Su Galileo Galilei,  estratto da:
Jhon D. Bernal (vedi immagine),
"Storia della Fisica" ("The Extension of Man", 1972).
 

... Questo è l'altro aspetto dell'attività di Galileo: il movimento dei corpi: palle di cannone o corpi in caduta, moti naturali o moti artificiali.  Fu a questo punto che Galileo intraprese una serie di esperimenti per determinare quali fossero realmente le leggi secondo le quali i corpi cadevano.  Si dice che egli abbia fatto cadere due corpi di massa diversa dall'alto della torre di Pisa ed abbia trovato che essi giungevano al suolo contemporanemante.  Questo esperimento ha una storia curiosa, ma quello che è sicuro è che Galielo non ha mai fatto una cosa del genere. ... Comunque anche se Galileo non eseguì veramente questo esperimento, fece un gran numero di esperimenti ideali dello stesso tipo, come immaginare una cosa fatta di due pezzi e dimostrare che i due pezzi devono cadere alla stessa velocità a cui cadrebbero se fossero insieme.  Qundi tutte le cose cadono alla stessa velocità, se si trascura la resistenza dell'aria.  Galileo sapeva della resistenza dell'aria, ma la aveva coscientemente trascurata.  Egli stava cercando di determinare, e questo è un altro esempio dell'idealismo della fisica teorica, quello che farebbero i corpi nello spazio libero o nel vuoto.
    ... Tutti sapevano che se si lascia cadere qualche cosa, essa va tanto più veloce, quanto più va in basso; lo sapeva anche Aristotele.  Ma Aristotele aveva detto: «Sta cercando di arrivare al suolo: proprio come un cavallo si muove più velocemente quanto più vicina sente la stalla, così il sasso si muove più velocemente quanto più è vicino a terra» Questa è quella che si chiama una dottrina delle cause finali, cioè le cose sono determinate da ciò che diventeranno piuttosto che da ciò che erano prima; e, a suo modo, è una dottrina estremamente buona.  Il problema è che Aristotele era un biologo.  La sua teoria, ottima per i cavalli, non valeva niente applicata agli oggetti inanimati.  Il concetto di causa finale non è molto usato in fisica, ma è molto utile in biologia.
    ... Opposizone ad Aristotele si poteva già trovare in scuole come Oxford o Parigi ... La cosa importante è che la discussione fu condotta, sempre e completamente, su una base teologica e filosofica.  La differenza di Galielo è che egli argomentò attraverso gli esperimenti.  Si rese conto, però, che gli sarebbe stato estremamente difficile, con gli apparati a sua disposizione, misurare l'accelerazione effettiva di un corpo in caduta libera ed evitò il problema lavorando con un piano inclinato, dove l'accelerazione è, in proporzione, minore, o anche con il suo amato pendolo, che poteva far muovere lentamente come voleva. ...
    Galileo costruì un apparato speciale per trattare la caduta lungo piani con angoli diversi. ... Egli usava una stecca a forma di V ben incerata e vi faceva rotolare sopra una pallina di bronzo ben tornita.  Il suo problema più grande era la misura del tempo.  Egli lo misurava facendo delle pesate.  Aveva un piccolo orologio ad acqua fatto così: da un recipiente usciva un sottilissimo getto d'acqua; quando la pallina cominciava a muoversi, metteva sotto il getto un altro recipiente, e quando la pallina arrivava in fondo, o ad un punto particolare del percorso, lo toglieva e lo pesava. ... La prima cosa che trovò fu che lo spazio percorso in intervalli di tempo corrispondenti andava come il quadrato del tempo e da questo derivò la legge del moto. ...


Giuseppe Bezzuoli, "Galileo dimostra l'esperienza della caduta dei gravi a Don Giovanni de' Medici" (1839)

