 1917 tra gli psicologi sovietici. Il libro collettaneo Psicologia e marxismo, curato da Konstantin N. Kornilov nel 1925, rappresenta il primo contributo sistematico nell'ambito del progetto sviluppatosi in quegli anni per la fondazione di una psicologia marxista. In quel libro venivano analizzate le teorie psicologiche contemporanee e se ne riscontrava l'accordo con i principi del materialismo storico e del materialismo dialettico, la cui conoscenza veniva approfondendosi con la pubblicazione, in quel periodo, di nuovi testi: La dialettica della natura di Engels nel 1925, i Quaderni filosofici di Lenin nel 1929-30, i Manoscritti economico-filosofici di Marx nel 1932. Tra le teorie psicologiche, quella che incontrò maggiore attenzione fu la psicoanalisi, cui Lurija dedicò il saggio La psicoanalisi come sistema di psicologia monistica, incluso nel libro sopra citato del 1925. La psicoanalisi appariva, secondo Lurija, come la teoria che considerava lo sviluppo psichico come condizionato contemporaneamente da fattori biologici e fattori sociali. Era, in questo senso, una teoria "monistica" della psiche; una teoria che riconosceva unitariamente i fondamenti materiali (biologici e sociali) dei processi psichici. Il dibattito sulle caratteristiche ideologiche della psicoanalisi e la loro adeguatezza ad una concezione marxista dell'uomo e della società continuò nella seconda metà degli anni '20, portando gradualmente alla scomparsa del movimento psicoanalitico russo nei primi anni '30.

Nel dibattito sul rapporto tra psicoanalisi e marxismo in Russia intervennero, oltre a Lurija con il suo saggio del 1925, vari altri psicologi tra cui B. Bychovskij (Sui fondamenti metodologici della teoria psicoanalitica di Freud, 1923), A.V. Zalkind (Freudismo e marxismo, 1924), V. Jurinets (Freudismo e marxismo, 1924), B.D. Fridman (Le concezioni psicologiche fondamentali di Freud e la teoria del materialismo storico, 1925), V.N. Volosinov con il libro Freudismo del 1927, I.D. Sapir (Freudismo e marxismo, 1926; Freudismo, sociologia, psicologia, 1929). Nel saggio del 1929 Sapir esprimeva una critica netta nei confronti del "freudismo", considerato come una nuova concezione borghese che riduceva il mondo psichico umano a forze biologiche innate, senza tener conto adeguatamente dei fattori sociali. Questo saggio, come molti altri sul rapporto tra freudismo e marxismo, era apparso sulla rivista "Sotto la bandiera del marxismo” - di cui esisteva una versione tedesca con lo stesso titolo "Unter dem Banner des Marxismus" - un periodico molto importante in quel tempo per i dibattiti sulla cultura e la scienza contemporanea nell'ottica marxista. L'articolo di Sapir era una risposta ad un articolo di W. Reich1 apparso nello stesso anno con il titolo Materialismo dialettico e psicoanalisi, a sua volta una replica all'articolo del 1924 di Jurinets.

Nel suo saggio del 1929, scritto quando era ancora membro dell'Associazione psicoanalitica internazionale, Wilhelm Reich (1897-1957) sosteneva che la psicoanalisi non rappresentava una visione del mondo, una nuova filosofia, ma uno specifico metodo di studio e terapia dei processi psichici. Mentre il marxismo si occupava dei fenomeni sociali e collettivi (movimenti di massa, politiche, riforme, ecc.), la psicoanalisi si interessava dei fenomeni psichici dell'uomo "singolo", seppure immerso in una rete di rapporti e relazioni sociali. Tuttavia, questa stessa struttura sociale determina l'organizzazione della vita psichica individuale: diverse sono le strutture sociali (e la cultura che esse esprimono), diversi sono i condizionamenti cui deve sottostare lo sviluppo psichico. Il Super-io non è quindi per Reich una entità astratta della psiche, ma il complesso dei valori e delle norme che la famiglia trasmette al proprio figlio e che, a sua volta, essa ha ricevuto dallo specifico contesto socio-culturale in cui vive. Il contributo della psicoanalisi al marxismo consiste dunque, per Reich, nella descrizione dei processi attraverso i quali una determinata società condiziona un determinato individuo. Il complesso di Edipo, ad esempio, è per Reich un processo di formazione della psiche individuale valido per una particolare società, che non può essere generalizzato ad altre società.

La relatività socioculturale del complesso di Edipo era già stata documentata dall'antropologo Bronislaw Malinowski (1884-1942) nella sua opera Sex and repression in savage society (1927), cui Reich si riferiva. L'aspetto fondamentale sottolineato da Reich nella sua analisi è la tesi secondo la quale la società borghese non solo condiziona genericamente la psiche, ma reprime specificamente la pulsione sessuale. L'attacco sferrato da più parti alla teoria freudiana dipendeva appunto - per Reich - dalla minaccia che la società borghese vedeva in essa in quanto capace di smascherare il meccanismo basilare di controllo degli individui. Reich svilupperà la sua tesi nelle opere successive (Analisi del carattere, 1933; Psicologia di massa del fascismo, 1933), che lo porteranno da una parte ad un impegno sociale e politico sempre più diretto (fino a divenire membro del Partito comunista tedesco) e, dall’altra, ad abbandonare il movimento psicoanalitico.

Tema centrale della teoria di Reich diventò la formazione del carattere, da lui vista come la progressiva costruzione di una "corazza", una sorta di gabbia entro la quale è compressa l'energia sessuale. La sessualità, impedita nelle sue libere manifestazioni, produce un comportamento nevrotico o genera malattie psicosomatiche. Anche in riferimento alle nuove esperienze educative attuate in Unione Sovietica, come l'Asilo di Vera Schmidt, Reich propose un progetto rivoluzionario di educazione psicologica, centrata sulla sessualità vissuta liberamente, senza le costrizioni della società (La rivoluzione sessuale, 1936). L'esigenza di una nuova educazione sessuale fu avvertita da Reich durante la sua attività nei centri di igiene sessuale da lui fondati, dove ebbe modo di conoscere direttamente i problemi sessuali di uomini e donne del proletariato (la "miseria sessuale delle masse”, come egli diceva). Attorno alle tesi di Reich e al freudo-marxismo si svolse un articolato dibattito sulla "Zeitschrift für politische Psychologie und Sexualöekonomie", fondata nel 1934, cui contribuì anche Otto Fenichel, che avrebbe rappresentato in seguito, negli Stati Uniti, la "sinistra freudiana".

Negli stessi anni, in Germania, si realizzò un altro importante progetto di integrazione tra la psicoanalisi e il marxismo presso 1'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, fondato nel 1923. I due membri più importanti furono i filosofi Max Horkheimer (1895-1973) e Theodor W. Adorno (1903-69), cui si affiancarono altri noti protagonisti della cultura di questo secolo: il filosofo Herbert Marcuse, gli psicologi Erich Fromm, Bruno Betteiheim e Marie Jahoda, lo scrittore e letterato Walter Benjamin, ecc. Con l'avvento del nazismo, i membri dell'istituto, in gran parte ebrei e socialisti, emigrarono negli Stati Uniti. Nel 1950 l'Istituto fu di nuovo riaperto a Francoforte. Le indagini svolte dalla "scuola di Francoforte" si concentrarono in partenza sui processi e le strutture sociali che mediano la trasmissione dei valori e delle regole di una determinata società. "Teoria critica" fu chiamata l'impostazione della scuola di Francoforte, per la quale l'indagine conoscitiva sulla società contemporanea deve unirsi ad un progetto di trasformazione sociale e civile. Oggetto principale di indagine fu la famiglia, in quanto cardine di questa trasmissione del sociale nell'individuale (Studi sull'autorità e la famiglia, a cura di Max Horkheimer, 1936).

Dopo l'emigrazione negli Stati Uniti, i membri della scuola di Francoforte hanno continuato le loro ricerche sulla problematica precedente (fondamentale la monografia del 1950, The authoritarian personality, di T. W. Adorno e coli.), ma attenuando gli aspetti marxisti e rivoluzionari presenti nei contributi del periodo francofortese. Sostanzialmente, si approdava così ad una concezione utopistica di una società nuova, che avrebbe dovuto fondarsi sull'amore e non sull'aggressività (Erich Fromm, The anatomy of human destructiveness, 1973), sulla liberazione della libido contro la repressione che su di essa esercita la società (H. Marcuse, Eros e civiltà, 1955); per un uomo libero e creativo contro un uomo ridotto a produttore-consumatore nell'ingranaggio della società industriale (H. Marcuse, One-dimensional man, 1964). Le opere di Herbert Marcuse (1898-1979) hanno avuto una notevole influenza sui movimenti di contestazione del '68 e sulla nascita di quella che Jurgen Habermas ha definito una "soggettività ribelle" negli anni del "Termidoro psichico".

L'incontro tra psicologia e marxismo non è stato altrettanto articolato e profondo negli altri paesi europei occidentali quanto in Austria e in Germania tra le due guerre mondiali. Tuttavia il contributo francese si presenta ricco di spunti originali e di risultati preziosi, forse più sul piano ideologico-politico che su quello strettamente conoscitivo. Una critica radicale allo a-storicismo della psicologia scientifica sorta nei laboratori della fine dell'Ottocento fu elaborata da Georges Politzer2 (1903-42), filosofo e psicologo, membro del Partito comunista francese. Per Politzer, il limite maggiore della psicologia contemporanea consisteva nello studio di una psiche universale e astratta, senza considerare le specifiche condizioni sociali e culturali in cui agisce. Il merito della psicoanalisi era stato, per Politzer, quello di aver restituito all'indagine psicologica l'individuo nella sua unicità storica, che era il vero oggetto della "psicologia concreta" da lui auspicata (e alla quale intitolò la "Revue de psychologie concrète"). "Ora, è precisamente con la psicoanalisi che, per la prima volta, tende a costituirsi una vera psicologia. Prima della psicoanalisi, la psicologia era sempre rimasta o al di qua o al di là dell'uomo concreto", scriveva Politzer nel 1925 (1924-39, p. 59).

La critica alla psicoanalisi di non essere una scienza, ma una sorta di "romanzo" della psiche non segnava per Politzer un punto negativo, in quanto, dopo le concezioni astratte dell'uomo-materia o dell'uomo-spirito, la psicoanalisi era appunto una adeguata rappresentazione dell'"uomo-attore" che agisce in un mondo concreto. Politzer si riferiva alla vita psichica esattamente come a un "dramma". Questo dramma era stato studiato in modo riduttivo dalle scienze naturali, che si erano limitate a indagare la struttura, gli elementi in gioco, la sequenza d'azione (la "messa in scena del materiale del dramma"), ma non il significato del "dramma recitato", accessibile solo alle scienze morali (economia, politica, ecc.) e alla psicologia, che avrebbe inserito nella considerazione "morale" dei rapporti interpersonali il fattore irriducibile dell'individuo. Per Politzer, questa individualità doveva essere riconquistata attraverso un programma di interventi psicologici nelle scuole, nell'ambiente di lavoro, nei consultori, in opposizione alla repressione esercitata dalla classe dominante che impone ciò cui "il 'popolo' deve credere affinché un certo regime sociale possa sussistere" (1924-39, p.138).

Un altro esempio di integrazione tra psicologia e marxismo è rappresentato dall'opera di Henri Wallon3 (1879-1962), psicologo francese eccentrico rispetto al mondo accademico ufficiale, anche lui membro del Partito comunista. Nelle sue opere di psicologia dello sviluppo (Les origines du caractère chez l'enfant, 1934; L 'évolution psychologique de l'enfant, 1941; Les origines de la pensée chez l'enfant, 1945), Wallon sostiene una concezione "dialettica" della psiche, per la quale la psiche umana è il prodotto di una interazione dinamica tra fattori biologici e sociali durante lo sviluppo infantile. Alla finezza delle analisi dello sviluppo dei processi psichici più complessi (come nell'articolo La conscience et la conscience du moi del 1921), in Wallon non si accompagna un esame altrettanto profondo dei fondamenti teorici della nuova psicologia marxista quale si trova in Vygotskij. In effetti la psicologia marxista di Wallon si muoveva nella scia di quel prodotto ibrido della psicologia pavloviana che si diffuse negli anni '50 grazie ai canali ufficiali sovietici e trovò accoglienza nella rivista "La Raison" (fondata nel 1951). La ferma difesa del pavlovismo come l'autentica psicologia oggettiva si scontrava infatti con l'esigenza di un aggiornamento nei confronti sia delle nuove teorie fisiologiche che stavano emergendo in quel periodo, sia delle teorie psicologiche sovietiche (nella linea di Vygotskij-Leont'ev o in quella di Rubinstejn) che avevano criticato il riduzionismo pavloviano.

La tradizione marxista in psicologia è continuata in Francia con vari contributi, tra i quali il più importante è la monografia di Lucien Sève, Marxisme et théorie de la personnalité (1969), che presenta una accurata rivisitazione dei testi marxiani di interesse psicologico. L'allievo di Wallon, René Zazzo, ha indagato lo sviluppo psichico infantile (Psychologie de l'enfant et méthode génétique, 1962) adottando la prospettiva dialettica del maestro. Gli anni della contestazione studentesca, dopo il maggio parigino del '68, hanno visto il fiorire di una letteratura in cui si intrecciano i temi del marxismo, della psicoanalisi nella versione lacaniana, del freudo-marxismo alla Reich e alla Marcuse. Questa letteratura, inaugurata dal saggio autorevole del filosofo Louis Aithusser, Freud et Lacan (1964), denunciò l'istituzionalizzazione della psicoanalisi, convergendo in parte nel dibattito allora in corso sulla riforma della psichiatria (O. Deleuze e F. Guattari, L'Anti-OEdipe, 1972; R. Castel, Le psychanalisme, 1973).

Negli Stati Uniti, il tentativo più sistematico di fondazione di una "psicologia dialettica" è stato quello di Klaus Riegel (1925-77), che indagò l'influenza dei fattori storici, culturali e politici sullo sviluppo della psicologia, in particolare evolutiva (importante l'articolo del 1972 sul "Psychological Bulletin", Influence of economic and political ideologies on the development of developmental psychology) ed elaborò una sintesi dello sviluppo psichico, integrando il pensiero di Piaget e di SL. Rubinstejn (Psychology of history and development, 1976; Psychology, mon amour: a countertext, 1978; Foundations of dialectical psychology, 1979).

In Italia la riflessione marxista sulla psicologia è stata sporadica fino agli anni '70, probabilmente a causa del retaggio dello storicismo crociano e della sua concezione della psicologia come "pseudoscienza". Nel dopoguerra si riteneva, come stava accadendo in Francia, che il riferimento dovesse essere la teoria pavloviana. Negli anni '70 vi è stata una lettura più attenta sia delle opere della psicologia sovietica, che cominciarono ad essere tradotte sistematicamente, sia di altre correnti psicologiche contemporanee. I convegni organizzati dall'istituto Gramsci tra il 1968 e i primi anni '70 hanno permesso un confronto diretto tra gli psicologi e gli psichiatri di sinistra sulla nuova realtà culturale e politica in campo psicologico e psichiatrico. L'opera più interessante sulla psicoanalisi, scritta da un marxista italiano, è comunque quella di un filologo, Sebastiano Timpanaro (Il lapsus freudiano, 1974). Tra le esperienze di una nuova psicoterapia, indirizzata ad un'utenza proletaria - in un'ottica che ricorda il progetto reichiano dei consultori berlinesi degli anni '30 aggiornata alla luce delle nuove conoscenze psicoterapeutiche -, si distinse, tra il 1969-74, quella del Consultorio popolare di Niguarda, quartiere popolare di Milano, sotto la guida di Enzo Morpurgo.

Negli anni della contestazione studentesca sorse in Germania un movimento di ricerca teorica e sperimentale, noto come "psicologia critica" (Kritische Psychologie). Alla "Conferenza degli psicologi critici e di opposizione", tenutasi ad Hannover nel 1969, la maggior parte degli studenti e dei giovani professori di psicologia concluse che la psicologia era una scienza al servizio del capitale e che doveva dunque essere liquidata. Reich, il freudo-marxismo e la scuola di Francoforte furono ampiamente citati in questa ottica estremistica. I testi degli anni '20 e '30 furono quindi ristampati nel 1972 a cura di H. P. Gente con il titolo Marxismo, psicoanalisi, Sexpol. Altri affermarono che la psicologia, rinnovata nei suoi fondamenti teorici, poteva contribuire alla trasformazione rivoluzionaria della società che sembrava realizzabile alla fine degli anni '60. In questa direzione di "ricostruzione" della psicologia, il riferimento all'opera degli psicologi sovietici, in particolare alla teoria dell'attività di Leont'ev, risultò il più proficuo. Il testo fondamentale di questo movimento fu pubblicato nel 1972 dal suo leader Klaus Holzkamp, professore dell'istituto di psicologia di Berlino, con il titolo Kritische Psychologie. Un titolo, o una parola d'ordine, che ricorse in varie pubblicazioni (compreso il periodico "Forum Kritische Psychologie"), al punto di trasformare il movimento stesso in una "scuola" di tipo tradizionale, chiusa in se stessa. In polemica con questo settarismo di scuola sorsero altri gruppi "critici", tra cui quello che si raccolse intorno alla rivista "Psychologie und Gesellschafts-Kritik" e quello attorno a Gunther Rexilius (“Fondamenti di una psicologia critica”, 1977). Altri psicologi tedeschi, come Alfred Lorenzer, hanno approfondito i problemi teorici della psicoanalisi.

