Ecco alcune possibili "definizioni" di probabilità, così come sono formulate in alcuni libri di testo:

Definizione classica.  Si chiama probabilità di un evento il rapporto tra il numero dei casi favorevoli al verificarsi dell'evento e il numero dei casi possibili, purché questi siano ugualmente possibili.

Definizione frequentista.  Si assume come probabilità di un evento il valore attorno a cui tende a stabilizzarsi la sua frequenza relativa all'aumentare del numero delle prove ripetute nelle stesse condizioni.

La prima è seguita da queste osservazioni critiche:   (1)  Esistono molti eventi casuali per cui è difficile o impossibile conoscere il numero dei casi favorevoli e quello dei casi possibili; e qualora questi ultimi siano noti non sempre si è in grado di stabilire con certezza se siano equiprobabili.   (2)  I matematici moderni hanno sollevato obiezioni sulla validità generale del principio di ragion sufficiente ("due eventi sono da considerarsi equiprobabili se non vi sono ragioni sufficienti per pensare che uno di essi possa verificarsi più facilmente dell'altro") con cui Laplace (nel 1812) ha giustificato la definizione.

La seconda da queste:   (1)  Per valutare la probabilità con cui il giocatore di pallacanestro X fa centro nei tiri liberi non si può applicare tale definizione in quanto non si mantengono le stesse condizioni (cambia lo stato psico-fisico di X, cambiano le condizioni atmosferiche, …): subentrano considerazioni di carattere soggettivo sulle condizioni in cui X, di volta in volta, effettua un tiro libero.   (2)  La definizione frequentista ha dei limiti di applicazione: se un evento non si è mai realizzato, ma si potrebbe realizzare, non è possibile stabilirne la validità; ad esempio come stabilire la probabilità che un UFO atterri davanti alla scuola durante un compito di matematica o che nasca un gatto con tre zampe?

Si tratta di osservazioni "centrate" e utili a chiarire il concetto matematico di probabilità?

La critica (1) alla "definizione classica" non ne mette a fuoco i due limiti principali:

  invece di rilevare che è un circolo vizioso definire un concetto ("probabilità") riferendosi al concetto stesso ("ugualmente possibili"), si osserva che "non sempre si è in grado di stabilire con certezza" se i casi sono "equiprobabili";

  invece di rilevare che la "definizione" è applicabile solo al caso finito, si osserva che spesso "è difficile o impossibile conoscere il numero dei casi favorevoli e quello dei casi possibili"; poi il "non poter conoscere" non invalida la definizione ma compromette solo l'eventuale calcolo del rapporto.

    A proposito della critica (2) va osservato che la matematica degli ultimi secoli, quella nata, grosso modo, quando (alla fine dell'Ottocento) ci si è posti il problema di dare una definizione autonoma di funzione (non più come "legge" – naturale o economica o … - ma come insieme di coppie input-output o come procedura di calcolo che ad un input associa un output, in modo da poterne definire e studiare proprietà in generale, indipendentemente dai singoli contesti), non ha "sollevato obiezioni alla validità generale del principio di ragion sufficiente", ma lo ha considerato un principio non "matematico" in quanto riferito a considerazioni extra-matematiche: che cosa vuol dire "ragioni sufficienti" per il matematico? Laplace non intendeva dare una "definizione matematica" come la si intende oggi, ma individuare un metodo "razionale" per quantificare la probabilità di particolari tipi di eventi.

La critica (1) alla "definizione frequentista" oscura la natura stessa del calcolo delle probabilità. Non "si mantengono" mai tutte "le stesse condizioni", altrimenti il fenomeno sarebbe "deterministico". L'esito del lancio di una moneta è completamente determinato da: la faccia a contatto con il pollice, la distanza del punto in cui l'unghia tocca la moneta dal centro di essa, l'impulso con cui colpisco la moneta, l'altezza dal piano di caduta, …; è la carenza di conoscenze o la difficoltà pratica a valutare tutti i fattori che conduce a ritenere "casuale" un fenomeno. La confusione concettuale dell'autore dellibro di testo è forse originata dal fatto che in calcolo delle probabilità spesso si chiamano convenzionalmente "condizioni" i fattori che si riescono a valutare, ossia quelli che non vengono chiamati "casuali", tra i quali, invece, rientrano quelli che l'autore ha esemplificato come "condizioni".

    La critica (2) vuole essere "simpatica", forse per essere meglio recepita e compresa dagli alunni, … ma è "sbagliata": secondo questa critica non esisterebbero eventi di probabilità nulla.

Riassumendo, queste osservazioni critiche sulle "definizioni" non "assiomatiche" (cioè non basate su una elencazione di proprietà che deve soddisfare una misura di probabilità), oltre a contenere grossolani errori, non colgono il nocciolo della questione: non siamo di fronte a "definizioni matematiche" in quanto sono tutte riferite a considerazioni extra-matematiche, ma a possibili approcci alla determinazione di alcuni valori di probabilità: non mettere a fuoco ciò ostacola la comprensione sia della natura dei modelli matematici che del ruolo del calcolo delle probabilità. Sarebbe, eventualmente; utile (nel contesto di una riflessione più generale sui modelli matematici e sulla natura della matematica) inquadrare storicamente queste "definizioni" come tentativi definitori tipici di un periodo in cui la matematica non aveva ancora assunto un proprio status autonomo.

Si veda la voce  calcolo delle probabilità deGli Oggetti Matematici.