Un alunno viene posto di fronte alla equazione
w2 w2 = w (w w)
e gli viene chiesto di trasformarla in
(w + w) (w w) = w (w w)
e quindi di procedere con eventuali semplificazioni e trovare la soluzione. L'alunno, sulla base
del suggerimento, arriva a:
w + w = w e quindi, senza porsi problemi, a w = 0.
Quali misconcetti potrebbero essere all'origine di questo comportamento?
Proviamo ad elencare alcuni misconcetti.
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Il primo aspetto è che l'alunno esegue meccanicamente il procedimento indicato;
eventualmente, sempre meccanicamente, controlla che la soluzione trovata verifichi
l'equazione di partenza, ed è soddisfatto. Non si pone il problema che l'equazione
finale (w=0) non equivale a quella di partenza, né si rende conto che l'equazione di
partenza era vera qualunque valore si assegnasse a w.
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Il secondo aspetto è che l'alunno, probabilmente, è abituato ad equazioni che
contengono sempre una incognita e che hanno sempre un numero finito di soluzioni. Quindi non
si pone il problema che l'equazione potrebbe avere infinite soluzioni.
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Il terzo aspetto è che l'alunno semplifica operando la riscrittura
a·c = b·c → a = b
senza porsi il problema che essa vale solo se c ≠ 0.
Sono tutti atteggiamenti dell'alunno che sono stati originati da un insegnamento
che ha mirato a sviluppare solo abilità meccaniche, oscurando il significato delle "cose" su cui si opera.
[ovviamente, w(w−w) = w·w−w·w = w²−w² per cui l'equazione data equivale a w²−w² = w²−w² che è vera: ha per soluzione ogni numero w]