Tra le tematiche affrontate dal movimento della "psicologia critica" un particolare rilievo hanno avuto le analisi storico-critiche dello sfondo ideologico delle prospettive psicologiche di questo secolo. Nel caso del comportamentismo, è stata messa in evidenza la natura meccanicistica del soggetto umano, un "oggetto-sperimentale" collocato all'interno di una rete di stimoli e risposte, privato di una propria iniziativa e di libertà di intervento sull'ambiente, ma predisposto implicitamente a rispondere con funzionalità ed efficacia agli stimoli di un determinato ambiente (scelto dalla classe dominante). Analoghe critiche di "sottomissione" della scienza psicologica al potere sono state rivolte alla psicologia sociale nord-americana, che avrebbe fornito modelli delle relazioni sociali confacenti alla società borghese (H. Nolte e I. Staeuble, Zur Kritik der Sozialpsychologie, 1972). Un altro contributo interessante è stato dato, nello studio della sensazione e della percezione, da K. Holzkamp (Conoscenza sensoriale. Origine storica e funzione sociale della percezione 1973) e da Max Stadler e coll. (Psicologia della percezione, 1974). Questi psicologi rilevano che la sensazione era stata considerata tradizionalmente come una funzione psichica "inferiore", comune agli animali e all'uomo, studiabile in laboratorio. Ora invece si mette in evidenza la centralità che ha la sensazione nell'interazione tra l'uomo e l'ambiente esterno che non è fatto di oggetti neutri, ma di oggetti che hanno una importanza vitale nel contesto della vita quotidiana. La sensazione diviene quindi una funzione complessa alla base dell'interazione tra l'individuo e il proprio ambiente geografico-sociale (ecologico), pieno di oggetti significativi. E importante notare che, rispetto agli psicologi francesi degli stessi anni della contestazione studentesca, nei quali riecheggiano temi utopistici di tono freudo-marxista, gli esponenti della "psicologia critica" si sono riferiti alla teoria storico-culturale sovietica e hanno cercato non solo di contestare la psicologia accademica, ma anche di dare esempi concreti di che cosa intendevano per una nuova psicologia (oltre all'area della sensazione e della percezione, sono stati studiati i processi delle emozioni e motivazioni, le relazioni sociali e la psicologia del lavoro).

L'ANTIPSICHIATRIA

Negli anni '60 maturò, per culminare nei primi anni '70, un movimento di rinnovamento in campo psichiatrico, denominato genericamente "antipsichiatria". Assunse forme diverse nei vari paesi europei e negli Stati Uniti sia sul piano teorico che su quello terapeutico a pubblico, ma complessivamente rappresentò un momento di grande attività teorica e pratica sui problemi della malattia mentale. Nel suo Manuale critico di psichiatria (1975), un testo di larghissima diffusione che sintetizzava in modo equilibrato i contributi della nuova psichiatria, Giovanni Jervis notava che non era "facile capire, nella grande crisi e nella confusione della psichiatria contemporanea, che cosa vada controcorrente, cosa sia avanguardia, e cosa faccia semplicemente parte di una dialettica 'interna' tutta funzionale al sistema dominante. Sarebbe d'altro lato sciocco e facile essere pessimisti: ciò che a torto o a ragione è stato chiamato 'antipsichiatria' (o anche, più blandamente, 'psichiatria alternativa'), oltre a essere elaborazione teorica non sempre banale, ha portato in una certa epoca, fra il 1967 e il 1970, un contributo a un mutamento di costume, a prese di coscienza a livello di massa, a critiche e lotte politiche; e in fondo ciò continua a essere vero anche oggi (1975), soprattutto a livello dei temi che si dibattono fra i giovani, e in alcuni pochi movimenti politici organizzati. (Ed è anche naturale e giusto che molte cose siano state assorbite, alcune illusioni siano cadute o si siano auto-emarginate in questi ultimi anni)" (p. 60).

In Inghilterra la nuova psichiatria fu sostenuta da Maxwell Jones, che promosse la "terapia sociale" da realizzarsi in comunità terapeutiche, e da David Cooper e Ronald D. Laing che criticarono la psichiatria tradizionale e istituzionale, proponendo una nuova concezione della sofferenza psichica come vissuto individuale (secondo una prospettiva fenomenologica), da non contrapporre ad una presupposta "normalità" sancita dalla società. L'uso repressivo della psichiatria fu oggetto di numerosi studi, tra cui il primo e più importante fu The myth of mental illness (1961) dello statunitense Thomas Szasz. Le durissime condizioni di vita nei manicomi furono descritte in numerosi libri a carattere documentaristico e autobiografico, ed anche in film tra i quali ebbe un forte impatto sul largo pubblico Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) del regista Milos Forman.

In Italia la nuova psichiatria si intrecciò ai movimenti di rinnovamento politico e culturale nati intorno al 1968. A Gorizia, Perugia e in altri manicomi furono realizzate forme rivoluzionarie di trattamento psichiatrico. Come era accaduto quasi due secoli prima con Philippe Pinel in Francia, furono di nuovo spezzate le catene che immobilizzavano i malati di mente alloro letti e abbattuti i cancelli che lì separavano dal resto della comunità, ma soprattutto furono applicate nuove forme di trattamento psicoterapeutico, favorite anche dalla introduzione massiccia degli psicofarmaci. Nella diffusione della nuova psichiatria italiana (che dette luogo alla associazione di "Psichiatria democratica"), centrale è stata la figura carismatica di Franco Basaglia (1924-80). Nel libro L'istituzione negata, pubblicato nel 1968, l'anno della contestazione studentesca, egli espose il suo progetto di nuova psichiatria, presto condiviso da molti psichiatri italiani. L'esperienza innovativa realizzata in tal senso a Parma è raccontata nel bel film-documentario Nessuno o tutti/Matti da slegare (1976) di Silvano Agosti, Marco Bellocchio, Stefano Rulli e Sandro Petraglia.

La nuova psichiatria italiana, sviluppatasi all'interno di una cultura di sinistra, politicamente impegnata, portò all'abolizione nel 1968 del ricovero coatto negli ospedali psichiatrici e poi, nel 1978, con la legge 180, all'abolizione ditali ospedali, indicando come luogo di terapia i centri di saluto mentale, i day-hospital, le comunità. L'antipsichiatria italiana produsse una notevole quantità di dibattiti sulle cause della malattia mentale, sul rapporto tra fattori organici sociali, svolgendo questa tematica non sempre con la chiarezza teorica e la conoscenza scientifica adeguate (una riflessione interessante sul contesto di tali discussioni si trova nel libro Il buon rieducatore di Jervis, pubblicato nel 1977). L'incertezza teorica è stata probabilmente favorita dal fatto che buona parte dei testi dell'antipsichiatria si basavano su premesse concettuali derivanti dalla psichiatria fenomenologica, difficilmente conciliabili sia con il quadro della psichiatria organicistica, che continuava comunque ad essere punto di riferimento nella routine diagnostico-terapeutica, sia con una concezione marxista del rapporto teoria-prassi.

PSICOLOGIA E STORIA

Il concetto di storicità delle funzioni psichiche non implica soltanto che lo sviluppo ontogenetico dei processi psichici sia influenzato dall'ambiente sociale e culturale in cui l'individuo cresce. Significa anche che si è trasformato il modo in cui la mente funziona nel corso della storia dell'uomo. Ad esempio, le implicazioni cognitive dell'alfabetizzazione e della invenzione della scrittura sono state enormi per il funzionamento della mente.

Sebbene la mente non sia cambiata nel corso dei secoli per quanto riguarda le funzioni di cui è geneticamente dotata (per cui, ad esempio, il linguaggio è una funzione mentale propria della specie umana), è abbastanza verosimile l'ipotesi che il modo di ragionare, memorizzare e rappresentarsi la realtà si sia profondamente modificato. La psicologia storica, che si occupa delle trasformazioni funzionali della mente umana, ha avuto un notevole sviluppo soprattutto tra gli studiosi della "nuova storia" di origine francese. Questi storici studiano la "mentalità" dell'uomo delle epoche passate, ricorrendo ai principi della psicologia e dell'antropologia. Un riferimento fondamentale della storiografia francese interessata alla psicologia storica (la scuola raccoltasi attorno alla rivista "Les Annales") è stato il libro di lgnace Meyerson (1888-1983) Les fonctions psychologiques et les oeuvres (1948). In Meyerson l'analisi delle "opere", di ciò che l'uomo ha prodotto sotto forma di segni, simboli, cultura, tecnica costituisce la via d'accesso principale alla conoscenza dell'organizzazione funzionale della mente e delle sue trasformazioni nel tempo. Meyerson fu prima redattore e poi, dal 1962, direttore del "Journal de psychologie normale et pathologique', su cui sono comparsi molti saggi di psicologia storica. I risultati più interessanti sono stati ottenuti dagli storici del mondo antico come Jean-Pierre Vernant e Marcel Detienne. Un altro notevole contributo francese alla psicologia storica è rappresentato dall'opera del sociologo Maurice Halbwachs (1877-1945), in particolare dallo scritto sulla storicità della memoria umana (La mémoire collective, 1947). Un altro importante incontro tra psicologia e storia della mentalità nel mondo antico è stato realizzato dal filologo inglese Eric A. Dodds (The Greeks and the irrational, 1951).

Gli psicologi, se si escludono coloro che hanno aderito ad una prospettiva storico-culturale, hanno generalmente accettato una concezione astorica delle funzioni mentali. Una visione storicistica della mente umana è stata esposta dallo psicologo olandese J.H. van den Berg in The changing nature of man (1961), fonte delle notevoli indagini in questa direzione di altri psicologi olandesi (tra cui W. van Hoorn) ed anche del loro profondo interesse per la teoria vygotskijana. Una teoria della storicità sia della mente umana sia delle teorie psicologiche che studiano questa stessa mente e stata delineata a partire dagli anni '70 dallo psicologo statunitense Kenneth J. Gergen e dall'inglese Rom Harré.

La psicostoria (psychohistory), a differenza della psicologia storica, non si propone di studiare la mentalità dell'uomo di una cultura o civiltà del passato, ma applica concetti e categorie psicologiche (generalmente della psicoanalisi) per spiegare il comportamento di individui o gruppi di interesse storico. Il primo esempio di psicostoria è l'interpretazione analitica che Freud fece di Leonardo da Vinci. Altre opere molto note di psicostoria sono quelle su Lutero e Gandhi scritte da Erik H. Erikson.

3. La teoria storico-culturale da Vygotskij agli anni '60

LA TEORIA DI VYGOTSKIJ

Uno dei capitoli più interessanti della storia della psicologia è rappresentato dalle vicende cui è andata incontro la teoria di Vygotskij4, da quando fu elaborata (tra la fine degli anni '20 e i primi anni '30) fino ad oggi. Non apprezzata in quel periodo, anche perché poco conosciuta al di fuori della Russia, essa ha incontrato in Occidente un crescente interesse solo dopo gli anni '60 e ha visto un'esplosione di ricerche e di studi negli anni '80. Una specifica trattazione meriterebbe l'analisi, da una parte, di come la teoria vygotskijana è stata discussa all'interno della psicologia sovietica ed è stata diffusa in Occidente dalle fonti "ufficiali" sovietiche; e, dall'altra, di come questa stessa teoria è stata accolta e assimilata dalla psicologia europea e da quella nord-americana. Ad ostacolare la conoscenza della teoria di Vygotskij è stata soprattutto la non disponibilità delle sue opere, alcune delle quali sono rimaste inedite fino agli anni '80. Le critiche mosse a Vygotskij, a partire dagli anni '30, da altri psicologi sovietici potevano riferirsi quindi solo ad una parte assai ridotta della sua produzione. Inoltre le traduzioni pubblicate in Occidente negli ultimi dieci anni hanno mostrato che l'opera di Vygotskij non è riducibile alla problematica dei rapporti tra pensiero e linguaggio, per la quale lo psicologo russo era noto in precedenza. Si è visto sempre più chiaramente che essa contiene una varietà insospettata di contributi nei campi più diversi: dall'estetica alla linguistica, dalla psicologia alla pedagogia, dalla psicopatologia alla neuropsicologia. Alla luce di questa nuova e arricchita rivisitazione di tutta la sua opera, la figura di Vygotskìj ha però perso la connotazione mitica che lo aveva circondato in passato. Vygotskij non è più un pensatore geniale, pieno di intuizioni non concretizzate a causa della sua morte precoce, uno psicologo e un intellettuale che elaborò le sue teorie, avviò una nuova scuola di psicologia e poté compiere ricerche e pubblicare una quantità incredibile di articoli e libri, tutto questo all'interno di un preciso periodo della storia della società e della cultura russa. Uno dei risultati più nuovi delle recenti indagini su Vygotskij è quello per cui oggi si possono delineare con precisione gli indirizzi di ricerca e le secessioni teoriche che si svilupparono all'interno della scuola vygotskijana già negli anni '30.

In breve, sebbene la scuola storico-culturale abbia avuto senz'altro il proprio fondamento teorico in Vygotskij, essa non può essere ridotta solo alle tesi e alle ricerche empiriche che Vygotskij poté sviluppare. La scuola storico-culturale appare ora come un insieme variegato di contributi, non legati affatto da un riferimento compatto e unitario al nucleo teorico "storico" (o miticamente presunto tale) dell'opera vygotskijana.

Vi sono state varie proposte di periodizzazione dell'opera di Vygotskij, ma sostanzialmente si possono identificare tre fasi principali in un breve arco temporale di attività scientifica (Vygotskij, nato nel 1896 e morto nel 1934, a quasi trentotto anni, iniziò a pubblicare i primi lavori di interesse psicologico nel 1924). In una prima fase, tra il 1915 e il 1927, Vygotskij si occupò principalmente di critica letteraria e psicologia dell'arte, e cominciò a interessarsi dell'applicazione della psicologia alla pedagogia. Tra ii 1915 e il 1916 scrisse un saggio sull'Amleto di Shakespeare (La tragedia di Amleto) e nel 1925 il libro Psicologia dell'arte. In campo psicopedagogico, Vygotskij curò nel 1924 una raccolta di studi sui bambini handicappati (Problemi dell'educazione dei bambini ciechi, sordomuti e con ritardo mentale) e nel 1926 pubblicò il libro Psicologia pedagogica. La seconda fase, dal 1928 al 1931, era stata avviata da precedenti e importanti riflessioni teoriche svolte nel saggio La coscienza come problema della psicologia del comportamento del 1925, e nel saggio del 1926 - rimasto inedito fino al 1982 - su Il senso storico della crisi della psicologia.

In questi anni Vygotskij si pose in modo sistematico il problema della storicità delle funzioni psichiche, attraverso un'attenta lettura dei testi di Marx, Engels e Lenin e un'analisi critica delle teorie psicologiche e fisiologiche dell'epoca. Il prodotto più importante di queste indagini teoriche è la monografia Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, terminata nel 1931 e pubblicata per la prima volta nel 1960. L'unico libro di psicologia che uscì in questo periodo fu scritto assieme a Lurija ed era dedicato allo studio comparato dell'evoluzione filogenetica e ontogenetica dei processi psichici (Studi sulla storia del comportamento. La scimmia, l'uomo primitivo, il bambino, 1930). In questo periodo Vygotskij scrisse vari libri di pedologia, un orientamento interdisciplinare di ricerca e applicazione sul bambino. Nell'ultima fase, dal 1932 al 1934, Vygotskij approfondì vari temi di psicologia, tra cui il ruolo delle emozioni nella vita psichica umana (una monografia del 1933 fu pubblicata nel 1982 con il titolo Teoria delle emozioni). All'inizio del 1934 Vygotskij raccolse una serie di prefazioni a traduzioni da lui curate di psicologi occidentali; scrisse un capitolo introduttivo ed uno conclusivo e riunì tutto questo materiale nel libro Pensiero e linguaggio, uscito pochi mesi dopo la morte nel 1934. In questi ultimi due anni della sua vita pubblicò inoltre numerosi saggi su problemi di psicopedagogia, alcuni dei quali uscirono postumi nel 1935 o 1936, altri solo negli anni '70 e '80. Una notevole importanza teorica hanno anche i saggi sul pensiero e sul linguaggio negli schizofrenici e sull'organizzazione funzionale del cervello alla base dei processi psichici.

Il manifesto della scuola storico-culturale fu esposto nel saggio La coscienza come problema della psicologia del comportamento, incluso nel libro Psicologia e marxismo curato da K.N. Kornilov nel 1925. Questo saggio si basava sulla prima conferenza che Vygotskij tenne all'Istituto di psicologia dì Mosca, il 19 ottobre 1924. In molti libri di storia della psicologia si trova scritto che questa conferenza (con lo stesso titolo) è la stessa che Vygotskij presentò al secondo congresso di psiconeurologia il 6 gennaio 1924, suscitando l'interesse del pubblico e spingendo Kornilov a chiamarlo a Mosca. In effetti, il testo della conferenza di Leningrado, dedicato alla Metodologia della ricerca riflessologica e psicologica, conteneva gli elementi essenziali del manifesto della scuola storico-culturale. Si partiva dalla considerazione che le teorie riflessologiche russe (Bechterev e Pavlov), che consideravano la psiche come un sistema di riflessi, si erano occupate esclusivamente dei processi psichici elementari (i riflessi condizionati, ad esempio) e avevano escluso lo studio dei processi psichici superiori, che avrebbe richiesto il riferimento all'esperienza soggettiva e all'introspezione. Per Vygotskij questa posizione comportava la rinuncia all'indagine sulla specificità dei processi psichici umani, che si differenziano da quelli degli animali proprio per la presenza della coscienza. Autentico materialista dialettico o, come amava affermare, riflessologo più dello stesso Pavlov, Vygotskjj riteneva che il rinunciare ad un'indagine oggettiva della coscienza corrispondeva ad una posizione idealistica e dualistica: da una parte i processi psichici elementari, dall'altra i processi psichici superiori e la coscienza, come un mondo psichico inaccessibile e irriducibile. Occorreva invece individuare delle procedure oggettive di ricerca sui processi psichici coscienti. Lo studio sperimentale delle risposte verbali dei soggetti poteva costituire una chiave d'accesso alla loro coscienza.

