Estratto da  Vinicio Villani, Cominciamo da Zero. Domande, risposte e commenti per saperne di più sui perché della matematica. (Aritmetica e algebra), Pitagora, 2003.

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35.  Qual è (o dovrebbe e potrebbe essere) il ruolo di assiomi, definizioni, teoremi e loro dimostrazioni, esempi, esercizi, problemi, uso del linguaggio naturale e del simbolismo matematico, prospettiva storica, nell'insegnamento-apprendimento della matematica nelle scuole secondarie?

La domanda è chiaramente provocatoria. Siamo tutti ben consapevoli che non esiste una risposta univoca di validità generale. D'altra parte ogni docente, nella pianificazione e nell'attuazione del suo insegnamento, è costretto ad esplicitare il proprio atteggiamento personale nell'atto stesso di attribuire maggiore o minore importanza all'uno o all'altro degli aspetti elencati nel titolo del paragrafo. Quindi la domanda merita comunque di essere affrontata e discussa.

Parto da tre constatazioni:

I.  I matematici di professione amano presentare i vari settori della loro disciplina sotto forma di prodotti finiti, costituiti da assiomi, definizioni, teoremi e loro dimostrazioni, con qualche esempio illustrativo. Un'esposizione di questo tipo cancella tutte le tracce del percorso mentale che ha portato un gran numero di matematici, vissuti in epoche diverse, ad enucleare progressivamente gli aspetti basilari del settore in esame, e a "distillarli" appunto sotto forma di assiomi, definizioni, teoremi, esempi.

II.  In contrapposizione, si potrebbe ipotizzare un percorso che tenga conto dell'evoluzione storica delle idee, e che consenta quindi di comprendere la genesi delle teorie matematiche a partire dai problemi (interni alla matematica stessa o extramatematici) che ne stanno alla base. La principale difficoltà di questa impostazione sta nel fatto che l'evoluzione storica delle idee è stata ed è tutt'altro che lineare. Anche i problemi che hanno fornito lo spunto per molte ricerche matematiche del passato sono ormai lontani dai problemi che noi consideriamo rilevanti al giorno d'oggi.

III.  Al di fuori dell'ambiente matematico il valore formativo della disciplina viene in genere sottovalutato o addirittura contestato, il che dà luogo a ricorrenti proposte di focalizzare l'insegnamento della matematica sui soli aspetti mnemonici e computazionali di utilità pratica immediata per la vita quotidiana e professionale ("drill and practice" nel gergo statunitense [*]).

Mi sembra superfluo aggiungere che non mi sento in sintonia con nessuna delle tre posizioni cosi delineate.
A mio avviso, un buon insegnamento della matematica dovrebbe includere tutti gli aspetti elencati nel titolo del paragrafo, sia pure con dosaggi diversi dipendenti da molte variabili. Non essendo quindi possibile delineare in astratto le caratteristiche salienti di un corso "ideale" di matematica per la scuola secondaria, mi limito ad alcune osservazioni dettate dal semplice buon senso:

  Al termine degli studi secondari, gli studenti di qualsiasi indirizzo dovrebbero avere ben chiaro il funzionamento del metodo ipotetico-deduttivo della matematica. Traguardo importante anche perché lo stesso metodo è stato assunto come prototipo e modello per le sistemazioni teoriche di tutte le altre scienze. Ma l'esplicitazione di un sistema di assiomi (siano essi quelli di Peano per i numeri naturali, o quelli della geometria euclidea o del calcolo delle probabilità) dovrebbe essere un punto di arrivo, verso la fine degli studi secondari, non un'imposizione prematura, al loro inizio.

  Ho affermato poc'anzi che non ritengo praticabile un insegnamento della matematica fondato su un percorso storico. Sono invece ben convinto dell'importanza culturale di una conoscenza della storia della matematica, non foss'altro che per sfatare la diffusa credenza che la matematica sia una disciplina a-storica, immutabile nel tempo, morta, dove non c'è più niente da scoprire. Una lettura di brani scelti e opportunamente commentati degli scritti di grandi matematici del passato può rendere ancora più vivo e affascinante lo studio della sua storia.

