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L'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo

Scheda 2

1. Numeri a infinite cifre, ovvero misure infinitamente precise

Se eseguo la divisione di 6 per 9 ottengo 0.666… con infiniti "6", o, meglio, riuscirei ad ottenerlo se potessi vivere in eterno, avessi a disposizione infinita carta, ecc.
   Nella scheda 1 (quesito 5) abbiamo provato a moltiplicare 0.666… per 3, ma non è stato facile farlo:
• dalla cifra più a destra di tutte non posso partire in quanto una tale cifra non c'è;
• se prendo solo 0.66 ottengo 0.66·3 = 1.98;
• se prendo 0.666 ottengo 0.666·3 = 1.998
• Come posso prendere in esame tutti i "6"?
  

    Posso osservare che, aumentando il numero dei "6" presi in considerazione, ottengo.
0.6666·3 = 1.9998, 0.66666·3 = 1.99998, 0.666666·3 = 1.999998, …
ossia che il risultato tende a stabilizzarsi su 1.999….

Ragionando sul fatto che dire che 0.6 è un troncamento di un numero significa che questo è compreso tra 0.6 e 0.7, dire che 0.67 è un altro troncamento significa che il numero sta tra 0.66 e 0.67; …, potrei vedere le cose anche in questo modo:

0.6 ≤  0.666…  ≤ 0.7quindi1.8 =0.6·3 ≤  0.666…·3  ≤ 0.7·3= 2.1
0.66 ≤  0.666…  ≤ 0.67quindi1.98 =0.66·3 ≤  0.666…·3  ≤ 0.67·3= 2.01
0.666 ≤  0.666…  ≤ 0.667quindi1.998 =0.666·3 ≤  0.666…·3  ≤ 0.667·3= 2.001
0.6666 ≤  0.666…  ≤ 0.6667quindi1.9998 =0.6666·3 ≤  0.666…·3  ≤ 0.6677·3= 2.0001

    Operando sulle approssimazioni per difetto mi stabilizzo su 1.999…, su quelle per eccesso su 2.000…. Si tratta di due numeri diversi?

Ecco uno dei problemi che sorge quando si considerano quantità infinite. Noi siamo abituati al fatto che due numeri formati da una sequenza finita di cifre, a parte gli eventuali "0" iniziali (scrivere 01 al posto di 1), sono uguali solo se hanno le stesse cifre. Con i numeri formati da infinite cifre questo non vale: 1.999… e 2.000…, pur essendo espressioni diverse, rappresentano lo stesso numero: sono da intendersi uguali come numeri.

Infatti tra 1.999… e 2.000… non ci sta niente in mezzo: provate a immaginare un numero maggiore di 1.999… che sia anche minore di 2.000…!
    Quindi devono rappresentare lo stesso punto sulla linea dei numeri, o la stessa grandezza fisica, nel caso usassimo i numeri per rappresentare, ad esempio, un peso o una lunghezza esatta.
 

Ma si possono, con una misurazione, ottenere misure esatte, infinitamente precise? Esiste un'asta lunga esattamente 2 m, ossia 2.000… m? Ha senso dire che la diagonale di un quadrato di lato 1 m ha diagonale lunga √2 m, ossia 1.4142135623… m?

    Se misuro la lunghezza di un'asta di legno posso trovare che è 27.1 cm. Con un nastro misuratore particolarmente accurato potrei arrivare a valutare i decimi di millimetro e arrivare alla misura 27.09. Non avrebbe sicuramente senso cercare misure più precise, in quanto l'asta non è perfettamente liscia.
    Considerazioni simili si possono fare per ogni misurazione.

Ma è comodo far finta che esistano misure esatte, è comodo usare i numeri reali (ossia numeri con infinite cifre), …. Ad esempio è possibile dire che A = L2 è la formula che esprime l'area di un quadrato in funzione della lunghezza del suo lato, anche se questa non può essere descritta esattamente con un numero L, ma solo con un intervallo (ad es. dicendo che sta tra 17.2 e 17.3 cm). Sarà nella applicazione di tale formula che occorrerà operare con valori approssimati.

Il numero 1.999…, che è uguale a 2, può essere pensato anche come 1 e 9 decimi, 9 centesimi, 9 millesimi, …, ossia come la somma infinita:

1 +  9 +  9 +  9 +  9 +  9 + 
——————————
10100100010000100000

 

[1]   Anche le seguenti somme infinite sono numeri? Per rispondere, se ti serve, aiutati con una calcolatrice.