Nel saggio del 1925 su La coscienza, Vygotskij pone come epigrafe un celebre passo del Capitale, in cui Marx confronta il comportamento di un animale (un'ape) con quello di un uomo (un lavoratore). E’ un passo importante per la futura scuola storico-culturale perché basa il confronto su un comportamento concreto, un'attività concreta, interpretandola come un processo che dipende da un'idea (prodotta dalla mente cosciente) e persegue uno scopo: "Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nell'idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell'elemento naturale; egli realizza nell'elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, da lui ben conosciuto, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà" (Marx, vol. I, sez. 3).

I limiti delle correnti psicologiche contemporanee vengono così descritti da Vygotskij (1925): "Il problema della natura psicologica della coscienza viene costantemente e intenzionalmente eluso nella nostra letteratura scientifica. Si cerca di non notarlo, come se per la nuova psicologia esso non esistesse affatto. Di conseguenza i sistemi di psicologia scientifica che si formano sotto i nostri occhi hanno fin dall'inizio una serie di vizi organici. Ne menzioneremo alcuni, i più importanti, fondamentali a nostro avviso.

1) Ignorando il problema della coscienza, la psicologia si preclude da sola l'accesso allo studio dei problemi complessi del comportamento dell'uomo. Essa è costretta a limitarsi a chiarire i nessi più elementari dell'essere vivente con il mondo. E’ facile convincersi che le cose stanno realmente così dando un'occhiata all'indice del libro dell'accademico V. M. Bechterev, (Principi generali di riflessologia dell'uomo).

Principio di conservazione dell'energia. Principio della variabilità continua. Principio del ritmo. Principio dell'adattamento. Principio della reazione, pari all'azione. Principio di relatività. In una parola, principi universali, che abbracciano non soltanto il comportamento dell'animale e dell'uomo, ma l'universo intero. E perciò neppure una legge psicologica del comportamento dell'uomo che formuli un nesso o una dipendenza dei fenomeni, che caratterizzi l'originalità del comportamento umano, differentemente dal comportamento dell'animale.

All'altro polo del libro c'è il classico esperimento della formazione del riflesso condizionato, un piccolo esperimento di importanza eccezionale in linea di principio, ma che non riempie lo spazio universale dal riflesso condizionato di primo grado al principio della relatività. La discordanza tra il tetto e le fondamenta e la mancanza dell'edificio stesso tra il tetto e le fondamenta svelano facilmente quanto sia ancora presto per formulare principi universali sul materiale riflessologico e quanto sia facile prendere le leggi da altri campi del sapere e applicarle alla psicologia. E quanto più vasto e universale è il principio che prendiamo, tanto più facile sarà infilano addosso al fatto che ci interessa. Non si può però dimenticare che l'ampiezza e il contenuto di un concetto sono sempre in dipendenza inversamente proporzionale. E come l'ampiezza dei principi universali tende all'infinito, così il loro contenuto psicologico diminuisce con altrettanta impetuosità fino allo zero.

E questo non è un vizio particolare del corso di Bechterev. In una forma e nell'altra questo stesso vizio si scopre e si riflette in ogni tentativo di esporre sistematicamente la teoria del comportamento dell'uomo come nuda riflessologia.

2) La negazione della coscienza e la tendenza a costruire un sistema psicologico senza questo concetto, come una 'psicologia senza coscienza', secondo l'espressione di P.P. Blonskij porta al risultato che la metodologia viene privata dei mezzi indispensabili per lo studio delle reazioni non palesi, non visibili a occhio nudo, come i movimenti interiori, il linguaggio interno, le reazioni somatiche ecc. Lo studio delle sole reazioni visibili a occhio nudo è del tutto impotente e inconsistente anche di fronte ai più semplici problemi del comportamento dell'uomo.

Eppure il comportamento dell'uomo è organizzato in modo tale che proprio i movimenti interiori difficilmente identificabili guidano e indirizzano il suo comportamento. Quando formiamo il riflesso condizionato di salivazione del cane, in un certo modo noi organizziamo preliminarmente il suo comportamento con procedimenti esterni, altrimenti l'esperimento non riesce. Mettiamo il cane nell'apparecchio, lo afferriamo con delle bretelle ecc. Esattamente nello stesso modo noi organizziamo preliminarmente, in un certo modo, il comportamento del soggetto preso in esame, con determinati movimenti interiori, attraverso l'istruzione, la spiegazione ecc. E se ad un tratto i movimenti interiori cambiano durante l'esperimento, tutto il quadro del comportamento cambierà nettamente. Così, ci serviamo sempre di reazioni rallentate; sappiamo che esse si svolgono senza sosta nell'organismo; sappiamo che hanno un ruolo influente nella regolazione del comportamento, nella misura in cui esso è cosciente. Ma siamo privi di ogni mezzo per lo studio di queste reazioni interne.

Per dirla più semplicemente: l'uomo pensa sempre tra sé; ciò non resta mai senza influenza sul suo comportamento; un improvviso cambiamento dei pensieri durante l'esperimento si ripercuote sempre bruscamente su tutto il comportamento del soggetto (ad un tratto sorge il pensiero: non guarderò nell'apparecchio). Ma non sappiamo nulla sul modo di tener conto di questa influenza.

3) Si elimina ogni confine di principio tra il comportamento dell'animale e quello dell'uomo. La biologia divora la sociologia, la fisiologia divora la psicologia. Il comportamento dell'uomo si studia nella misura in cui è il comportamento di un mammifero. Ciò che di totalmente nuovo la coscienza e la psiche introducono nel comportamento umano viene ignorato" (1925, pp. 268-70).

Nella dimensione cosciente della psiche umana, afferma Vygotskij nello stesso saggio del 1925, vi sono componenti assenti nel mondo psichico animale: l'"esperienza storica" per la quale "tutta la nostra vita, il lavoro, il comportamento sono fondati sulla larghissima utilizzazione dell'esperienza delle generazioni precedenti, non trasmessa attraverso la nascita, di padre in figlio" (p. 276); l' “esperienza sociale" per la quale "io non dispongo soltanto delle connessioni formatesi nella mia esperienza personale tra i riflessi incondizionati e i singoli elementi dell'ambiente, ma anche di un gran numero di connessioni che sono state fissate nell'esperienza degli altri uomini" (p. 276); infine, l'"esperienza duplicata", che è illustrata nel passo di Marx, e per la quale "il lavoro ripete nei movimenti delle mani e nelle trasformazioni del materiale ciò che prima è stato fatto nella rappresentazione del lavoratore, quasi con i modelli di questi stessi movimenti e di questo stesso materiale. Ecco, questa esperienza duplicata che permette all'uomo di sviluppare forme di adattamento attivo, manca all'animale" (Vygotskij, 1925, p. 277).

Nel 1931 Vygotskij terminò di rivedere la monografia che aveva iniziato a scrivere nel 1929 sulla Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, che rappresenta l'esposizione più completa della teoria storico-culturale. Su Vygotskij influirono notevolmente varie teorie contemporanee. Scrivono in proposito van der Veer e Valsiner (1991) che "la teoria storico-culturale di Vygotskii fu soltanto una tra le tante teorie che cercarono di descrivere l'origine e lo sviluppo dei processi mentali degli adulti occidentali istruiti. Anche Vygotskij nella sua teoria storico-culturale confrontò (1) la psicologia degli animali e degli esseri umani; (2) la psicologia dell'uomo 'primitivo' e dell'uomo occidentale; (3) la psicologia dei bambini e degli adulti; e (4) la psicologia dei soggetti sani e malati. In ciò si basò notevolmente sugli scritti di Darwin, Engels, Buhler, Koffka, Köhler, Thurnwald, LévyBruhl, Durkheim e Kretschmer, tanto per citare solo alcuni autori. Questo non vuoi dire che la teoria di Vygotskij fu semplicemente un amalgama delle idee formulate da questi vari autori. Vygotskij presentò essenzialmente una teoria dell'uomo, la sua origine e la sua nascita, il suo stato presente tra le altre specie e un progetto per il suo futuro. L'immagine dell'uomo che deriva da questa teoria è quella dell'uomo come un essere razionale che prende ii controllo del suo destino e si libera degli stretti legami della natura. E’ l'immagine di un uomo che è basata in parte sui pensiero marxista e in parte sulle idee di vari filosofi, come Bacone e Spinoza. Ma soprattutto, naturalmente, fu l'immagine dell'uomo alla quale credeva Vygotskij, una convinzione che era assai comune tra la gente del suo tempo e nel paese in cui viveva" (pp. 390-91).

Per Vygotskij fra gli animali e l'uomo c'è un "salto qualitativo" caratterizzato, come si è detto sopra, dallo sviluppo di processi psichici superiori dipendenti dal contesto storico-sociale in cui cresce un bambino. Per "salto qualitativo" non si deve intendere che questi processi psichici superiori subentrano a quelli inferiori (come i riflessi condizionati), comuni agli animali e all'uomo; o, in termini generali, che la dimensione storica subentra alla dimensione biologica. Vygotskij sostiene che i processi psichici superiori conservano la stessa natura biologica dei processi psichici inferiori, ma rappresentano dì quest'ultimi una nuova organizzazione funzionale generatasi sotto l'influenza dei fattori sociali e culturali. Sia i processi psichici inferiori che quelli superiori (nella terminologia vygotskijana, le "funzioni psichiche superiori") sono processi materiali svolti nel cervello, con la differenza che i processi psichici superiori si sviluppano in relazione all'ambiente sociale e culturale.

Nella conferenza su La coscienza e nella monografia del 1931, Vygotskij accetta l'ipotesi che la struttura fondamentale dei processi psichici sia la sequenza S-R (una reazione è prodotta in relazione ad uno stimolo). Questa sequenza è appunto alla base dei processi psichici elementari (riprendendo la classificazione di K. Buhler, il livello più elementare è quello degli istinti o dei riflessi innati, seguito dal livello dei riflessi acquisiti o condizionati; entrambi sono spiegati con sequenze S-R). Nei processi psichici superiori (terzo livello delle funzioni "intellettive"), nella sequenza si inserisce un nuovo elemento, quello che Vygotskij chiama priem (strumento, metodo, artificio) o stimulus sredstvo (stimolo-mezzo). E’ l'introduzione di questo stimolo-mezzo a costituire il "salto dialettico" che modifica qualitativamente il rapporto tra stimolo e reazione. Tra gli esempi che Vygotskij fa per illustrare il concetto di stimolo-mezzo ricordiamo quello dell'asino di Buridano e quello del nodo al fazzoletto. Nel primo esempio, di fronte a due sacchi uguali pieni di fieno, uno a sinistra e uno a destra, l'asino non sa scegliere, benché affamato, e muore di inedia. I due stimoli equivalenti (i due sacchi) producono due reazioni "uguali ma di direzione contraria" e il comportamento dell'animale viene inibito. Un uomo, invece, potrebbe lanciare una monetina e scegliere tra i due stimoli in base al risultato del lancio. L'uomo "crea" di sua iniziativa uno stimolo di cui si avvale (per cui esso è un "mezzo", uno strumento) per instaurare un nuovo rapporto stimolo-risposta e consentire lo svolgimento del comportamento in una direzione diversa. Nell'esempio del nodo al fazzoletto, se una persona deve ricordarsi di eseguire una determinata risposta (conseguentemente ad uno stimolo ricevuto in precedenza, ad esempio la consegna: “Quando esci, compra il latte"), questa risposta è facilitata se tale persona si crea uno stimolo-mezzo (un nodo al fazzoletto, una nota scritta, ecc.) di cui appunto si serve per ricordarsi di eseguire il compito. Per Vygotskij, quindi, "la presenza di stimoli creati accanto a quelli dati è la caratteristica distintiva della psicologia dell'uomo" (1931, p. 123).

Anche nei primati vi sono tracce di questo comportamento “mediato” (nel senso proprio di mezzo come medium) da stimoli-mezzo, ad esempio gli strumenti di cui si servivano gli scimpanzé di Kòhler per raggiungere la meta e svolgere il loro compito. Tuttavia, per Vygotskij, il comportamento umano è quasi esclusivamente guidato da stimoli-mezzo che non sono solo “strumenti "esterni" (la monetina, il nodo al fazzoletto), ma strumenti acquisiti dall'ambiente sociale e interiorizzati, stimoli-mezzo “interni" denominati propriamente "segni": "Noi chiamiamo 'segni' questi 'stimoli-mezzi' artificiali introdotti dall'uomo nella situazione e svolgenti una funzione di autostimolazione. A questo termine diamo un senso più ampio e al tempo stesso più preciso di quello che ha nell'uso abituale. In base a questa nostra definizione, dunque, ogni stimolo condizionato creato dall'uomo e assunto come mezzo per dirigere il proprio o l'altrui comportamento è un segno" (Vygotskij, 1931, p. 123). La differenza tra la vita psichica degli animali e quella dell'uomo non sta tanto nel fatto in sé che "il cervello dell'uomo è incommensurabilmente superiore a quello, per esempio, del cane", ma "nel fatto che il cervello umano è il cervello di un essere sociale" (1931, p. 124).

L'introduzione degli stimoli-mezzo nelle funzioni psichiche comporta una modificazione funzionale del cervello stesso. Quando una persona vede il nodo al fazzoletto, si tratta di uno stimolo esterno che agisce su una traccia depositata nella memoria, nel cervello, una traccia connessa a quella relativa ad un altro stimolo (la consegna del compito da eseguire). La mente si è creata quindi una traccia (cerebrale) che riorganizza la relazione tra altre tracce ("L'uomo introduce stimoli artificiali, 'significa' il comportamento e instaura, mediante i segni, dall'esterno nuovi nessi nel cervello", Vygotskij, 1931, p. 126). Questi segni, si è già notato, non sono creati soltanto dalla singola persona, ma sono acquisiti nella storia psicologica individuale attraverso l'ambiente sociale (la famiglia, la scuola, la cultura, ecc.). L'esempio più chiaro è la scrittura, che rappresenta un modo di comunicare non legato (come il linguaggio verbale) a capacità di cui è dotata geneticamente la mente umana, ma a un sistema di segni che un individuo acquisisce ad una certa età se vive in un ambiente sociale in cui la scrittura è conosciuta. Il linguaggio verbale stesso è uno stimolo-mezzo se lo si interpreta come una forma di comunicazione, basata sì su capacità genetiche della mente umana, ma allo stesso tempo necessariamente sviluppatasi grazie all'acquisizione di una lingua che proviene dall'ambiente famigliare e sociale in cui il bambino cresce.

Un processo fondamentale illustrato da Vygotskij è l'interiorizzazione degli stimoli-mezzo o segni. Il linguaggio, che all'inizio, nel rapporto madre-bambino, è una forma di comunicazione interpersonale esterna, diventa negli anni una forma di comunicazione interna che, di nuovo, l'individuo usa come mezzo per svolgere le proprie funzioni psichiche superiori. I contenuti di pensiero di un adulto sono stati acquisiti e elaborati come strumenti esterni, divenuti nel tempo strumenti interni (un'operazione aritmetica eseguita mentalmente, internamente, era stata acquisita nel passato dall'ambiente esterno - la scuola - per risolvere, ad esempio manualmente o mediante carta e matita, un certo problema). Lo sviluppo psichico ontogenetico è quindi uno “sviluppo culturale", in quanto fondato essenzialmente sul processo di interiorizzazione dei mezzi forniti dall'ambiente socioculturale. Vygotskij definisce questo processo come la "legge genetica generale dello sviluppo culturale", per la quale le funzioni psichiche sviluppatesi nelle relazioni sociali (funzioni "interpsichiche") divengono successivamente interne all'individuo (funzioni "intrapsichiche").

Così Vygotskij descrive nella Storia questo "sviluppo culturale": "Potremmo formulare come segue la legge genetica generale dello sviluppo culturale: ogni funzione nel corso dello sviluppo culturale del bambino fa la sua apparizione due volte, su due piani diversi, prima su quello sociale, poi su quello psicologico, dapprima tra le persone, come categoria interpsichica, poi all'interno del bambino, come categoria intrapsichica. Ciò vale ugualmente sia per l'attenzione volontaria che per la memoria logica, che per la formazione dei concetti e lo sviluppo della volontà. Siamo nel pieno diritto di considerare questa assunzione come una vera e propria legge, ma s'intende che il passaggio dall'esterno all'interno trasforma il processo stesso, ne muta la struttura e le funzioni. Dietro a tutte le funzioni superiori e ai loro rapporti stanno geneticamente delle relazioni sociali, relazioni reali tra gli uomini. Ne segue che uno dei principi fondamentali della nostra volontà è quello della divisione delle funzioni tra gli uomini, una nuova suddivisione binaria di ciò che ora è fuso insieme, il dispiegarsi, sperimentale, del processo psichico superiore nel dramma che ha luogo tra gli uomini.

