Principio dell'identità dei polinomi: che significa? quando ha senso enunciarlo?

Il teorema di identità dei polinomi afferma che due polinomi sono "formalmente uguali" se e solo se lo sono "funzionalmente", ossia che due funzioni polinomiali di grado n e m  x → anxn + an1xn–1 + …a2x2 + a1x + a0  e  x → bmxm + bm1xm–1 + …b2x2 + b1x + b0 sono uguali se e solo se m=n e per ogni i minore od uguale ad n ai=bi.
    Al livello di scuola secondaria superiore una enunciazione piatta come quelle in genere presenti nei libri non è molto significativa.  Potrebbe esserlo, eventualmente, se intrecciata a riflessioni sui fasci di grafici di funzioni o (estendosi ai polinomi in 2 indeterminate) a considerazioni legate alle espressioni polinomiali in cos(x) e sin(x):
cos(x)2 è diversa formalmente da 1-sin(x)2 ma sono uguali se pensate come funzioni di x (il motivo per cui le cose non funzionano in questo caso è che cos(x) e sin(x) non sono "variabili indipendenti").
    Nella "matematica dei matematici" il teorema di identità è importante in quanto non funziona nel caso di alcuni tipi di polinomi. Ad esempio se consideriamo i polinomi che hanno coefficienti nella struttura che i matematici indicano con Z2, ossia l'insieme {0,1} dotato delle operazioni:
0(+)0=0, 1(+)0=0(+)1=1, 1(+)1=0; 0(·)0=0, 1(·)1=1, 1(·)0=0(·)1=0
  [ossia: m(+)n = (resto della divisone di m+n per 2), m(·)n = ...]
i polinomi x+1 e x3+1 sono diversi mentre le funzioni x → x+1 e x → x3+1 coincidono.
    Senza considerazioni di questo tipo, non si capisce il senso di una sua presenza in libri di testo della scuola superiore.