3 +  3 +  3 +  3 +  3 +  e così via moltiplicando per 10 il denominatore
——————————
10100100010000100000

1 +  1 +  1 +  1 +  1 +  1 +  1 +  e così via moltiplicando per 2 il denominatore
248163264

1 +  2 +  3 +  4 +  5 +  6 +  e così via aumentando di 1 sia numeratore che denominatore
234567

 

[2]   Scova l'errore nella seguente dimostrazione che 1=0.

(1) So che:1 = 1+0
(2) So che:0 = 0 + 0 + 0 + 0 + …
(3) So che:0 = -1+1
(4) Da (2) e (3) ho che:0 = (-1+1) + (-1+1) + (-1+1) + (-1+1) + …
(5) Da (1) e (4) ho che:1 = 1 + (-1+1) + (-1+1) + (-1+1) + (-1+1) + …
(6) Riordino il secondo membro:   1 = (1-1) + (1-1) + (1-1) + (1-1) + (1-1) + …
(7) Quindi:1 = 0 + 0 + 0 + 0 + …
(8) Da (2) e (7) ho che:1 = 0

 

2. Limiti e ricorsione

Nella scheda 1 (quesito 6) abbiamo visto che se batto su una calcolatrice ad esempio: 5 [√] [√] [√] ottengo la successione di uscite:

2.23606797749979 1.495348782057216 1.222844544494516 ... 
1.000012279924602 1.00000613998115 ...1

Le uscite si stabilizzano su 1. Se facessimo i calcoli esatti, con tutte le cifre invece che con una calcolatrice, che approssima, non arriveremmo mai a 1, ma a numeri che iniziano con 1.00…0 con una quantità di zero man mano crescente, ossia numeri che tendono a stabilizzarsi su 1. Per ottenere 1 dovremmo fare infiniti calcoli di radice quadrata. Potremmo scrivere:

ma come capire che i puntini "..." stanno per una quantità infinita di "√"? e come farebbero a starci?

    Per risolvere problemi di questo tipo si ricorre a definizioni come le seguenti:

{

x(0) = 5  
x(n+1) = √x(n)

{

s(0) = 1 
s(n+1) = s(n)+1/2n

La definizione a sinistra corrisponde alla successione di calcoli di radici quadrate appena considerata:
x(0) = 5,  x(1) = √x(0) = √5,  x(2) = √x(1) = √(√5),  x(3) = √x(2) = √(√(√5)), …,  x(n) è il termine che contiene n radici quadrate.

La definizione a destra corrisponde alla seconda somma infinita dell'esercizio 1:
s(0) = 1,  s(1) = s(0)+1/2 = 1+1/2,  s(2) = s(1)+1/22 = 1+1/2+1/4,  s(3) = s(2)+1/23 = 1+1/2+1/4+1/8, …,  s(n) è il termine che che contiene n addizioni.

Per dire che i valori della successione x(0), x(1), x(2), … tendono a stabilizzarsi su 1 si usa scrivere x(n) → 1 per n → ∞: x(n) tende a 1 per n che tende all'infinito.

Nel caso di s(n), come abbiamo visto nell'esercizio 1 (alla prima addizione mi manca 1/2 ad arrivare a 2, alla seconda mi manca 1/4 ad arrivare a 2, …), la distanza tra s(n) e 2 tende a 0, ovvero s(n) → 2 per n → ∞.

[3]   Sia q(n) la somma con n addizioni considerata nel terzo caso dell'esercizio 1.
• Completane la definizione seguente:

 

  q(0) = 1/2,   q(n+1) = q(n) + ...
Come potresti completare la seguente descrizione del suo comportamento per n che tende all'infinito?
    q(n) →  ...   per n → ∞

 

Un po' di parole.
  Quando, data una successione di valori a(0), a(1), a(2), …, si ha che  a(n) → α  per  n → ∞  si dice anche che α è il limite di a(n) (per n che tende all'infinito).
  Definizioni del tipo di quelle date sopra per x(n), s(n) e q(n) vengono chiamate definizioni ricorsive. Il nome deriva dal fatto che per calcolare un valore, ad es. x(3), devo ripercorre più volte la definizione, che mi rimanda prima alla determinazione del valore di x(2), poi alla determinazione di quello di x(1) e, infine, al valore di x(0).