Potremmo perciò definire la sociogenesi delle forme superiori del comportamento come il risultato principale della storia dello sviluppo culturale del bambino.

La parola 'sociale' applicata al nostro oggetto ha un significato importante. Innanzitutto, come dice il significato più ampio della parola, significa che tutto ciò che è culturale è sociale. La cultura è il prodotto della vita sociale e dell'attività collettiva dell'uomo, e perciò la stessa posizione del problema dello sviluppo culturale del comportamento ci introduce immediatamente sul piano sociale dello sviluppo, inoltre si potrebbe osservare che il segno, che si trova al di fuori dell'organismo ed è, come lo strumento, separato dalla persona, è sostanzialmente un organo collettivo, o uno strumento sociale. Potremmo ulteriormente dire che tutte le funzioni superiori non si son venute costituendo nell'ambito della biologia, e neppure semplicemente nella storia della sola filogenesi, ma che il meccanismo che sta a loro fondamento è il calco di quello sociale. Tutte le funzioni psichiche superiori rappresentano delle relazioni sociali interiorizzate, il fondamento della struttura sociale della persona. La loro composizione, la struttura genetica, il loro funzionamento, in una parola tutta la loro natura è sociale; persino trasformandosi in processi psichici la natura ne rimane sociale. L'uomo, anche preso isolatamente, conserva le funzioni della comunicazione.

Modificando la nota affermazione di Marx, potremmo dire che la natura psicologica dell'uomo rappresenta l'insieme delle relazioni sociali trasportate all'interno e divenute funzioni della personalità e forme della sua struttura. Non desideriamo con questo affermare che sia proprio questo il significato della posizione di Marx, ma che noi vediamo in essa la più piena espressione dì tutto ciò a cui conduce la storia dello sviluppo culturale" (1931, pp. 201-2).

La scuola ha, per Vygotskij, una funzione fondamentale nello sviluppo psichico infantile proprio perché essa rappresenta il principale mediatore culturale che il bambino incontra nei primi anni di vita. A partire dal 1933 e soprattutto nell'ambito delle nuove collaborazioni iniziate all'istituto pedagogico Herzen di Leningrado, Vygotskij affrontò in modo sistematico il problema dei rapporti tra istruzione e sviluppo psichico. Innanzitutto, il rapporto tra insegnante ed alunno non è concepito come un processo meccanico di trasmissione unidirezionale dell'informazione dal primo al secondo, bensì come un processo circolare di insegnamento da parte del docente e apprendimento da parte del discente, denominato da Vygotskij e da parte di altri pedagogisti sovietici obuëenie. Si sottolinea insomma il carattere interpersonale e sociale dell'istruzione. Nel quadro di questa concezione, Vygotskij elaborò il concetto di "zona di sviluppo prossimo", ovvero quell'area (o "parallelogramma di sviluppo") di attività mentale che il bambino può produrre con l'aiuto degli adulti (in questo contesto, soprattutto gli insegnanti), e che viene ad aggiungersi all'attività mentale che può produrre da solo. Mentre quest'ultima attività dipende fondamentalmente dalla maturazione ontogenetica, l'attività mentale socialmente mediata anticipa e si sgancia da tali tappe maturazionali. Con l'aiuto dell'insegnante, il bambino produce una prestazione cognitiva che, da solo, produrrebbe in una fase successiva (prossima) del suo sviluppo.

In generale, la "zona di sviluppo prossimo" è l'area compresa tra la prestazione "spontanea” del bambino e la prestazione migliorata per l'introduzione di stimoli-mezzo (dagli strumenti esterni agli strumenti interni realizzati grazie al rapporto interpersonale, come nel contesto scolastico). Di qui la critica vygotskijana all'impiego di strumenti di accertamento dello sviluppo cognitivo infantile (in particolare, i test d'intelligenza) limitati alla prestazione "spontanea" del bambino, senza un'analisi delle potenzialità (lo "sviluppo prossimo") che questi potrebbe esprimere se aiutato da un adulto a risolvere gli stessi problemi.

L'interesse di Vygotskij per i problemi della scuola investe tutta la sua produzione, dagli studi dei primi anni '20 sull'istruzione dei bambini handicappati fino ai lavori degli anni '30 sui processi cognitivi dei bambini normali e con ritardo mentale in relazione al contesto scolastico. Questa attività si inserisce nell'ambito della attiva partecipazione di Vygotskij alla pedologia, un orientamento teorico e applicativo in campo psicopedagogico sviluppatosi in Russia nei primi anni del Novecento. Nuovi istituti di pedologia o "pedagogia scientifica" sorsero nei primi anni '20; nel 1926 fu fondato l'Istituto di pedagogia scientifica di Mosca, dove lavorò Vygotskjj. Dopo il I congresso sovietico di pedologia (Mosca, dicembre l927 gennaio 1928), cui Vygotskij partecipò con una relazione, iniziò nel 1928 la pubblicazione della rivista "Pedologija" (Vygotskij divenne membro della redazione e vi pubblicò nel primo numero l'unico suo articolo di rilievo, tradotto in inglese durante la sua vita: The problem of the cultural development of the child nel "Journal of Genetic Psychology" del 1929). La pedologia, dapprima intesa come lo studio interdisciplinare del bambino (con contributi della biologia, pediatria, psicologia, pedagogia, ecc.), divenne negli anni '20 - in seguito a continue discussioni ideologiche - una disciplina che concentrava le proprie analisi sull'ambiente sociale in cui si sviluppa il bambino. Noti esponenti della pedologia furono, con posizioni teoriche diverse, M. Ja. Basov, Pavel P. Blonskìj e A.B. Zalkind. Vygotskij, oltre che insegnare questa disciplina in vari istituti a Mosca e Leningrado, scrisse numerose opere di pedologia, tra cui Pedologia dell'età scolare nel 1928, Pedologia dell'adolescente nel 1929-31 e Fondamenti di pedologia, una raccolta postuma di conferenze tenute negli ultimi anni.

Vygotskij caratterizzò la propria posizione concependo la pedologia non tanto come un approccio interdisciplinare allo studio del bambino ma piuttosto come la ricerca di una teoria unificata dello sviluppo psichico del bambino, fondata sul principio della riorganizzazione delle funzioni psichiche sotto l'influenza dei fattori sociali e culturali. Il 4 luglio 1936 ii Comitato centrale del Partito comunista approvò la risoluzione con la quale si condannava la pedologia, colpevole di rispecchiare le correnti psicopedagogiche "borghesi" di stampo idealistico, di fare un uso indiscriminato dei test per la selezione e l'orientamento degli alunni ed infine di non tenere conto in modo adeguato dei principi della lotta di classe. Secondo gli studi più recenti la pedologia fu essenzialmente opera di un gruppo di studiosi in buona parte di formazione europea, di scienziati non facilmente inclini ad adottare una concezione rigida dello sviluppo psichico quale si stava profilando in alcuni settori di ricerca alla fine degli anni '20, in ossequio al materialismo storico e dialettico. La fine del movimento pedologico comportò un ridimensionamento di tutta la produzione e l'attività in campo psicologico. Così le opere di Vygotskij furono bandite e divennero disponibili solo nel 1956, vent'anni dopo. Le critiche mosse a Vygotskij già nei primi anni '30 si riferivano a vari aspetti delle sue teorie, ritenute non sufficientemente aderenti al materialismo storico e dialettico, ma sempre più inquadrate nel contesto dei suoi studi pedologici. Uno dei più duri (e postumi) attacchi fu scritto da E.I. Rudneva nel '1937 con il titolo Le distorsioni pedologiche di Vygotskij.

Poco prima di morire, Vygotskij terminò di scrivere l'ultimo capitolo del libro considerato il suo capolavoro, Pensiero e linguaggio. Il libro è il risultato dell'assemblaggio di materiale diverso: la prefazione scritta da Vygotskij alla traduzione russa nel 1932 di due opere di Piaget (Le langage et lapensée chez l'enfant del 1923 e Le jugement et le raisonnement chez l'enfant del 1924), un saggio su Stern, un altro su Kòhler già pubblicato nel 1929, il cap. X del libro già pubblicato nel 1931 Pedologia dell'adolescente e dedicato allo sviluppo dei concetti, alcune parti riscritte della dissertazione dell'allieva Zosefina I. Sif (1905-77) sullo sviluppo dei concetti scientifici e quotidiani. Oltre all'ultimo capitolo (su "Pensiero e parola"), Vygotskij scrisse ex novo anche un capitolo introduttivo (su "Il problema e il metodo di indagine").

E’ evidente che l'eterogeneità degli argomenti e l'arco di tempo in cui furono originariamente scritti i vari capitoli rende questo libro non molto compatto, spesso ripetitivo e talvolta contraddittorio in alcuni suoi passi. Ciò risulta tanto più chiaramente nelle edizioni "complete" di Pensiero e linguaggio apparse nell'ultimo decennio, rispetto alle "sintesi" circolate negli anni '60, e che fecero conoscere Vygotskij in Occidente, effettivamente più agili e più facilmente leggibili (pur a discapito della fedeltà al testo e al contenuto). Pensiero e linguaggio fu ristampato in russo nel 1956, con vari tagli (riferimenti alla pedologia, ad autori occidentali come Freud e Jung, ecc.) e fu di nuovo ristampato nel 1982 con nuovi interventi di censura ideologica (tanto che quest'ultima ristampa corrisponde solo in parte alla prima edizione del 1934). L'unica traduzione fedele e completa, basata sull'edizione originale dei 1934, è quella italiana pubblicata nel 1990.

Le parti teoricamente più importanti di Pensiero e linguaggio, e che ancora costituiscono un riferimento concettuale per la ricerca contemporanea, riguardano il rapporto tra pensiero e linguaggio (e la relativa discussione critica delle tesi di Piaget su questo tema); la relazione tra linguaggio esterno e linguaggio interno; la relazione tra senso e significato. Per Vygotskij, preliminare ad ogni indagine sul rapporto tra pensiero e linguaggio, come ad ogni indagine psicologica, è la scelta del tipo di analisi. Egli respinge l'analisi che scomponeva gli "insiemi psicologici complessi" in "elementi", secondo la tradizione associazionistica ripresa da molti psicologi tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del secolo successivo. Applicando quest'analisi, infatti, si perdono per Vygotskij le proprietà dell'insieme non corrispondenti alle proprietà dei singoli elementi. Vygotskij sostiene invece un'analisi basata sulla scomposizione di "un insieme unitario di base in unità componenti" (Vygotskij, 1934, p. 13). Per "unità componenti" Vygotskij intende degli elementi che continuano a conservare le medesime proprietà dell'insieme. Ad esempio, nell'incontro tra pensiero e linguaggio, per cui un contenuto di pensiero è espresso attraverso una parola, l'unità componente che conserva le proprietà dell'insieme rappresentato dal pensiero verbale è individuata da Vygotskij nel "significato". La parola ha un aspetto esterno, il suo aspetto sonoro, e un aspetto interno, il suo significato, che conduce al contenuto di pensiero che la parola esprime: "Una parola senza significato non è una parola, ma è un suono vuoto" (Vygotskij, 1934, p.14). Il linguaggio è una forma di comunicazione interpersonale ("e un mezzo di relazione sociale", p. 15) proprio perché le parole esprimono significati intellegibili per il pensiero di coloro che comunicano. La capacità di pensare, il pensiero come funzione della mente, e la capacità di parlare, il linguaggio come altra funzione della mente, seguono sviluppi diversi, sono indipendenti (come mostravano, per Vygotskij, le ricerche di Kòhler e Yerkes sulle capacità di pensiero da una parte, e di comunicazione dall'altra, nei primati). Nel bambino, ad un certo punto dello sviluppo, queste due funzioni si intersecano dando luogo ad una funzione, il pensiero verbale, nel quale un pensiero specifico prodotto dal pensiero è espresso dal linguaggio sotto forma di una parola che di quel pensiero specifico trasmette il significato.

Lo sviluppo del pensiero verbale presenta varie tappe, che erano state descritte da Piaget nelle opere del. 1923 e 1924, e che Vygotskij tradusse nel 1932 aggiungendo una lunga prefazione assai critica. Per Piaget il linguaggio in età prescolare è un linguaggio generalmente o egocentrico (a voce alta, per sé, come una specie di sottofondo che accompagna le azioni del bambino) o sociale (nel rapporto interpersonale). Manca ancora un pensiero verbale interno (a voce bassa, per sé). Il linguaggio egocentrico - tappa precedente del linguaggio interno - ha origine dall'incontro tra il pensiero del bambino, un pensiero di tipo "autistico", che riflette il mondo psichico infantile (astratto dal contesto ambientale, immerso in se stesso, come in un sogno) e il linguaggio emesso per sé dal bambino stesso. Per Vygotskij, al contrario, il linguaggio ha immediatamente una funzione sociale, interpersonale; in seguito esso diviene strumento di pensiero nella forma silente del linguaggio interno.

Così Vygotskij (1934) riassume la sua posizione e quella di Piaget: "Questa linea direttiva nello sviluppo del pensiero infantile, dal punto di vista della teoria di Piaget, segue in generale una strada principale: dall'autismo al linguaggio socializzato, dall'immaginazione allucinatoria alla logica delle relazioni. Usando l'espressione dello stesso Piaget, si può dire che egli si sforza di osservare come sono assimilate, cioè deformate dalla sostanza psicologica del bambino, le influenze sociali esercitate su di lui dal linguaggio e dal pensiero delle persone adulte che gli sono intorno. La storia del pensiero infantile per Piaget è la storia della socializzazione graduale degli elementi profondamente intimi, interni, personali, autistici che determinano la psiche infantile. Il sociale si trova alla fine dello sviluppo, anzi il linguaggio sociale non precede quello egocentrico, ma lo segue nella storia dello sviluppo (...).

Se la nostra ipotesi non ci inganna, allora il corso dello sviluppo che conduce a quel punto dove il ricercatore osserva la ricca fioritura del linguaggio egocentrico del bambino, deve essere rappresentato in altro modo da quello sopra delineato nella esposizione delle opinioni di Piaget. Inoltre, in un certo senso, la strada che porta alla comparsa del linguaggio egocentrico è direttamente opposta a quella descritta nelle ricerche di Piaget. Se sappiamo supporre ipoteticamente la direzione del movimento di sviluppo per un breve tratto - dal momento della comparsa del linguaggio egocentrico fino alla sua scomparsa - allora potremo verificare le nostre ipotesi secondo ciò che ci è noto sulla direzione del processo di sviluppo nel suo insieme.

In altri termini, potremo verificare le regole che abbiamo trovato per tale tratto, ponendole nel contesto di quelle regole alle quali è sottoposto tutto il percorso dello sviluppo nel suo complesso. Questo sarà il metodo della nostra verifica.

Cerchiamo ora di descrivere brevemente questo percorso dello sviluppo nel tratto che ci interessa. Ragionando schematicamente, si può dire che la nostra ipotesi ci impone di rappresentare tutto il corso dello sviluppo nel modo seguente. La funzione iniziale del linguaggio è la funzione della comunicazione, del legame sociale, dell'azione su coloro che sono attorno, sia dalla parte degli adulti che dalla parte del bambino. Così il primo linguaggio del bambino è puramente sociale; non sarebbe corretto chiamarlo socializzato poiché a questa parola è legato qualche cosa che non è sociale all'inizio e diventa tale solo nel processo del suo cambiamento e del suo sviluppo.

Solo più tardi, nel processo della crescita, il linguaggio sociale del bambino, che è multifunzionale, sì sviluppa secondo il principio della differenziazione in funzioni particolari e ad una certa età deve differenziarsi nettamente in linguaggio egocentrico e comunicativo. Preferiamo chiamare in questa forma il linguaggio che Piaget chiama socializzato, sia per le considerazioni che abbiamo già espresso sopra, sia perché, come vedremo più avanti, entrambe queste forme di linguaggio, dal punto di vista della nostra ipotesi, sono funzioni del linguaggio ugualmente sociali, ma diversamente dirette. Così, secondo questa ipotesi, il linguaggio egocentrico appare sulla base di un percorso sociale, quando il bambino trasferisce le forme sociali di comportamento, le forme di collaborazione collettiva nella sfera delle funzioni psicologiche personali.

Questa tendenza del bambino ad applicare a se stesso le forme del comportamento, che prima erano forme sociali del comportamento, è ben nota a Piaget ed è stata da lui utilizzata nel suo libro per spiegare la comparsa della riflessione infantile a partire dalla disputa. Piaget ha mostrato in modo abbastanza persuasivo come la riflessione infantile sorge dopo che nel collettivo infantile nasce la disputa nel senso vero di questa parola, come soltanto nella disputa, nella discussione emergono gli elementi funzionali che danno inizio allo sviluppo della riflessione.

Qualcosa di simile accade, a nostro avviso, quando il bambino comincia a parlare a se stesso, esattamente come quando parlava prima con gli altri; quando comincia, parlando a se stesso, a pensare a voce alta là dove la situazione lo costringe.

Sulla base del linguaggio egocentrico del bambino, staccato dal linguaggio sociale, nasce in seguito il linguaggio interno del bambino, che è la base tanto del suo pensiero autistico, quanto di quello logico. Quindi nel linguaggio egocentrico del bambino, descritto da Piaget, siamo inclini a vedere il momento più importante sotto l'aspetto genetico del passaggio dal linguaggio esterno a quello interno. Se analizziamo con attenzione il materiale fattuale presentato da Piaget, vedremo che, senza che egli stesso ne abbia consapevolezza, Piaget ha mostrato in modo chiaro in quale modo il linguaggio esterno si trasforma in linguaggio interno.