  Quanto ai teoremi, è evidente che nelle nostre scuole non si può dimostrare "tutto". D'altra parte, si snaturerebbe l'essenza stessa del metodo ipotetico-deduttivo se non si dimostrasse "niente". Quindi occorre fare delle scelte. In primo luogo, sarebbe bene non confinare le dimostrazioni alla sola geometria. In ambito aritmetico e algebrico ci sono teoremi sorprendenti che ammettono dimostrazioni al tempo stesso semplici e ingegnose (per esempio l'esistenza di infiniti numeri primi, l'irrazionalità di √2, il teorema del resto e quello della radice [**]). Come constatazione di carattere generale, sono d'accordo con quanti affermano che è più formativo proporre due dimostrazioni diverse di uno stesso teorema, piuttosto che dimostrare in modo affrettato e superficiale due o più teoremi.

  Assiomi e teoremi sono importanti, ma non sono gli unici aspetti importanti del "fare matematica". Le ricerche matematiche partono sempre da problemi (interni alla matematica o di matematizzazione di aspetti del mondo reale). E anche in ambito scolastico, nell'introdurre un nuovo argomento sarebbe buona norma astenersi da presentazioni troppo generali e astratte, e partire sempre da qualche problema significativo, non risolubile con le sole conoscenze già disponibili in precedenza, risolubile invece nell'ambito ampliato dalle nuove conoscenze.

  I problemi si distinguono dagli esercizi per il fatto che nel caso dei problemi la ricerca di una procedura risolutiva è lasciata a carico del solutore, mentre nel caso degli esercizi la soluzione può essere ottenuta applicando procedure standard. Quindi per la soluzione di un problema si richiede una dose (a seconda dei casi piccola o grande) di intraprendenza e di inventiva, mentre la soluzione di un esercizio può essere qualificata come un compito esecutivo. Va da sé che ai fini di una valutazione delle capacità matematiche sono più significativi i problemi. Ma anche gli esercizi di routine hanno una loro valenza, in quanto attività di consolidamento delle conoscenze. Basta che gli esercizi non si trasformino da mezzo a fine ultimo dell'insegnamento-apprendimento della matematica.

  Quanto al ruolo che in matematica compete al linguaggio naturale e a quello simbolico, ne ho già parlato nel §30, quindi mi limito a ribadire l'importanza di saper passare da un linguaggio all'altro. Il simbolismo più raffinato non serve a nulla se non lo si sa tradurre in frasi chiare e corrette del linguaggio corrente.

A questo punto varrebbe la pena di aprire un ulteriore tipo di confronto fra l'uso che si fa del linguaggio naturale in matematica e nel parlare comune (in contesti non matematici). Si scoprirebbe che la matematica si è impossessata di molte parole del linguaggio naturale e che, viceversa, il linguaggio naturale si è arricchito di certi modi di dire desunti dalla matematica.
Poiché gli stessi vocaboli vengono spesso usati con significati diversi nel linguaggio naturale e in matematica, sussiste il rischio di fraintendimenti, con recriminazioni reciproche fra matematici e non matematici. Ma l'argomento mi porterebbe troppo lontano.
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In geometria un triangolo si definisce isoscele se ha due lati uguali. Ma poi si precisa che sono isosceli anche i triangoli equilateri (che hanno tre lati uguali). Nel linguaggio corrente ciò non sarebbe ammesso. Se un proprietario dichiara al fisco di possedere due case mentre in realtà ne possiede tre, sarebbe considerato un evasore. Un detrattore della matematica potrebbe celiare dicendo che in matematica "due può essere uguale a tre".
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A colloquio con Villani

Note (non dell'autore)
[*] Drill and practice is a behaviorist aligned technique in which students are given the same materials repeatedly until mastery is achieved. In each iteration, students are given similar questions to answer or activities to perform, with a certain percentage of correct responses or actions moving the student to the next level of difficulty.  (in Italiano: "a forza di provare"; il primo significato di "drill" è trapano; viene poi usato per indicare un'esercizio per far "apprendere" una procedura attraverso attività ripetitive)
[**] Per il Teorema del resto vedi qui; con "teorema della radice" si intende quello quello ivi indicato subito dopo: se P(h)=0 allora h è una radice di P.