 

3. Confronti tra insiemi infiniti

Abbiamo visto che, anche se nella pratica non esistono misure per le quali è necessaria un'infinità di cifre per descriverle, spesso è utile fare questa astrazione [che cosa vuol dire?] e impiegare numeri reali per descrivere grandezze fisiche. Nell'esercizio 7 della scheda 1 abbiamo fatto un'astrazione ben più strana: abbiamo immaginato degli alberghi con infinite stanze. Evidentemente alberghi di questo genere non esistono e, nella nostra esperienza, non abbiamo mai incontrato neanche altri insieme infiniti di oggetti materiali. Possiamo tuttavia immaginare insiemi infiniti di "oggetti" inventati dall'uomo: un insieme infinito di parole, un insieme infinito di numeri, ….
    L'esercizio era, evidentemente, un pretesto per una attività di tipo "matematico". Tuttavia, spesso, nelle applicazioni, è comodo far finta che certe quantità siano infinite (in fisica, quando si suppone che un corpo sia fatto da infinite particelle "infinitesime", in statistica, quando si suppone di estrarre un campione da una popolazione infinita, …).
    Ricordiamo che l'esercizio poteva essere risolto in questo modo:

 Il Jolly 
invece
dello
Star
 Il Jolly 
invece
dell'
Eden

per liberare 10 posti il proprietario del Jolly fa spostare ogni cliente dalla sua stanza n nella stanza n+10;
per liberare infiniti posti il proprietario del Jolly fa spostare ogni cliente dalla sua stanza n nella stanza n·2.

Questo esercizio ha messo in luce un paradosso: esistono degli insiemi uno contenuto strettamente nell'altro che hanno lo stesso numero di elementi, ovvero esiste un insieme che ha degli elementi in più di un altro ma che ha lo stesso numero di elementi.
    In realtà le cose non stanno proprio così: gli insiemi dell'esercizio sono infiniti, per cui non possiamo descriverne la quantità con dei numeri.

Infatti un insieme A è finito se è vuoto o se posso "contarlo", ossia, esprimendomi in termini matematici, se posso trovare una funzione iniettiva che ha esso per dominio e che ha per immagine un "segmento inziale" dell'insieme dei numeri interi positivi, ossia un insieme del tipo {1, 2, 3, …, n}. Il numero n è la quantità di elementi di A. Viene chiamato anche cardinalità di A.
    Nel caso dell'insieme dei caratteri che formano "pipistrello" ho che la sua cardinalità è 11: alla prima "p" associo 1, alla prima "i" associo 2, … alla "o" associo 11; è una funzione iniettiva in quanto non ho mai associato a due caratteri lo stesso numero.  Nel caso dei giocatori di una squadra di calcio, se non so che sono 11, anche senza "contarli" posso stabilire che sono tanti quanti i caratteri di "pipistrello" associando iniettivamente a ogni giocatore un carattere, e in modo da esaurire tutti i caratteri della parola.  

Generalizzando, nel caso di due insiemi qualunque A e B, anche non finiti, diremo che hanno la stessa cardinalità se posso trovare una funzione iniettiva F che ha A come dominio e B come immagine.
    Si noti che F ha una funzione inversa G, che ha B come dominio e A come immagine: se F associa ad un elemento a di A l'elemento b di B, G è la funzione che a b associa a. Nel caso di "pipistrello" e della squadra di calcio, è indifferente se l'associazione la costruisco a partire dai caratteri della parola o dai giocatori, ossia se, nella figura precedente, i trattini li traccio a partire dalle lettere o a partire dalle figurine dei calciatori.
 

Il "paradosso" degli alberghi ci ha portato dunque a concludere che si possono trovare insiemi infiniti della stessa cardinalità contenuti uno strettamente nell'altro. Invero, questa è una proprietà caratteristica di ogni insieme infinito: posso trovare un suo sottoinsieme proprio (cioè strettamente contenuto in esso) che ne ha la stessa cardinalità.
   Si noti che la strategia adottata dal proprietario del Jolly per evitare quello che ha fatto il proprietario dell'Eden, ossia:
portare ogni cliente dalla sua stanza n nella stanza 2n in modo da liberare le stanze di posto dispari,
possiamo tradurla dicendo che:
l'insieme dei numeri interi positivi ha la stessa cardinalità del suo sottoinsieme formato dai numeri pari.
    Ovviamente, anche il sottinsieme formato dai numeri dispari ha la stessa cardinalità.