Ha mostrato che il linguaggio egocentrico è un linguaggio interno per la sua funzione psichica, è un linguaggio esterno per la sua natura fisiologica. Il linguaggio diviene psicologicamente interno prima di divenire interno effettivamente. Ciò ci consente di chiarire come si attua il processo di formazione del linguaggio interno. Si attua attraverso la differenziazione delle funzioni del linguaggio, l'isolamento del linguaggio egocentrico, la sua contrazione graduale ed infine la sua trasformazione in linguaggio interno.

Il linguaggio egocentrico è una forma transitoria dal linguaggio esterno al linguaggio interno; ecco perché presenta un interesse teorico così grande.

Tutto lo schema nel suo insieme è dunque questo: linguaggio sociale-linguaggio egocentrico-linguaggio interno. Questo schema, dal punto di vista della successione dei suoi elementi costitutivi, possiamo contrapporlo da una parte alla teoria tradizionale della formazione del linguaggio interno che traccia questa successione degli elementi: linguaggio esterno-sussurro-linguaggio interno, e dall'altra allo schema di Piaget che indica così la seguente successione genetica dei momenti fondamentali nello sviluppo del pensiero logico-verbale: pensiero autistico non verbale-linguaggio egocentrico e pensiero egocentrico-linguaggio socializzato e pensiero logico" (pp. 56-58).

Quando fu pubblicata l'edizione americana di Pensiero e linguaggio nel 1962, Piaget scrisse in appendice una serie di commenti alle critiche di Vygotskij, precisando che non aveva mai conosciuto Vygotskij e che ditali critiche era stato informato parzialmente da Lurija. I rapporti tra Vygotskij e Piaget costituiscono un problema storiografico aperto. Basti dire che Piaget partecipò al VII congresso internazionale di psicotecnica tenutosi a Mosca nel 1931, un anno prima della traduzione russa dei suoi libri. In questa traduzione vi era una prefazione critica (51 pp.) di Vygotskij e, avanti ad essa, una premessa scritta da Piaget stesso appositamente per questa traduzione (dove Piaget accennava alla questione del "sociale": "Quando si lavora come sono stato costretto a fare all'interno di un ambiente sociale unico come quello dei bambini a Ginevra, è impossibile stabilire esattamente il ruolo dell'individuo e del sociale nel pensiero del bambino. Per arrivarvi, bisogna assolutamente studiare i bambini in un ambiente sociale del tutto differente e il più diversificato possibile (...). Niente può essere più utile alla scienza se non questo ravvicinamento degli psicologi russi con i lavori fatti in altri paesi" (cit. in Vygotskij, 1934, p. 82). Piaget doveva quindi aver avuto un qualche contatto più diretto con Vygotskij di quanto non si è ritenuto finora, se scrisse questa premessa. Dopo la traduzione americana del 1962, e le risposte di Piaget, si è sviluppato un processo di correzione teorica e metodologica dell'impostazione piagetiana secondo la prospettiva storico-culturale vygotskijana.

Nello sviluppo del pensiero verbale si realizza dì nuovo il processo già descritto per cui una funzione (il linguaggio sociale), acquisita nella relazione interpsichica, diviene una funzione intrapsichica (il linguaggio interno). Una delle analisi più fini del libro di Vygotskij è quella condotta nell'ultimo capitolo sulla differenza tra linguaggio esterno e linguaggio interno. Il linguaggio interno risulta sostanzialmente diverso dal linguaggio esterno per le sue caratteristiche sintattiche (essendo un linguaggio per sé, esso è abbreviato, frammentato; è predicativo per l'omissione del soggetto della frase, noto a chi parla dentro di sé). Certo, anche il linguaggio esterno, nel dialogo tra due persone che si conoscono fra loro e conoscono il contenuto di cui stanno parlando, può assumere forme sintattiche simili a quelle del linguaggio interno (come Vygotskij mostra in esempi tratti dalla letteratura e dalla vita quotidiana, due persone possono comunicare tra di loro producendo frasi abbreviate, senza soggetto, e comunicando il senso attraverso l'intonazione).

Un'altra distinzione - fondamentale per caratterizzare ulteriormente il linguaggio interno è quella illustrata da Vygotskij tra senso e significato di una parola. Vygotskij aveva presente a questo riguardo l'articolo Qu 'est-ce le sens des mots? (1928) dello psicologo francese Frederic M. Paulhan (1856-1931). II confine tra il senso e il significato è sfumato, fluttuante, ma si può dire che il significato di una parola è ciò che è condiviso dalla maggioranza dei parlanti, ciò che una parola significa attenendoci alla definizione data nel vocabolario. Il senso è invece il significato che la parola ha per il parlante, un significato che è noto a lui solo. Una qualsiasi parola evoca quindi un significato comune e un significato personale (il senso). Nel linguaggio interno - precisa Vygotskij - il senso domina sul significato; nel linguaggio esterno, nella comunicazione interpersonale, invece domina il significato perché è necessario che questo sia noto e condiviso dagli interlocutori affinché abbia luogo la comunicazione stessa. A meno che la comunicazione non si realizzi nella falsariga del linguaggio interno, per cui il significato "nascosto" della parola, il senso, è noto ad entrambi gli interlocutori. Anche di questa forma di comunicazione dei.sensi Vygotskij fornisce vari esempi tratti dalla letteratura e dalla vita quotidiana.

Dalla parola e dai significati condivisi ai significati personali e ai sensi delle parole; dal linguaggio al pensiero: il comportamento esterno dipende dunque dal mondo psichico interno. E’ questo mondo interno che spinge al comportamento esterno, è il mondo che non può essere eluso dalla ricerca psicologica se si vuole appunto comprendere il "senso" profondo del comportamento. Tuttavia, dietro al piano del pensiero vi è, per Vygotskij, il mondo degli affetti, delle emozioni e delle motivazioni. Nell'analisi dei piani interni del pensiero verbale, conclude Vygotskij, "il pensiero non è ancora l'ultima istanza in tutto questo processo. Il pensiero stesso nasce non da un altro pensiero, ma dalla sfera motivazionale della nostra coscienza, che abbraccia i nostri impulsi e le nostre motivazioni, i nostri affetti e le nostre emozioni. Dietro al pensiero vi è una tendenza affettiva e volitiva. Soltanto essa può dare una risposta all'ultimo 'perché' nell'analisi del pensiero. Poiché abbiamo già paragonato sopra il pensiero ad una nube incombente, che riversa una pioggia di parole, allora dovremmo, per seguire questo confronto immaginario, identificare la motivazione del pensiero con il vento che fa muovere le nuvole. Una comprensione reale e completa del pensiero altrui è possibile soltanto quando scopriamo il suo retroscena reale, affettivo-volitivo" (1934, p. 391).

Nell'arco di dieci anni prima della morte, Vygotskij produsse una notevole quantità di articoli in campi diversi, spinto sempre più dall'esigenza di fondare una teoria unitaria dello sviluppo psichico in cui i vari "piani" del mondo psichico fossero integrati tra di loro. Negli ultimi anni, l'interesse per la teoria delle emozioni rifletteva l'esigenza di esplorare la dimensione affettiva del mondo psichico cui avrebbe accennato nelle ultime pagine di Pensiero e linguaggio. La "crisi della psicologia" che aveva denunciato all'inizio dei suoi studi di psicologia era dovuta proprio alla sconnessione sia tra le varie funzioni psichiche, sia tra la dimensione dinamica e quella cognitiva, con la conseguente frantumazione della psicologia in scuole diverse ciascuna delle quali aveva privilegiato l'indagine di una specifica funzione o dimensione. La morte prematura impedì a Vygotskij di completare il suo progetto. Si può comprendere quindi come la mancanza di una sintesi finale abbia reso trasparente, tanto più oggi che si conosce la produzione vygotskijana, il debito di Vygotskij nei confronti degli studiosi contemporanei di psicologia, pedagogia, linguistica e antropologia.

Vygotskij lesse accuratamente e criticamente le opere di psicologi come N. Ach, A. Adler, J.M. Baldwin, K. Bühler, H. Delacroix, S. Freud, P. Janet, K. Koffka, W. Köhler, K. Lewin, J. Piaget, W. Stern e H. Werner; di pedagogisti come E. Claparède, E. Meumann e M. Montessori; di linguisti come L.P. Jakubinskij, P.M. Paulhan, G. Spet e K. Vossler e dei membri del circolo linguistico di Praga (forse anche di M. Bachtin e F. de Saussure, quest'ultimo conosciuto attraverso l'opera della linguista russa R. Sor); di antropologi ed etnologi come L. Lévy-Bruhi e R. Thurnwald. E si devono aggiungere le fonti filosofiche: quelle del marxismo classico (Marx ed Engels) e contemporaneo (Lenin, Bogdanov) e in parte della fenomenologia, conosciuta attraverso Spet, allievo di Husserl a Friburgo e professore di Vygotskij a Mosca. Questa conoscenza diretta di aree diverse avrebbe potuto permettere a Vygotskij di realizzare una nuova sintesi teorica, supportata da una sperimentazione originale che insieme ai suoi collaboratori aveva cominciato ad avviare. La sua morte, gli eventi ideologico-politici della metà degli anni '30 e le prime scissioni interne al gruppo vygotskijano bloccarono il processo di ricerca teorica e sperimentale che egli aveva delineato.

LA PSICOLOGIA SOVIETICA

Con la Rivoluzione d'ottobre (1917) si verificò una profonda trasformazione nella cultura e nella scienza russa. Con queste parole lo psicologo Pavel P. Blonskij manifestava l'entusiasmo per tale evento: "Penso d'essere stato fortunato per aver vissuto nell'epoca della Rivoluzione d'ottobre. Epoche del genere costringano a riflettere categoricamente su tutto, pongono tutto in discussione e mettono a nudo le stesse fondamenta" (1961, p. 43). Le parole chiave divennero perestroika (ricostruzione) e postroenie (edificazione).

Anche la psicologia doveva essere ricostruita ed edificata su nuove basi, alla luce del materialismo storico e dialettico. Il primo effetto della perestroika fu la sostituzione del direttore dell'istituto di psicologia di Mosca, fondato nel 1912 e aperto ufficialmente nel 1914: lo psicologo spiritualista e allievo di Wundt, Georgij I. Celpanov (1862-1936) fu sostituito nel 1923 con Konstantin N. Kornilov (1879-1957), che nello stesso anno pubblicò un saggio su La psicologia contemporanea e il marxismo. Kornilov elaborò una nuova teoria del comportamento umano basata sul concetto di reazione (“reattologia"). All'istituto si formò un gruppo di giovanissimi psicologi, alcuni dei quali costituirono il nucleo della "scuola storico-culturale" (A. N. Leont'ev, A.R. Lurija, L.S. Vygotskij).

Nel periodo compreso tra il 1924 e il 1936, le principali teorie della psicologia sovietica furono: la reattologia di Kornilov; la teoria di Pavel P. Blonskij (1884-1941), autore di studi di psicologia dello sviluppo e dei processi cognitivi (Memoria e pensiero, 1935); la riflessologia di Bechterev; la teoria storico-culturale. (La teoria pavloviana era considerata, in quegli anni, una teoria fisiologica riduzionistica del comportamento e non rientrava propriamente fra le teorie psicologiche). Un notevole sviluppo ebbe inoltre l'applicazione della psicologia sia nel campo della scuola (pedologia) che in quello del lavoro (psicotecnica). Furono pubblicate nuove riviste: Psicologia (dal 1928 al 1932) e Psicofisiologia del lavoro e psicotecnica (dal 1928 al 1931), che cambiò ii titolo in "Sovetskaja psichotechnika" (Psicotecnica sovietica) (dal 1932 al 1934). Nel 1936 il decreto del Comitato centrale del PCUS condannò la pedologia perché si richiamava a teorie "borghesi", impiegava i test intellettivi in modo acritico e proponeva una concezione meccanica dello sviluppo psichico e della prassi educativa. Con il decreto venivano indirettamente criticati gli psicologi come Blonskij e Vygotskij - che avevano contribuito alta pedologia, i quali furono attaccati anche nelle loro teorie più generali in psicologia.

Dopo una ventina d'anni, in cui la psicologia sovietica fu soffocata da una graduale "pavlovizzazione" culminata nella Sessione del 1950, vi fu una ripresa della ricerca e dell'insegnamento della psicologia. Nel 1956 ricomparve una rivista di psicologia “Problemi di psicologia” e fu pubblicata una raccolta di scritti di Vygotskij, tra cui una ristampa seppure censurata - di Pensiero e linguaggio. La scuola storico-culturale riavviò le proprie ricerche sui processi cognitivi, sullo sviluppo psichico infantile e sui problemi di psicopedagogia. Nel dibattito teorico sui fondamenti della psicologia ebbero una importanza notevole le opere di Sergei L. Rubinstejn, prima proclamato il teorico ufficiale della psicologia sovietica e poi limitato nella sua attività di studioso tra il 1948 e il 1953. A Tblisi si formò inoltre un gruppo di ricerca (la "scuola georgiana") che si propose di studiare in chiave sperimentale i processi inconsci, sulla base del concetto di ustanovka (set) elaborato da Dmitri N. Uznadze (1886-1950).

Nel 1966 si tenne a Mosca il XVIII congresso internazionale di psicologia, che permise agli psicologi sovietici di rientrare nel contesto scientifico internazionale. Nei 1972 fu fondato a Mosca l'istituto di psicologia dell'Accademia delle scienze. Promotore e direttore dell'istituto fu Boris F. Lomov(1927-87), una nuova figura della psicologia sovietica orientata verso il cognitivismo e l'assimilazione di nuove metodologie e tecnologie di ricerca provenienti dall'Occidente. L'istituto fu fondato per svolgere in buona parte ricerche nel campo militare e nell'astronautica: tutti i famosi astronauti sovietici, a cominciare da Jurij Gagarin, hanno avuto una formazione psicologica per affrontare scientificamente i problemi psicologici posti dai voli spaziali (Gagarin scrisse con V. Lebedev il bel libro La psicologia e il cosmo nel 1968). A Lomov è successo Andrej V. Bruàiinskij, allievo di Rubinstejn. L'istituto cura dal 1980 il “Giornale di psicologia”.

Negli anni '80 gran parte del dibattito teorico della psicologia sovietica si è concentrato sulla "teoria dell'attività".

La psicologia sovietica è stata divulgata in Occidente in modi travisati e parziali a causa sia delle informazioni e dei documenti "selezionati" provenienti dall'URSS, sia della lettura ideologica che ne hanno fatto gli psicologi occidentali. Quando il pavlovismo fu propagandato come la psicologia ufficiale dell'URSS, gli psicologi europei comunisti - negli anni '50 - si sentirono in dovere di aderire incondizionatamente a una teoria che mal si conciliava con il materialismo storico e dialettico. Una conoscenza più completa e corretta della psicologia sovietica cominciò ad essere realizzata solo negli anni '60, grazie agli sforzi di psicologi statunitensi, tra cui in primo luogo Michael Cole, curatore insieme ad Irving Maltzman di un fondamentale Handbook of contemporary Soviet psychology (1969). Molto importante è stata anche la rivista "Soviet Psychology" (fondata nel 1962), su cui sono comparse traduzioni di testi classici e contemporanei di psicologi sovietici. In Italia il primo lavoro sistematico sulla psicologia sovietica si deve a Angiola Massucco Costa (Psicologia sovietica, 1963).

Con la fine dell'Unione Sovietica nei 1991, non ha più senso parlare di una psicologia sovietica come corpo unitario di principi teorici ispirati at materialismo storico e dialettico, anche se vari psicologi russi continuano a lavorare secondo tale indirizzo. Significativamente nel 1992 la rivista "Soviet Psychoiogy" ha cambiato titolo ed è divenuta "Journal of Russian and East European Psychology".

LA TEORIA STORICOCULTURALE NEGLI ANNI '30

Negli anni '60 in Unione Sovietica si diffuse l'espressione "scuola storico-culturale" per indicare il gruppo di psicologi che si riferivano alla teoria sviluppata da Vygotskij sullo sviluppo psichico infantile e ne continuavano l'elaborazione, interrotta verso la metà degli anni '30 per i motivi prima accennati. Oltre che a Vygotskij, ci si richiamava alle opere di A.N. Leont'ev e A.R. Lurija, che costituivano assieme al primo quella che era chiamata la trojka fondatrice della scuola storico-culturale. Tuttavia, quando si parlava di "teoria storico-culturale" si intendeva semplicemente l'approccio seguito da Vygotskij e Lurija nell'unica opera sistematica di psicologia pubblicata da Vygotskij quando era ancora in vita (gli Studi di storia del comportamento del 1930), non già un gruppo compatto formato da Vygotskij e collaboratori, in primo luogo Leont'ev. E in effetti, come hanno dimostrato studi recenti, negli anni '20 e '30 non si può parlare propriamente di "scuola storico-culturale". Negli anni '30, come è emerso da questi studi, si formò piuttosto un gruppo di psicologi (la "scuola di Charkov"), che si distaccò da Vygotskij, e di cui facevano parte Leont'ev e altri psicologi un po' più giovani dei membri della trojka. Un gruppo "più fedele", più puramente vygotskijano, fu rappresentato invece dai collaboratori di Vygotskij nelle istituzioni pedologiche e nell'Istituto di difettologia (di cui Vygotskij era stato direttore scientifico dal 1931). In conclusione, dunque, una vera e propria "scuola storico-culturale" ispirata alla teoria di Vygotskij si formò solo negli anni '60. Tuttavia questa scuola inglobava elaborazioni teoriche, maturate nella passata scuola di Charkov, che la distanziavano notevolmente dalla teoria vygotskijana. Alla fine degli anni '70 divenne chiaro che questa scuola aveva il proprio nucleo centrale nella "teoria dell'attività" elaborata da Leont'ev e da altri psicologi sovietici, tra cui in primo luogo S. Rubinstejn. A questo punto, la teoria dell'attività va considerata non tanto come un momento dello sviluppo di una ipotetica unitaria scuola storico-culturale, ma come un orientamento autonomo sviluppatosi comunque da una premessa fondamentale fornita dalla teoria vygotskijana. Sembra dunque definitivamente tramontata l'idea di una scuola, fondata da Vygotskij, Leont'ev e Lurija, compatta intorno ad alcune tesi principali dalla sua fondazione fino ad oggi.

