1 

   La critica (1) alla "definizione classica" non ne mette a fuoco i due limiti principali:

  invece di rilevare che è un circolo vizioso definire un concetto ("probabilità") riferendosi al concetto stesso ("ugualmente possibili"), si osserva che "non sempre si è in grado di stabilire con certezza" se i casi sono "equiprobabili";

  invece di rilevare che la "definizione" è applicabile solo al caso finito, si osserva che spesso "è difficile o impossibile conoscere il numero dei casi favorevoli e quello dei casi possibili"; poi il "non poter conoscere" non inficia la definizione ma solo l'eventuale calcolo del rapporto.

    A proposito della critica (2) va osservato che la matematica dell'ultimo secolo (un secolo dopo Laplace), quella nata, grosso modo, quando ci si è posti il problema di dare una definizione autonoma di funzione (non più come "legge" – naturale o economica o …) non ha "sollevato obiezioni alla validità generale del principio di ragion sufficiente", ma lo ha considerato un principio non "matematico" in quanto riferito a considerazioni extra-matematiche: che cosa vuol dire "ragioni sufficienti" per il matematico?


 2 

   La critica (1) alla "definizione frequentista" oscura la natura stessa del calcolo delle probabilità. Non "si mantengono" mai tutte "le stesse condizioni", altrimenti il fenomeno sarebbe "deterministico". L'esito del lancio di una moneta è completamente determinato da: la faccia a contatto con il pollice, la distanza del punto in cui l'unghia tocca la moneta dal centro di essa, l'impulso con cui colpisco la moneta, l'altezza dal piano di caduta, … ; è la carenza di conoscenze o la difficoltà pratica a valutare tutti i fattori che conduce a ritenere "casuale" un fenomeno.

    La critica (2) vuole essere "simpatica", forse per essere meglio recepita e compresa dagli alunni, … ma è "sbagliata": secondo questa critica non esisterebbero eventi di probabilità nulla.


 3 

  Il quesito presenta due possibili critiche alla "definizione soggettivista".

    La (1) è tratta dal manuale di Gnedenko, uno dei migliori e più noti tra i testi "classici" di teoria della probabilità; non si vede come non essere d'accordo con essa, quanto meno se ci si riferisce alle presentazioni scolastiche della definizione soggettivista, come quella riprodotta, e alle presentazioni che in genere si trovano nei libri a carattere divulgativo, che, omettendo alcune condizioni essenziali (ad esempio la "coerenza" delle varie valutazioni probabilistiche di un soggetto) e astraendo dal contesto formale che inquadra l'approccio soggettivista, sono abbastanza caricaturali. L'approccio soggettivista, per altro, fu messo a punto da Bruno de Finetti (clicca ), che, negli ultimi anni di vita, fu uno dei più assidui fautori dell'innovazione didattica in campo matematico.

    L'obiezione (2) è di tipo generale è adeguata per tutte e tre le "definizioni" considerate finora.