 

[4]   Nella figura immediatamente a destra sono evidenziati due insieme infiniti di punti a coordinate intere: l'insieme A di quelli che stanno sull'asse x, che formano una specie di semiretta fatta di punti separati, e l'insieme B di quelli che stanno all'interno del 1° quadrante, che formano una specie di quadrato di dimensioni infinite.
    Osservando la figura all'estrema destra, vi sembra che si possa stabilire se A e B hanno o no la stessa cardinalità? Perché?

 

 

Ma vi sono insiemi "più grandi" dell'insieme dei numeri interi positivi?
  Sì!  Consideriamo l'intervallo di numeri reali [0,1] (sono i numeri inizianti con "0.", come 0.001…, 0.874…; 1 possiamo pensarlo come 0.999…).

(1)Associamo a 1, 2, 3, …, senza ripetizioni, numeri che stanno in [0,1]. Siano x(1) il numero associato a 1, x(2) quello associato ad 2, x(n) quello associato ad n.
A destra c'è una possibile associazione.
1 → 0.1422…
2 → 0.6375…
3 → 0.0269…
  ...       ...
(2)  Consideriamo un numero reale y che inizi con "0." e differisca dal primo numero dell'elenco fatto sopra per la prima cifra frazionaria, che differisca dal secondo per la seconda cifra frazionaria, e così via.  Nel caso dell'elenco esemplificato sopra a destra potremmo prendere, ad es., y = 0.247…. 
y = 0.247…  
(3)y sta nell'intervallo [0,1] ma non può comparire nell'elenco in quanto è diverso (per almeno una cifra) da ciascun numero dell'elenco stesso.
(4)Quindi l'associazione realizzata non può avere come immagine tutto l'intervallo [0,1].

In situazioni come questa, tra A = {interi positivi} e B = [0, 1], in cui si può trovare una funzione da A in B che sia iniettiva, ma non se ne può trovare nessuna che abbia B come immagine, si dice che A è di cardinalità inferiore rispetto a B.
    Gli insiemi infiniti che hanno la stessa cardinalità degli interi positivi si dicono infiniti numerabili in quanto possono essere completamente disposti in un elenco numerato. Dunque, l'intervallo [0,1] è un esempio di infinito non numerabile.

 

4. Altri paradossi

Gli insiemi infiniti propongono altre situazioni paradossali, ossia apparentemente assurde. Provate, ad esempio, a mettere in ordine di cardinalità, in base alla vostra intuizione, l'insieme C dei punti che formano un cubo, l'insieme L dei punti di un suo lato e quello R dei punti che formano una retta.
    Vi trovate tutti d'accordo?
   

   [5]   La figura a sinistra illustra come l'intervallo (-90,90) abbia la stessa cardinalità dell'intervallo (-∞, ∞)
Che cosa rappresenta, secondo te, la funzione che associa gli elementi del primo intervallo a quelli del secondo?
Hai sciolto qualche dubbio rispetto alla domanda posta all'inizio del paragrafo?
 
 
Riguarda la figura dell'es. 4. Abbiamo visto che gli elementi dell'insieme B, che non sono altro che tutte le coppie (1,1), (1,2), (2,1), (1,3), (2,2), (3,1), … formabili con gli elementi di A = {1, 2, 3, …}, possono essere messi tutte in fila, uno al 1° posto, uno al 2°, e così via. In questo modo abbiamo visto che le coppie di numeri interi positivi possono essere associate in modo iniettivo a numeri interi positivi.
    Se ci pensi non è una cosa strana. Ad es. le stanze degli alberghi (ancora alberghi!) e di molti edifici pubblici non numerate in un modo simile: con 402 si indica la 2ª stanza del 4° piano, con 713 la 13ª stanza del 7° piano, …. In pratica le coppie (4,2), (7,13), … vengono rappresentate ciascuna con un numero intero diverso.

    Oppure pensa ai numeri di codice impiegati per rappresentare varie sequenze di informazioni: i codici di prodotti, che racchiudono informazioni sul tipo di merce, la provenienza, il produttore, …; i codici fiscali delle persone, che inglobano nome, sesso, data di nascita, …. Sono chiamati "numeri" in quanto, come i numeri naturali, sono delle sequenze finite di "cifre", realizzate usando come cifre oltre alle cifre decimali altre lettere dell'alfabeto o altri eventuali simboli (vedi l'es. [3] della scheda A).