La teoria storico-culturale di Vygotskij fu verificata in numerose ricerche empiriche, di alcune delle quali (come le ricerche psicologiche transculturali) non abbiamo avuto documentazione adeguata fino agli anni '70.

Il primo campo di indagine riguardò lo sviluppo dei processi cognitivi del bambino. Un primo nucleo di studi affrontò lo sviluppo della memoria, mettendo in evidenza la possibilità di un miglioramento della prestazione attraverso l'introduzione degli stimoli-mezzo in particolare in un'età infantile intermedia, tra i 7 e i 12 anni (gli studi più importanti furono presentati nella prima monografia di A.N. Leont'ev, Lo sviluppo della memoria del 1931; e nei saggi di L.V. Zankov, psicologo nell'istituto di psicologia di Mosca). La stessa procedura degli stimoli-mezzo (procedura detta della "doppia stimolazione", dove lo stimolo mezzo rappresenta un secondo stimolo) fu adottata nello studio dell'attenzione (su cui Leont'ev scrisse l'articolo The development of voluntary attention in the child, comparso nel "Journal of Genetic Psychology" del 1932). La formazione dei concetti fu studiata direttamente da Vygotskij, rielaborando la procedura impiegata da N. Ach, assieme al suo collaboratore L.S. Sacharov (autore nel 1930 dell'articolo “Sui metodi di studio dei concetti nello scolaro”). L'altra allieva di Vygotskij, Z.I. Sif, psicologa dell'Istituto pedagogico Herzen di Leningrado, dedicò i primi suoi lavori, in larga parte esposti nei capp. V e VI di Pensiero e linguaggio, alla formazione dei concetti nel bambino (la sua monografia più importante fu Lo sviluppo dei concetti quotidiani e scientifici nello scolaro del 1935). Un altro indirizzo importante di ricerche fu quello relativo allo sviluppo del linguaggio, di cui Lurija si occupò in una serie di studi soprattutto in relazione all'effetto dell'ambiente socio-culturale Linguaggio e intelletto del bambino di campagna, di città e abbandonato del 1930). L'interazione tra fattori genetici e fattori storico-culturali fu studiata da Lurija all'istituto medico-biologico di Mosca, confrontando le prestazioni cognitive di gemelli monozigoti e mettendo in evidenza la relativa indipendenza delle funzioni psichiche superiori (influenzate dai fattori storico-culturali) rispetto alle funzioni psichiche elementari (di natura genetica). Lurija riprese questa tematica nel libro del 1956 scritto assieme a F. Ja. Judovic Linguaggio e sviluppo dei processi mentali nel bambino.

La ricerca più notevole sull'influenza dei fattori storico-culturali sui processi cognitivi fu quella diretta da Lurija nelle due spedizioni in Uzbechistan, nel 1931 e nel 1932. Scopo della ricerca era verificare se in individui appartenenti ad una cultura "primitiva", in isolati villaggi asiatici, i processi cognitivi funzionavano diversamente da quelli di individui occidentali istruiti. Alla seconda spedizione partecipò anche K. Koffka, particolarmente interessato allo studio delle illusioni ottico-geometriche in questi soggetti. I risultati furono interpretati da Lurija come la dimostrazione della teoria storico-culturale ("Gli Uzbechi non hanno illusioni", avrebbe scritto Lurija a Vygotskij, ma Koffka non condivideva questa interpretazione dei dati raccolti). I risultati delle spedizioni, o meglio l'interpretazione di Lurija, furono duramente criticati in quanto avrebbero mostrato una "inferiorità" cognitiva di queste popolazioni, proprio mentre era in atto il processo di acculturazione (panrussa) voluto da Stalin. Lurija poté pubblicare solo dei brevi resoconti delle due spedizioni, in articoli comparsi tra ii 1931 e il 1934 sulle riviste "Science" e "Journal of Genetic Psychology". Nel 1974 presentò in forma sistematica buona parte dei risultati nel libro Lo sviluppo storico dei processi cognitivi (tradotto in italiano con il titolo Storia sociale dei processi cognitivi).

L'ultimo settore di ricerca sviluppatosi intorno a Vygotskij fu lo studio dei "deficit" cognitivi (la difettologia) in bambini con handicap sensoriali e con ritardo mentale da danni cerebrali, e lo studio dei disturbi cognitivi in pazienti adulti con sindromi psichiatriche o lesioni cerebrali. Fin dai primi lavori sui bambini ciechi e sordomuti, Vygotskij ebbe una particolare attenzione per il problema di una psicopedagogia adeguata sia alla comprensione delle caratteristiche dei processi cognitivi nei bambini handicappati, sia all'introduzione di curricola speciali di insegnamento. Vygotskij rifiutava la concezione, allora assai diffusa, che l'handicap procurasse un deficit, una menomazione rispetto alla struttura ("normale" della mente, per cui si poteva affermare che, ad esempio, la mente di un bambino non vedente era simile a quella di un vedente meno la funzione visiva. Sosteneva invece che la mente si riorganizza in relazione alla specificità dell'handicap e acquisisce una nuova struttura, di cui si deve tener conto nel processo educativo. I lavori compiuti all'Istituto di difettologia rimasero al margine del dibattito intorno alle idee vygotskijane in pedologia e psicologia e poterono quindi essere proseguiti anche negli anni bui della psicologia sovietica tra il 1936 e il 1956. Uno dei risultati più importanti fu quello ottenuto nell'istruzione dei bambini ciechi-sordo-muti. Infine, Vygotskij scrisse alcuni lavori sul pensiero e il linguaggio nella schizofrenia (tra questi, uno fu pubblicato postumo nel 1934 sulla rivista "Archives of Neurology and Psychiatry" col titolo Thought in schizophrenia, ed ebbe una certa risonanza tra gli psicologi e psichiatri statunitensi). Furono inoltre pubblicati postumi due saggi sul problema della localizzazione cerebrale delle funzioni psichiche, tema che Vygotskij aveva cominciato a studiare in funzione delle sue indagini sui processi cognitivi in soggetti cerebrolesi presso l'Istituto di medicina sperimentale di Mosca. Dalle riflessioni teoriche di Vygotskij si sviluppò il concetto di "sistema funzionale" applicato sistematicamente da Lurija.

4. La teoria dell'attività

Nel corso degli anni '80, ad una ricognizione retrospettiva della psicologia sovietica, è risultato chiaro - come abbiamo già rilevato - che una compatta scuola storico-culturale o scuola vygotskijana non è mai esistita; piuttosto, si è individuato un orientamento teorico distinto, la cosiddetta "teoria dell'attività". Questa teoria, sviluppatasi nell'ambito del contesto teorico vygotskijano, se ne era presto distaccata per alcuni aspetti essenziali. Nel 1931-32 un gruppo di allievi e collaboratori di Vygotskij si trasferì in Ucraina, a Charkov (dove era stata istituita una sezione di psicologia presso l'Accademia ucraina di psiconeurologia), apparentemente per continuare la linea di ricerca vygotskijana, in realtà per avviare un nuovo progetto di indagine sullo sviluppo dei processi psichici. I motivi del trasferimento erano dovuti alle difficili condizioni che si stavano creando a Mosca, anche in seguito alla chiusura dell'Accademia dell'educazione comunista, dove lavoravano vari collaboratori di Vygotskij. Del gruppo, o "scuola di Charkov", come è stata chiamata, facevano parte Leont'ev, Lurija (che comunque rientrò presto a Mosca), Aleksandr Zaporozec (1905-81), Lidja Bozovic (1908-19), Pëtr Gal'perin (1902-88) e altri. A Vygotskij essi rimproveravano di aver inquadrato lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori in una prospettiva eccessivamente "culturale". Queste funzioni nella lettura che essi fecero della teoria vygotskijana - si sarebbero sviluppate essenzialmente sotto l'influenza dei fattori culturali (nella famiglia, nella scuola, ecc.) attraverso la mediazione principale del linguaggio, prima orale e poi scritto, nelle popolazioni alfabetizzate. Vygotskij, insomma, non avrebbe tenuto conto che le funzioni psichiche, elementari o superiori che siano, si sviluppano nel rapporto concreto che il bambino ha con la realtà esterna. Infatti, il bambino è geneticamente programmato per interagire con l'ambiente esterno nel suo complesso e con gli altri individui, attraverso l'esplorazione motoria, la comunicazione non verbale e verbale, l'espressione delle emozioni, il progressivo inserimento in una dinamica di gruppo, ecc. Lungo questo processo di "attività pratica" si sviluppano le funzioni psichiche.

Così Vladimir P. Zinenko, allievo di Gal'perin e Leont'ev, sintetizzava le critiche del gruppo di Charkov a Vygotskij, a pochi anni dalla sua morte: "Si pensava che la caratteristica centrale della mente umana fosse il dominio sulla mente naturale o biologica tramite l'uso di mezzi ausiliari psicologici. L'errore fondamentale di Vygotskij è contenuto in questa tesi in cui interpretava in modo errato la concezione marxista della determinazione storico-sociale della mente umana. Vygotskij interpretò la prospettiva marxista in modo idealistico. Il condizionamento della mente umana da parte di fattori storico-sociali venne ridotto all'influenza della cultura umana sull'individuo. Egli pensava che la sorgente dello sviluppo mentale fosse l'interazione della mente del soggetto con la realtà culturale e ideale, piuttosto che il suo rapporto effettivo con la realtà" (1939, pp. 66-67).

Una critica analoga fu avanzata tra gli anni '30 e '40 da Sergei L. Rubinstejn5 (1889-1960), con il quale Vygotskij era entrato in contatto negli ultimi anni, quando frequentava l'Istituto Herzen a Leningrado. Rubinstejn ebbe un'alterna fortuna nella storia della psicologia sovietica: dapprima elogiato per la sua ortodossia marxista (la sua opera Fondamenti di psicologia generale del 1940 gli valse il premio di Stato nel 1942; nello stesso anno fu nominato direttore dell'istituto di psicologia), ma fu in seguito criticato e isolato presso l'Istituto di filosofia di Mosca. Nel saggio del 1934, Problemi di psicologia nelle opere di Karl Marx, Rubintejn svolge una lettura psicologica dei Manoscritti economico-filosofici di Marx, pubblicati per la prima volta nei primi anni '30, individuando nel testo marxiano alcuni concetti-chiave come quelli di attività e coscienza. Rubinstejn insiste sul fatto che i processi psichici umani si sviluppano in un rapporto "concreto" con la realtà esterna mediata dalle relazioni sociali e non tanto in un rapporto "semiotico", quale avrebbe descritto Vygotskij. Le tesi di Rubinstejn valsero senz'altro ad affinare teoricamente le riflessioni che andava svolgendo Leont'ev negli stessi anni. Sulla priorità di Rubinstejn nel proporre una teoria dell'attività è sorto negli anni '80 un dibattito cui hanno partecipato i sostenitori di Rubinstejn da una parte (tra cui A. V. Brulinskij), e quelli di Leont'ev dall'altra.

Il concetto di "attività" è ad ogni modo fondamentale nella teoria elaborata da Aleksej N. Leont'ev6 (1903-79), che aveva aderito nella seconda metà degli anni '20 all'impostazione teorica e metodologica di Vygotskij, autore della prefazione al suo primo libro Lo sviluppo della memoria del 1931, e se ne era distaccato nei primi anni '30 con il trasferimento a Charkov. Prima nella tesi di dottorato del 1940 sullo "sviluppo della psiche" e poi nella monografia del 1947, Saggio sullo sviluppo della psiche, Leont'ev delinea una sintesi generale delle proprietà delle funzioni psichiche lungo la scala filogenetica, mettendo in evidenza il salto dalle “leggi dell'evoluzione biologica" che regolano lo sviluppo psichico degli animali alle "leggi dello sviluppo storico-sociale" su cui si fonda lo sviluppo della psiche umana. A determinare questo passaggio fondamentale sono le nuove forme di attività connesse alle condizioni che si realizzano nel lavoro, "attività specificatamente umana". Nel lavoro sono fondamentali sia l'uso degli strumenti (si ricordi, la teoria vygotskijana sul ruolo dello strumento esterno, poi interno, per lo sviluppo psichico) che i rapporti interpersonali. Nell'ambito dell'analisi dell'attività lavorativa, Leont'ev sottolinea la fondamentale distinzione tra attività e azione nel comportamento umano. Negli animali un'attività (ad esempio, cacciare una preda, l'oggetto dell'attività) è un insieme di azioni (appostamento, inseguimento, ecc.) che sono strettamente finalizzate alla soddisfazione della motivazione (fame). Come dice Leont'eV, la motivazione biologica e l'oggetto dell'attività sono direttamente connessi. Nel caso dell'attività umana, invece, si ha un cambiamento nella struttura interna dell'attività. I singoli membri di un gruppo sociale svolgono ciascuno una determinata azione (ad esempio, nella caccia un individuo può esplorare il terreno, un altro stanare la preda, un altro ucciderla, un altro scuoiarla, ecc.) la quale non comporta il raggiungimento diretto dell'oggetto e la soddisfazione del bisogno. Quest'azione, inoltre, può essere svolta con "operazioni" diverse (ad esempio, un animale può essere stanato con dei rumori, agitando un ramo nella tana, ecc.). Mentre l'attività complessiva è spinta da una motivazione (procurarsi il cibo), la singola azione si pone uno scopo specifico apparentemente indipendente (così inseguire un animale non necessariamente significa che il fine sia quello di ucciderlo per procurarsi il cibo). Le varie azioni sono distribuite, secondo modelli culturali, tra i vari membri che nel loro insieme arrivano a soddisfare la motivazione dell'attività complessiva. Nel comportamento umano, dunque, l'azione individuale non è collegata alla motivazione in modo diretto; essa acquista il suo significato motivazionale solo se riferita al complesso delle altre azioni svolte dagli altri membri del gruppo. La singola azione non avrebbe un significato per colui che la compie se in questo non vi fosse un'"immagine" (potremmo dire, una rappresentazione psichica) per cui è noto che tale azione è indispensabile al futuro conseguimento dell'oggetto. Nell'esempio della caccia, il battitore che spaventa la preda compirebbe un'azione senza senso (fa scappare la preda, invece di catturarla) se in lui non vi fosse l'idea o immagine che tale sua azione è necessaria ad un complesso di altre azioni, che garantiscono un effettivo successo.

Nella psiche umana - rileva Leont'ev - l'oggetto dell'attività complessiva è separato dall'azione di per sé, immediata, ma è trattenuto nella psiche come un riferimento interno che dà il significato all'azione stessa (si ricordi il passo del Capitale di Marx, sopra citato, sull'"idea del lavoratore"). Se è vero che il battitore nella caccia apprende una serie di abilità percettivo-motorie per svolgere determinate azioni, tuttavia il significato di queste azioni non è nel loro effetto immediato, ma è conservato in una rappresentazione psichica culturalmente acquisita. Leont'ev distingue il "senso", soggettivo o personale che un individuo ha delle proprie azioni, dal "significato" che esse acquistano nell'attività collettiva. Senso e significato dell'azione coincidono sempre di meno con lo sviluppo della società e la divisione del lavoro. Nella situazione dell'operaio della catena di montaggio descritta dal marxismo come "alienazione", l'operaio compie una serie di azioni senza conoscerne il significato finale nel complesso della catena stessa, perché tale significato non gli viene trasmesso. Ciò che compie l'operaio (ad esempio, lavorare al tornio) ha per lui solo un senso personale (=per queste sue azioni egli riceve un salario), ma non quel significato complessivo che è connesso alle finalità produttive della fabbrica.

La coscienza per Leont'ev, come per Vygotskij, non è quindi concepita come una dimensione che si sovrappone dall'alto alle funzioni psichiche, ma è il risultato della interiorizzazione dei processi intervenuti nello svolgimento delle attività: "La coscienza dell'uomo, come la sua stessa attività - scrive Leont'ev non sono additive. Non è una superficie, né un contenitore riempito di immagini e di processi. Non è neppure un nesso tra le sue singole 'unità', ma il movimento interno dei suoi costituenti, incluso nel generale movimento dell'attività, che costituisce la vita reale dell'individuo nella società. L'attività umana costituisce la sostanza stessa della sua coscienza" (1975, p. 138).

Nella storia della coscienza, dapprima la coscienza è rispecchiamento psichico di ciò che l'uomo fa in interazione con la realtà esterna: essa corrisponde allora alle "immagini" che incorporano gli oggetti e gli scopi delle azioni. Successivamente si amplia e diviene consapevolezza di questa stessa realtà interna: "La coscienza iniziale esiste solo nella forma dell'immagine psichica, che schiude al soggetto il mondo che lo circonda; l'attività rimane, come in precedenza, pratica, esterna. In una tappa più tarda, oggetto della coscienza diviene anche l'attività; divengono coscienti le azioni degli altri e attraverso esse le azioni proprie del soggetto" (1975, p. 114).

La teoria di Leont'ev, illustrata nelle opere degli anni '40, fu criticata da Rubinstejn perché conservava una concezione del soggetto ancora troppo astratta. Sebbene Leont'ev, rispetto a Vygotskij, avesse riportato l'analisi dello sviluppo psichico al rapporto tra individuo e condizioni storico-sociali precise quali si manifestano nell'attività lavorativa, tale individuo era un "soggetto storico-sociale" quale poteva essere considerato in un'analisi storico-economica (il soggetto delle analisi del Capitale di Marx). In sostanza Leont'ev avrebbe delineato una storia della coscienza umana in generale, una "psicologia storica" di lunga durata, dall'uomo primitivo all'uomo della società industriale, senza fornire gli elementi concettuali adeguati per una effettiva ricerca empirica sullo sviluppo psichico individuale.

Il problema principale in tutta questa discussione sul concetto di "attività" è stato che essa si è svolta più al livello teorico che a quello empirico, senza che le varie precisazioni di tale concetto fossero illustrate con dati sperimentali. Si deve anche dire che la connotazione troppo "filosofizzante" del dibattito condotto tra la seconda metà degli anni '70 e gli anni '80 non è stata l'unica caratteristica limitativa. A causa del crescente isolamento culturale e scientifico dell'Unione Sovietica nell'ultimo decennio, per lo meno nel campo delle scienze umane e della psicologia - isolamento dovuto alle progressive ristrettezze economiche e ai controlli ideologici esercitati in questo campo -, gli psicologi sovietici si sono trovati a dibattere sul concetto di attività, quasi come esclusiva tematica della psicologia contemporanea, fuori dal contesto internazionale cui difficilmente potevano accedere. Un confronto di più ampio respiro è sorto quando intorno al tema dell'attività si sono incontrati psicologi sovietici e psicologi occidentali alla fine degli anni '80.

Il dibattito sul concetto di attività in Leont'ev si è intrecciato negli anni '70 con quello sulla sua relazione con la teoria vygotskijana, un dibattito reso sempre più vivace anche dalla graduale pubblicazione di scritti inediti di Vygotskij. Tuttavia la teoria di Leont'ev, esposta nelle due raccolte di saggi Problemi dello sviluppo psichico del 1959 (più volte ristampato e accresciuto) e Attività, coscienza, personalità del 1975, è stata considerata per almeno tre decenni (dagli anni '60 agli anni '80) il riferimento teorico principale della psicologia sovietica, tanto più che Leont'ev ebbe un riconoscimento ufficiale nel 1963 con l'assegnazione del premio Lenin, una specie di premio Nobel sovietico, per il libro “Problemi dello sviluppo psichico”.

Gli psicologi sovietici, in particolare presso l'Istituto di psicologia generale e pedagogica della Accademia delle scienze pedagogiche e presso la facoltà di psicologia di Mosca, lavorarono comunque intorno ai temi classici trattati da Vygotskij, al di là della fedeltà al pensiero vygotskijano o a quello di Leont'ev. I processi cognitivi furono quindi l'argomento principale di indagine: la percezione (A.V. Zaporotec, Percezione e azione, 1967; V.P. Zinenko e N.Ju. Vergiles, La formazione dell'immagine visiva, 1969); l'attenzione (P.Ja. Gal'perin, La formazione sperimentale dell'attenzione 1974); la memoria (P. I. Zinenko, La memoria involontaria, 1961); la formazione dei concetti (V.V. Davydov, Tipi di generalizzazione nell'istruzione, 1972); il linguaggio (Aleksej A. Leont'ev, figlio di Aleksej N., Fondamenti di una teoria del linguaggio, 1974). Inoltre tutta la produzione psicologica di Lurija si è inquadrata nel filone vygotskijano.

La ricaduta forse più rilevante di tutti questi studi si è avuta nel campo psicopedagogico. La riforma della scuola primaria negli anni '60 fu infatti orientata dagli studi evolutivi degli psicologi moscoviti. L'Istituto per l'educazione prescolare di Mosca, diretto da Zaporozec, condusse ricerche originali sui processi cognitivi nell'età prescolare di interesse immediato per i curricula scolastici (una raccolta di saggi su questa problematica comparve in inglese nel 1971, a cura di A.V. Zaporoec e D. B. El'konin, The psychology of preschool children). Altri contributi importanti in psicopedagogia si devono a Danijl B. El'konin, allievo di Vygotskij all'istituto Herzen di Leningrado, autore di studi sulla psicologia del gioco e della monografia sistematica Psicologia del bambino del 1960, molto diffusa grazie anche alle varie traduzioni occidentali; e a Gal'perin e Davydov (autore di Problemi dell'istruzione evolutiva, 1986).

Come si è già notato, un'area di ricerca che non è stata attraversata da dibattiti teorici e da polemiche e ha conseguito importanti risultati empirici e applicativi, è stata la psicologia dei bambini handicappati (la "difettologia"). Oltre ai vari lavori svolti presso l'Istituto di difettologia di Mosca, un grande interesse hanno suscitato gli studi su bambini cieco-sordomuti svolti presso l'Istituto per la loro riabilitazione, fondato nel 1963 a Zagorsk, un paese nei dintorni di Mosca. Nel programma di riabilitazione, che si richiamava alla teoria vygotskijana, ed era diretto da Aleksandr I. Mescerjakov (1923-74), allievo di Lurija, i bambini apprendevano a manipolare gli oggetti in attività concrete finalizzate alla soddisfazione dei propri bisogni essenziali (mangiare, lavarsi, vestirsi, ecc.). Attraverso la rappresentazione mentale delle azioni compiute, e l'interiorizzazione del rapporto con il mondo esterno, essi acquisivano la capacità di comunicare con altri individui (avvalendosi di un alfabeto tattile trasmesso sul palmo della mano dell'interlocutore e ricevuto allo stesso modo). Quattro di questi allievi di Meescerjakov si sono diplomati in psicologia all'università di Mosca nel 1977 e due di loro, A.V. Suvorov e S.A. Sirotkin, hanno scritto vari saggi sulla loro esperienza e sui processi cognitivi degli individui cieco-sordo-muti. Mescerlakov (che illustrò il suo programma e i risultati ottenuti nel libro Bambini cieco-sordo-muti del 1974, tradotto in inglese con il titolo Awakening to life nel 1979) mise in evidenza l'importanza dell'attività concreta svolta dai bambini e i rapporti interpersonali, compreso il lavoro di gruppo con i coetanei.

Il ruolo dei fattori sociali nello sviluppo del pensiero permise a Evald V. Il'enkov (1924-79), il più importante filosofo sovietico della seconda metà del Novecento, di elaborare una teoria generale sull'origine e le caratteristiche del pensiero. II'enkov, considerato il "filosofo" della scuola storico-culturale, e per questo motivo (oltre che per la sua interpretazione di Marx) non sempre gradito al regime, scrisse nel 1968 il libro Sugli idoli e gli ideali in cui criticava le emergenti concezioni della mente come un calcolatore pre-programmato e difendeva la concezione "umanistica" della mente dell'uomo, sviluppatasi nei secoli grazie alla cultura e ai rapporti sociali.

In Occidente, della teoria storico-culturale si è avuta un'idea molto generica fino agli anni '70. 1 tre articoli pubblicati nel "Journal of Genetic Psychology" del 1928 (Vygotskij, Lurija) e del 1932 (Leont'ev) fornirono solo un quadro teorico generale. Prima degli anni '60 Vygotskij era conosciuto in Occidente essenzialmente per il suo test della formazione dei concetti, divulgato dai lavori di E. Hanfmann e J. Kasanin sul pensiero dei pazienti schizofrenici. La traduzione parziale in inglese di Pensiero e linguaggio nel 1962 servì solo a innescare il dibattito sul rapporto Piaget-Vygotskij. A causa dei tagli lunghissimi non poté essere usata per avviare una discussione sui presupposti teorici delle riflessioni vygotskijane.

Durante gli anni '70 la fortuna della teoria storico-culturale (e della specifica teoria di Leont'ev) ha seguito percorsi differenti nei singoli paesi occidentali. In Germania, e in paesi vicini (Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia), si è avuta la maggiore diffusione e assimilazione teorica del pensiero di Vygotskij e Leont'ev. La psicologia critica, sviluppata nella Germania orientale alla fine degli anni '60, si è richiamata direttamente alle tesi della teoria storico-culturale. Molto impegnati nello studio e nell'applicazione, soprattutto in campo scolastico, di questa teoria sono stati gli olandesi, autori anche di varie monografie a carattere storico-critico sulla psicologia sovietica.

In Francia la discussione - e persino la conoscenza delle opere vygotskijane - è avvenuta solo negli anni '80. Ad ostacolare la sua diffusione sono stati probabilmente il forte predominio della teoria piagetiana da una parte, e la versione pavloviana della psicologia sovietica fornita dagli psicologi comunisti, come Wallon, dall'altra, Solo nel 1985 è stato tradotto in francese Pensiero e linguaggio, con una significativa introduzione dello psicologo marxista Lucien Sève.

In Italia, dopo la traduzione parziale di Pensiero e linguaggio nel 1966 a cura di A. Massucco Costa, vi è stata una larghissima diffusione delle opere di Vygotskij, Leont'ev e altri psicologi sovietici. La conoscenza della teoria storico-culturale ha permesso un importante approfondimento dei problemi dello sviluppo psichico, che prima erano generalmente inquadrati nell'ottica piagetiana.

Negli Stati Uniti, la teoria vygotskijana è stata diffusa attraverso le varie traduzioni curate da Michael Cole (n. 1938), attualmente alla University of California di San Diego, e le sue ricerche originali in campo sia transculturale (con J. Gay, J.A. Glik e D.W. Sharp, The cultural context of learning and thinking, 1971; con Sylvia Scribner, The psychology of literacy, 1981) che evolutivo (con la moglie Sheila R., The development of children, 1989). L'attività del gruppo di ricerca di Cole e di altri gruppi statunitensi e europei nella tradizione vygotskijana è documentata dal "The Quarterly Newsletter of the Laboratory of Comparative Human Cognition".

Negli anni '80 si è sviluppata una situazione nuova. Da una parte è cresciuta notevolmente la ricerca in senso strettamente storico su Vygotskij e la sua scuola, dall'altra è sorta in Occidente una vera e propria scuola vygotskijana che ne applica i principi in ricerche su temi della psicologia contemporanea. I risultati degli studi a carattere storico sono stati presentati in vari convegni dedicati a Vygotskij (Roma, 1979; Chicago, 1980; Mosca, 1981; Acapulco, 1984; Parigi, 1987; Budapest, 1988) e in pregevoli monografie (James V. Wertsch, Vygotskij and the social formation of mind, 1985; Alex Kozulin, Vygotsky'S psychology, 1990; René van der Veer e Jan Valsiner, Understanding Vygotskij, 1991).

Ricerche ispirate alla teoria storico-culturale sono state condotte, oltre che da M. Cole, da J. Valsiner (Culture and development of children's action: a cultural-historical theory of developmental psychology, 1987) in campo evolutivo e da J.V. Wertsch (Voices of the mind, 199!) nel campo della semiotica. La rilevanza della teoria vygotskijana per la ricerca psicopedagogica è stata illustrata nei saggi raccolti da Luis C. Moll nel libro Vygoisky and education del 1990.

Alla fine degli anni '80 è stata fondata una società per lo studio della "activity theory", con larga partecipazione di psicologi dell'area geografica nord-europea (il primo congresso si è tenuto a Berlino nel 1986). Questa società ha inoltre dato vita nel 1988 a un proprio periodico intitolato "Multidisciplinary Newsletter for the Research on Activity Theory”. Infine, nel settembre 1992 ha avuto luogo a Madrid il primo congresso per la ricerca socioculturale, direttamente ispirato alla teoria storico-culturale.

Note

1. WILHELM REICH

Wilhelm Reich nacque nel 1897 a Dubrozcynica, in Galizia, da una famiglia di ricchi contadini. Nel 1915 si diplomò in scienze naturali e nel 1918, dopo aver servito nell'esercito austriaco nel periodo della guerra, si iscrisse alla facoltà di medicina di Vienna. Nel 1919 cominciò a frequentare un seminario di sessuologia, di cui divenne presto l'organizzatore, nel quale si studiavano varie discipline relative al comportamento sessuale. Nell'ottobre del 1920 Reich divenne membro della Società psicoanalitica di Vienna. Nel 1922 si laureò in medicina e cominciò a lavorare nel Policlinico psicoanalitico di Vienna, aperto quello stesso anno, sotto la direzione di Edward Hitschmann. Dal 1924 al 1930 diresse il seminario di terapia psicoanalitica. Nel 1923 Reich espose la sua ipotesi sulla relazione tra disturbi della sessualità genitale e nevrosi. 1115 luglio 1927, dopo aver assistito personalmente alla dura repressione di uno sciopero operaio da parte della polizia, si iscrisse al Partito comunista. Nello stesso anno usci la sua prima opera importante: La funzione dell'orgasmo. Nel 1928 organizzò dei centri di igiene sessuale (Associazione socialista per la consulenza e la ricerca sessuale) allo scopo di orientare e consigliare coloro che mostravano disturbi del comportamento a causa di problemi sessuali associati alla difficile vita del proletariato viennese. Nei 1929 visitò l'Unione Sovietica (dove conobbe personalmente Vera Schmidt e visitò asili e centri per l'infanzia) e nel 1930 si trasferì a Berlino. Nel 1930 uscì in tedesco (e nel 1934 in francese col titolo La crise sexuelle) la parte centrale del futuro libro sulla Rivoluzione sessuale e nel 1931 L'irruzione della morale sessuale coercitiva. Sempre nel 1931 Reich organizzò una Società per una politica sessuale proletaria, denominata Sexpol. Per evitare i ritardi e i tentativi di censura che lo stesso suo partito minacciava nei confronti delle sue idee e delle sue pubblicazioni, fondò una propria casa editrice (Sexpol Verlag), dove uscirono nei 1932 La lotta sessuale dei giovani, e nel 1933 Analisi del carattere e Psicologia di massa del fascismo. Nel 1933 fu espulso dal Partito comunista tedesco. Si trasferì di nuovo a Vienna, dove trovò ostili i colleghi psicoanalisti, poi a Copenhagen, a Londra, a Malmò (Svezia), ancora in Danimarca. Nel 1934 si recò al congresso di psicoanalisi a Lucerna e apprese di esser stato radiato dalla Associazione psicoanalitica internazionale. Alla fine del 1934 si trasferì ad Oslo, dove rimase fino al 1939. Nel 1936 fu pubblicato il suo libro più famoso, La rivoluzione sessuale. In questi anni cominciò a emergere la sua follia, concentrata paranoicamente sulla scoperta di un'energia cosmica denominata

orgone. Nel 1939 emigrò negli Stati Uniti, lavorando dapprima alla New School for Social Research di New York. Nel 1941 si incontrò con Einstein, cui espose la sua teoria dell'orgone, lasciando sconvolto l'illustre fisico: "Quando Reich si accomiatò da Einstein, era convinto di averlo conquistato alla sua causa. Straripante di entusiasmo, gli disse: 'Capisce ora perché tutti mi prendono per pazzo?'. Einstein rispose, imperturbabile: 'Eccome'" (cit. in Cattier, 1970, p. 186). Nel 1942 Reich acquistò assieme ai suoi allievi un terreno nello Stato del Maine, vicino alla frontiera col Canada, dove fondò una specie di comunità chiamata "Orgonon" e un centro di studi sull'orgone. La macchina, realizzata per accumulare orgone, e curare i pazienti affetti dalle malattie più svariate, ebbe un discreto successo e attirò l'attenzione delle autorità governative che non erano state interpellate per autorizzare l'impiego di questo strumento terapeutico. Nel 1954 Reich fu processato e condannato a ritirare dal commercio tutte le macchine organiche e a distruggerle, a bruciare tutte le sue pubblicazioni, anche quelle non attinenti a tali macchine. Oltre che un ciarlatano, Reich fu considerato essenzialmente un rivoluzionario comunista da combattere senza mezze misure. Nel 1956 fu di nuovo processato per non essersi attenuto alla sentenza e fu condannato a due anni di prigione. I libri e gli accumulatori di orgone furono bruciati alla presenza di funzionari governativi. Fu trasferito nel penitenziario di Lewisburg in Pennsylvania nel marzo 1957, dove morì nel novembre dello stesso anno.