[6]   I due seguenti esempi illustrano un modo per "codificare" le terne di numeri reali positivi mediante singoli numeri.

(513.758…, 23.916…, 3.007…)    500120333 .790510867… =500120333.790510867…
(1.436…, 673.951…, 100.358…)    061070133 .493355618… =61070133.493355618…

Quali sono (i troncamenti ai centesimi) dei tre numeri reali codificati con 123.456789123…?

 

   Le terne di numeri reali le possiamo usare per rappresentare i punti dello spazio (vedi figura a sinistra). In particolare il cubo che ha come spigoli gli intervalli [0,1] degli assi x, y e z (vedi figura a destra) è formato dai punti (a, b, c) con a, b e c numeri reali tra 0 e 1. Con il procedimento descritto nell'esercizio precedente queste terne di numeri le possiamo rappresentare con un unico numero compreso tra 0 e 1.  

Dunque il nostro cubo ha la stessa cardinalità dell'intervallo [0,1]: ha tanti punti quanti ne ha un suo lato!

In defintiva, un segmento, una retta, un cubo hanno tutti la stessa cardinalità. Ha la stessa cardinalità l'intero spazio tridimensionale: le terne di numeri reali sono tante quanti i numeri reali, ossia tante quante i punti di una retta!
    Tutte le figure solide hanno dunque la stessa quantità di punti. Si dice che hanno la cardinalità del continuo. Il termine deriva dal fatto che tutti questi "oggetti" in matematica e in fisica, quando non si studiano i fenomeni microscopici, si suppone che sia continui, ossia non composti da tante particelle indivisibili. Vi ricordate quanto abbiamo detto all'inizio della scheda a proposito delle "misure esatte"?

È giusto essere perplessi di fronte a queste conclusioni: una qualunque linea avrebbe tanti punti quanto un qualunque solido! Nella realtà sappiamo che gli oggetti sono fatti da particelle elementari, che non sono continui, ma per lo studio di molti fenomeni fisici è comodo far finta che le cose stiano così.
    È una supposizione comoda anche in molti altri contesti. Riguardiamo la figura dell'esercizio 5 e ingrandiamone alcuni particolari:

È comodo parlare del punto che si ottiene intersecando una retta con un'altra. Ma questo punto è proprio 1? esiste sempre? Nel secondo ingrandimento si vede che i "punti", nel disegno fatto al computer, sono tre. Nel caso illustrato a destra, la retta scavalca l'arco di cerchio senza avere "punti" in comune con esso. Se, in matematica o in disegno o in fisica … considerassimo i punti della realtà, ossia i pixel di un computer, i punti tracciati con una matita, le particelle elementari che formano un oggetto, … invece che i punti della matematica (quelli che rappresentiamo con coordinate usando i numeri reali) sarebbe assai più complicato parlare in modo comprensibile.

5. Concludendo ...

Questo piccolo percorso sull'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo ci dovrebbe aiutare a capire come i modelli astratti, di cui è piena la matematica, non sono stati inventati per renderci le cose più difficili, bensì più semplici.
   Ci dovrebbe, tuttavia, anche far pensare al fatto che, quando si usa la matematica, si deve tener conto delle astrazioni operate, per non trarre conclusioni errate o per tener conto della natura approssimata di esse, nel momento in cui dobbiamo applicarle nella pratica.

   Per esempio, nel riflettere sul paradosso della luce che entra nello specchio a spirale, presentato alla fine della scheda 1, occorre tener presente che si tratta di un "gioco matematico":
•  è vero che lo spazio totale che dovrebbe percorrere la luce è finito: abbiamo visto che (1+1/2+1/4+1/8+…) m = 2 m; la luce impiegherebbe un attimo ad uscire dalla spirale;
•  ma il fatto che non si possa determinare la direzione con cui uscirebbe in quanto non esiste un ultimo specchio su cui la luce rimbalza è frutto dell'astrazione di supporre che gli specchi siano delle superfici piane senza spessore (altrimenti non potrebbero formare una spirale senza fine).
In altre parole, abbiamo usato il modello astratto oltre i suoi realistici ambiti di applicazione.

Con i tuoi insegnanti, e con tue eventuali ricerche, letture e riflessioni personali o in eventuali studi futuri, potrai approfondire queste tematiche, e vedere come si intrecciano, forse per te inaspettatamente, a molti contesti (arte pittorica, musica, informatica, linguistica, …). Buon viaggio.