2. GEORGES POLITZER

Georges Politzer nacque nel 1903 a Nagy-Varad (Transilvania). Studiò al liceo di Budapest. Nel 1921 si trasferì con la famiglia a Parigi, dovendo il padre sfuggire all'arresto della polizia dei governo dittatoriale di Horty. Si laureò in filosofia alla Sorbona nel 1923. Nel 1924 fondò insieme ad altri giovani filosofi, tra cui Henri Lefebvre, la rivista "Philosophies" (intitolata nel 1926 "L'Espriti.) e nel 1929 la "Revue Marxiste" (dove pubblicava con lo pseudonimo di Félix Arnold). In questi anni insegnò nei licei di Moulins e Cherbourg. Nel 1928 è pubblicato il libro Critique des fondements de la psychologie e nel 1929, con lo pseudonimo di François Arouet (Voltaire), La fin d'une parade philosophique: le bergsonisme. Nel febbraio 1929 Politzer, da solo, fondò la "Revue de psychologie concrète", di cui uscirono soltanto due fascicoli. Nel 1932 assieme ad altri intellettuali e scienziati organizzò l'Université Ouvrière de Paris per la divulgazione del materialismo dialettico tra gli operai e i quadri del Partito comunista (le sue lezioni saranno poi pubblicate nel 1956 con il titolo Principes élémentaires de philosophie). Negli anni '30 scrisse soprattutto su riviste militanti come "La Pensée" fondata assieme ad Henri Wallon e altri intellettuali comunisti. Durante l'occupazione nazista di Parigi Politzer scrisse numerosi articoli clandestini e fu a capo della Resistenza universitaria. Arrestato nel febbraio 1942, torturato perché collaborasse con i nazisti, fu fucilato sul Mont Valérien il 23 maggio.

3. HENRI WALLON

Henri Wallon nacque a Parigi nel 1879 da una famiglia di tradizioni repubblicane. Dopo aver studiato filosofia all'Ecole Normale Supérieure di Parigi, si laureò in medicina e ottenne nei 1908 il dottorato in malattie del sistema nervoso con una tesi sulla mania di persecuzione. Cominciò a lavorare come psichiatra all'ospedale di Bicétre e alla Salpètrière, con una interruzione negli anni della prima guerra mondiale quando fu medico militare su un treno sanitario e si occupò dei soldati affetti da nevrosi di guerra. Nel 1920 ebbe l'insegnamento di psicologia infantile all'istituto di psicologia della Sorbona e aprì un consultorio medico-psicopedagogico nel quartiere popolare di Boutogne-Bitlancourt a Parigi. Nel 1925 pubblicò il suo primo libro su L'enfant turbulent. Nel 1926 uscì Psychologie pathologique. Nel 1927 divenne direttore del laboratorio di psicologia infantile presso una scuola di Boulogne-sur-Seine, incarico che mantenne fino al1950. Nel 1928 divenne professore di psicopedagogia all'Istituto nazionale di studi del lavoro e dell'orientamento professionale. Nel 1931 partecipò al congresso di psicotecnica a Mosca. Nel 1934 uscì il libro Les origines du caractère chez l'enfant. Nel 1937 ebbe la cattedra di psicologia e pedagogia at Collège de France. Negli anni '40 furono pubblicati i suoi libri più noti: L'evolution psychologique de l’enfant (1941), De l’acte à la pensée (1942, Les origines de la pensée chez l'enfant (1945). Nel 1949 uscì il libro Les notions morales chez l'enfant della moglie Germaine, frutto di una intensa collaborazione tra i due coniugi. In quell'anno Walton si ritirò, per ragioni politiche, da tutte le sue cariche di insegnamento. Continuò a lavorare presso il laboratorio di psicologia infantile, diretto dal suo allievo René Zazzo. Nel 1950 fondò la rivista "Enfance", dedicata a temi di psicologia, pedagogia e neuropsichiatria infantile e nel 1951 fondò la rivista "La Raison", dedicata alla psicopatologia e alla psichiatria in un'ottica pavtoviana (cfr. cap. VII). Morì nel 1962.

Walton, socialista e poi dal 1942 comunista, militante della Resistenza, fu un intellettuale impegnato ad applicare i risultati delle sue ricerche per la soluzione di problemi sociali concreti, in particolare della scuola (fu vice-presidente e poi presidente della Commissione per la riforma della scuola francese nel 1947), divulgatore della cultura sovietica e del pensiero marxista (nel 1944 fondò assieme a George Cagniot la rivista "La Pensée: Revue du rationalisme moderne").

4. LEV S. VYGOTSKIJ

Lev Semënoviò Vygotskij nacque il 5 novembre 1896 ad Orsa (Russia Bianca) da una famiglia ebrea benestante. Nel 1897 la famiglia si trasferì nella vicina Gomel', dove il padre era dirigente nella banca locale. Dopo essersi diplomato al ginnasio di Gomel', si iscrisse nel 1913 alla facoltà di giurisprudenza di Mosca, dove si laureò nel 1917. Contemporaneamente frequentò l'università Sanjavskij di Mosca, un'istituzione privata dove insegnavano alcuni tra i più noti rappresentanti della cultura russa dell'epoca. Tra questi docenti vi fu Gustav Spet, allievo di Husserl e importante fonte delle teorie di Vygotskij. Tra il 1915 e il 1916 scrisse un saggio sull'Amleto di Shakespeare. Nel 1918 cominciò ad insegnare nella scuola magistrale di Gomel' e a dirigere il Dipartimento teatrale della commissione popolare per l'istruzione, dedicandosi attivamente alla letteratura e al teatro. Nel 1919 si ammalò di tubercolosi.

Il 6 gennaio del 1924 lesse la relazione Metodologia della ricerca reflessologica e psicologica al secondo congresso panrusso di pedologia, pedagogia sperimentale e psiconeurologia, suscitando un grande interesse tra gli psicologi presenti. Così Lurija (1976) ricorda l'intervento di Vygotskij: "Vidi questo giovane (non aveva più di venti anni a quell'epoca) salire sul podio senza nemmeno un foglietto di appunti: la chiarezza del suo intervento (che trattava alcuni problemi fondamentali pertinenti il rapporto fra riflessi condizionati e comportamento umano cosciente) e l'indimenticabile facilità e sicurezza della sua parola (era un oratore molto dotato) lasciarono nell'uditorio un'impressione profonda. Era chiaro che questo sconosciuto proveniente da una piccola città di provincia della Russia occidentale, Gomel', sarebbe in breve tempo diventato una figura dominante nella psicologia sovietica" (pp. 23-24). Fu quindi invitato a trasferirsi a Mosca e nell'autunno del 1924 andò ad abitare nel seminterrato dell'istituto di psicologia assieme alla moglie Roza Smechova, sposata quello stesso anno. Il 19 ottobre di quell'anno tenne la conferenza La coscienza come problema della psicologia del comportamento, il cui testo pubblicato nel 1925 divenne il manifesto della teoria storico-culturale. Leont'ev e Lurija, già all'istituto, divennero i suoi più stretti collaboratori in campo psicologico.

Nominato direttore del Dipartimento per l'istruzione dei bambini handicappati dal Commissariato del popolo per l'istruzione, nel 1925 partecipò al congresso internazionale di Londra sull'istruzione dei sordomuti e visitò gli istituti di psicologia e pedagogia in Francia, Olanda e Germania. Al ritorno fondò un laboratorio di psicologia del bambino anormale, trasformatosi nel 1929 in istituto di difettologia. Sempre nei 1925 finì la dissertazione di dottorato sulla psicologia dell'arte, ma di nuovo ammalatosi non poté discuterla davanti alla commissione. Durante la malattia scrisse la monografia II senso storico della crisi della psicologia, pubblicata per la prima volta nel 1982. Nel 1926 uscì il libro Psicologia pedagogica. Nel 1929 al IX congresso internazionale di psicologia a New Haven presentò assieme a Lurija una comunicazione sul linguaggio egocentrico, nella quale si criticava la teoria piagetiana (Vygotskij tuttavia non partecipò personalmente al congresso). Tra il 1928 e il 1930 diresse il laboratorio di psicologia all'Accademia dell'educazione comunista. Nel 1929 e nel 1931 furono pubblicati i due volumi di Pedologia dell'adolescente. Nel 1930 uscirono i libri Immaginazione e creatività nell'età infantile e, assieme a Lurija, Studi di storia del comportamento. La scimmia, l'uomo primitivo, il bambino. In questi stessi anni curò pure la traduzione russa di varie opere di psicologia occidentale (Freud, BUhler, Kòhler, ecc.). Assieme a Lurija, al regista Sergej M. Ejzentejn e al linguista Nikolaj Ja. Marr, Vygotskij avviava nello stesso periodo un seminario sulla psicologia e la semiotica del cinema.

Nel 1931 Vygotskij divenne direttore dell'istituto di difettologia di Mosca, mentre si occupava al livello istituzionale della pedologia (fu a capo della facoltà di pedologia a Mosca). Sempre nel 1931 fondò un dipartimento di psicologia presso l'Accademia ucraina di psiconeurologia a Charkov, in Ucraina, dove si formerà un gruppo di ricerca guidato da Leont'ev e poi denominato "scuola di Charkov". Sulla rivista "Psichologija" comparve in quell'anno una prima critica all'astrattismo delle sue teorie psicologiche. Ancora nel 1931 scrisse la Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori (pubblicata per la prima volta nel 1960). Nel 1932 curò la traduzione russa di libri di A. Gesell e J. Piaget e tenne un corso di psicologia all'istituto pedagogico Herzen di Leningrado. Nel 1933 scrisse un importante saggio sul gioco nello sviluppo psichico infantile (rimasto inedito sino al 1966) e una monografia sulle emozioni con particolare riguardo alla teoria relativa di Spinoza (libro pubblicato solo nel 1984). Alla fine del 1933 Vygotskij si trovò in un isolamento quasi completo. Le critiche ideologiche che gli venivano rivolte pubblicamente furono una delle cause (le altre erano di natura teorica) che portarono all'interruzione dei suoi rapporti con Leont'ev e Lurija,

Nel 1934 furono pubblicati, in buona parte postumi (Vygotskij morì l'11 giugno per un aggravamento della tubercolosi), vari saggi di psicologia, neurologia e pedagogia: tra questi Pensiero e linguaggio, il capolavoro di Vygotskij, (pubblicato in dicembre). Nel 1935 e nel 1936 uscirono altre pubblicazioni di Vygotskij. Col decreto del Comitato centrale dei PCUS, nel 1936, contro la pedologia, anche le opere di Vygotskij furono proibite (fino agli anni '50 per consultarle in biblioteca occorreva un permesso speciale).

Ammiratore di Spinoza, Vygotskij ne condivideva la visione razionalista per cui bisogna solo comprendere, senza ridere né piangere sugli eventi della vita (la famosa frase spinoziana compariva già nella prefazione alla Psicologia dell'arte, 1925). Il 16 luglio 1931 scriveva alla sua assistente Roza E. Levina: "Ed ora un altro tema su cui scrivete. Sulle disarmonie interne, sulla difficoltà di vivere. Ho finito proprio ora i leggere quasi per caso Tre anni di Cechov. Forse lo dovreste leggere anche voi. Questa è la vita. E più profonda, più ampia della sua espressione esterna. Tutto cambia in essa. Tutto diventa qualcos'altro. La cosa principale ora e sempre, mi sembra - è quella di non identificare la vita con le sue espressioni esterne e basta. Allora, porgendo un orecchio alla vita (questa è la virtù più importante, all'inizio un atteggiamento in qualche modo passivo), troverete in voi stessa, fuori di voi, in ogni cosa, così tante cose che nessuno di noi può accoglierle. Certo, non potete vivere senza dare spiritualmente un significato alla vita. Senza la filosofia (la vostra, personale, filosofia della vita) ci può essere il nichilismo, il cinismo, il suicidio, ma non la vita. Ognuno però ha naturalmente la sua filosofia. Di fatto dovete farla crescere dentro di voi, darle spazio all'interno di voi stessa, perché è lei che sostiene la nostra vita. Poi c'è l'arte, per me - la poesia, per un altro - la musica. E poi c'è il lavoro. Che cosa può turbare una persona che cerca la verità? Quanta luce interiore, quanto calore, quanto sostegno vi è in questa stessa ricerca! E poi c'è la cosa più importante - la vita stessa - il cielo, il sole, l'amore, la gente, la sofferenza. Non sono semplicemente delle parole, sono cose che esistono. Sono reali. Sono intrecciate alla vita. Le crisi non sono fenomeni temporanei, ma il percorso della vita interiore. Ce ne rendiamo conto con i nostri occhi quando passiamo dal sistema al destino (pronunciare questa parola è terrificante e bello allo stesso tempo, sapendo che domani indagheremo su cosa vi è nascosto dietro), alla nascita e alla caduta dei sistemi. Ne sono convinto. In particolare, tutti noi guardando il nostro passato ci accorgiamo che ci esauriamo. E’ giusto. E’ vero. Crescere è morire. E’ particolarmente acuto durante dei periodi critici, come per voi, e pure alla mia età. Dostoevskij scrisse con terrore sulla morte del cuore. E Gogol ne ha scritto in modo ancor più terrificante. E’ realmente una piccola morte dentro di noi. Ed è questo il modo in cui dobbiamo accettarla. Ma dietro a tutto questo c'è vita, movimento, cammino, il vostro destino (Nietzsche ha insegnato l'amor fati: l'amore per il proprio destino). Ma sto cominciando a filosofeggiare..." (cit. in van der Veer e Valsiner, 1991, p. 16).
[Amor fati:  espressione latina che significa amore per il fato, e che viene usata da Nietzsche per definire l'atteggiamento del superuomo che accetta gioiosamente il destino al quale non può sottrarsi]

Vygotskij è stato considerato un genio (Lurija) e il "Mozart della psicologia" per l'originalità delle sue opere, la ricca produzione e la morte precoce (Toulmin, 1978). E stato persino mitizzato come un pensatore astratto fuori dal suo contesto storico. Solo negli anni '80 è cominciata una ricostruzione storico-critica della sua biografia e della sua opera di psicologo e pedagogista.

5. SERGEJ L. RUBINSTEJN

Sergej Leonidoviò Rubinstejn nacque ad Odessa nel 1889. Nel 1909 si iscrisse alla facoltà di filosofia di Friburgo, trasferendosi dopo un anno a quella di Marburgo, dove nel 1913 si laureò con la tesi Studie zum Problem der Methode (Studio sul problema del metodo) sotto la supervisione di Herman Cohen e Paul Natorp, filosofi neo-kantiani. La permanenza in Germania permise a Rubinstejn di acquisire una profonda conoscenza della filosofia classica, in particolare Hegel, e di quella contemporanea.

Dopo aver insegnato a Odessa e a Novorossiisk, nel 1930 Rubinstejn si trasferì a Leningrado, dove divenne titolare della cattedra di psicologia dell'istituto pedagogico Herzen. Qui conobbe Vygotskij, che proprio in quegli anni cominciò a frequentare l'istituto e a tenervi lezioni di psicologia. Nel 1934 Rubinstejn scrisse il suo articolo fondamentale Problemi di psicologia nelle opere di Karl Marx. Nel 1935 pubblicò il libro Fondamenti di psicologia e nel 1940 Fondamenti di psicologia generale, che nel 1942 ottenne il premio di Stato. Un altro riconoscimento ufficiale di grande prestigio arrivò sempre nel 1942 con la chiamata alla cattedra di psicologia e la nomina a direttore dell'istituto di psicologia di Mosca, che tenne fino al 1945. Nel 1948 e nel 1949, Rubinstejn fu attaccato duramente sulla stampa politica e scientifica per essersi riferito alla "scienza borghese" occidentale. Isolato, poté continuare le sue ricerche presso l'istituto di filosofia, in occasione della Sessione del 1950 dedicata a Pavlov, Rubinstejn fu di nuovo attaccato per non aver tenuto conto della teoria pavloviana nelle sue opere di psicologia e dovette riconoscere i propri errori in un articolo del 1952 (La dottrina di I. P. Pavlov e alcuni problemi della ricostruzione della psicologia). Morì nel 1960, dopo aver scritto nell'ultimo decennio di isolamento altre opere importanti come Essere e coscienza nel 1957, Sul pensiero e le vie per indagarlo nel 1958 e Principi e vie di sviluppo della psicologia nel 1959.

Rubinstejn fu considerato il teorico "ufficiale" della psicologia sovietica, fu tacciato di opportunismo dai vygotskijani per i suoi riferimenti ai classici del marxismo (compreso Stalin), fu investito dalla campagna antisemitica della seconda metà degli anni '40: in conclusione, una figura discussa e travagliata della storia della scienza sovietica nell'epoca dello stalinismo; innegabilmente, un fine conoscitore dei problemi teorici della psicologia.

6. ALEKSEJ N. LEONT'EV

Aleksej Nikoiaevi Leont'ev nacque nel 1903. Ventenne, cominciò a lavorare all'istituto di psicologia di Mosca, collaborando con Lurija e con Vygotskij quando questi arrivò da Gomei' alla tine del 1924. Nel 1931 si trasferì a Charkov, dove era stato fondato un laboratorio di psicologia presso l'Accademia ucraina di psiconeurologia. Nel 1931 uscì l'importante ricerca sulla memoria nell'ottica della teoria storico-culturale (Lo sviluppo della memoria). Nel 1932 pubblicò sul “Journal of Genetic Psychology" l'articolo The development of voluntary attention in the child. Tra il 1932 e il 1933 maturò it distacco teorico da Vygotskij, con il quale non si incontrò più dalla fine del 1933. Nel 1947 uscì il libro Saggio sullo sviluppo della psiche, confluito poi nel libro più importante della psicologia sovietica degli anni '50 e '60, Problemi dello sviluppo psichico (1959), che valse a Leont'ev it premio Lenin nel 1963. Dal 1941 Leont'ev fu professore di psicologia nell'università di Mosca, dove formò numerosi allievi in buona parte sostenitori della "teoria dell'attività", illustrata nei saggi raccolti nel libro Attività, coscienza, personalità (1975). Mori nel 1979.