    Lo studio dei movimenti e dei fattori fisici che li governano è affrontato da un ramo della fisica chiamato dinamica (nome derivato dal greco dinamis, forza); è una branca della meccanica (che si occupa del funzionamento dei meccanismi; di quello dei motori si occupano altri rami della fisica, come l'elettromagnetismo – motori elettrici - e la termodinamica – motori a carburante).  I personaggi che, più di ogni altro, sono all'origine dello sviluppo della dinamica sono l'italiano Galileo Galilei (1564-1642), i francesi René Descartes (1596-1650), spesso italianizzato in "Cartesio", e Pierre de Fermat (1601-1665), l'inglese Isaac Newton (1643-1727).
    Galileo formulò il principio d'inerzia, secondo il quale un corpo cambia velocità solo se su di esso agisce una forza ("inerzia" indica lo stato di chi non modifica il proprio comportamento).  Prima di lui, ingannati dal fatto che un oggetto in movimento tende a fermarsi se non viene continuamente spinto o tirato, si riteneva che per mantenere un corpo in movimento occorresse esercitare su di esso una forza.  Galileo intuì che, invece, era il rallentamento del corpo ad essere causato dall'intervento di forze (attrito, resistenza dell'aria, …), e confermò questa sua tesi analizzando matematicamente gli esiti di una serie di esperimenti in cui cercò di ridurre l'incidenza delle forze frenanti.  Galileo mise a punto anche un modello matematico per il movimento dei corpi che cadono.  La novità introdotta da Galileo fu proprio lo studio dei fenomeni attraverso gli esperimenti e la loro rappresentazione mediante leggi matematiche generali, rompendo con la tradizione aristotelica, secondo la quale i fenomeni erano studiati su una base teologica e filosofica (e aprendo collegamenti tra la "scienza" e la "tecnica", che fino ad allora elaborava le proprie conoscenze su base empirica).
    Un ruolo fondamentale per i successivi sviluppi lo ha avuto la matematizzazione del concetto di "spazio" mediante le coordinate, con la conseguente possibilità di descrivere curve mediante equazioni.  Questa rappresentazione numerica dello spazio è dovuta a Descartes, dal cui nome deriva la parola "coordinate cartesiane", e a Fermat, a cui si devono anche le prime formulazioni del rapporto incrementale.
    Newton mise, infine, a punto un modello matematico generale dell'origine dei movimenti introducendo il concetto di derivata per descrivere matematicamente la velocità (come derivata dello spostamento) e la accelerazione (come derivata della velocità):

un corpo soggetto complessivamente a una forza F si muove con una accelerazione avente la stessa direzione di F e intensità proporzionale all'intensità di F e alla propria massa.

    In seguito al principio formulato da Newton, il concetto di forza è stato precisato ed espresso come prodotto m·a tra l'accelerazione a che essa è in grado di imprimere ad un corpo e la massa m di esso.  E ha preso il nome Newton (N) la sua unità di misura:   1 N = 1 kg·m/s2.  Accanto a Newton, lo sviluppo del concetto di derivata è dovuto a Leibniz.


    Prendiamo in esame il lancio di un oggetto.  Consideriamo una freccia o una bilia metallica, in modo che sia trascurabile l'attrito con l'aria.  Supponiamo di lanciarla con una inclinazione di 45°, con una velocità tale che avanzi di 35 m/s e si innalzi di 35 m/s, ossia che che si muova nella direzione 45° con la velocità di √(352+352) m/s = 49.50 m/s (approssimando al cm/s).  Se non ci fosse la forza di gravitazione che attira l'oggetto verso terra (peso), esso continuerebbe a procedere nella direzione 45°, con la stessa velocità.  La presenza della forza peso, diretta verticalmente verso il basso, frena la salita, ma non ostacola l'avanzamento orizzontale, come si vede nella figura sottostante, in cui si è preso l'asse x diretto come l'avanzamento orizzontale: ad ogni secondo la x dell'oggetto aumenta di 35 (dopo 7 s è avanzato di 7·35 = 49·5 = 490/2 = 245 m).

       

    Mentre il vettore velocità dell'oggetto è man mano diretto tangenzialmente alla traiettoria, l'accelerazione in questo caso è sempre diretta verticalmente e verso il basso; ciò è la traduzione di quanto detto sopra: l'oggetto avanza orizontalmente con la stessa velocità ma si alza con velocità man mano minore, fino a diventare nulla quando l'oggetto raggiunge la massima altezza, dopo di che la velocità verticale cambia direzione, e l'oggetto incomincia a scendere.
    L'accelerazione in questo caso è quella di gravità, che alla nostra latitudine, al livello del mare, è 9.80±0.01 m/s2. È facile dedurre che il moto del nostro oggetto è descritto dalle equazioni riportate in figura, cioè (considerndo x e y in metri e t in secondi) da:  x = 35 t, y = – 4.9 t2 + 35 t.
    Infatti il vettore velocità (in m/s) è:
        (x'(t), y'(t))  =   (35, – 4.9·2 t2 – 1 + 35)  =   (35, – 9.8 t + 35)
la cui velocità di variazione, ossia il vettore accelerazione (in m/s2), è:
        ( D(35), D(–9.8 t + 35) )  =  (0, –9.8)
che ha come intensità 9.8 m/s2 e direzione verticale in basso (la componente orizzontale è 0 e quella verticale è negativa): è proprio l'accelerazione di gravità.
    La traiettoria dell'oggetto lanciato è una parabola, infatti da  x = 35 t AND y = – 4.9 t2 + 35 t  si ricava t = x/35 e, quindi, y = – 4.9 (x/35)2 + 35x/35, ossia y = –0.004x2+x.  E il "proiettile" arriva nel punto x (diverso da 0) in cui y = 0, ossia quando –0.004x2+x = (–0.004x+1)x = 0, cioè quando x = 1/0.004 = 1000/4 = 250 (metri), come si vede anche dalla figura.


    Vediamo com'è l'accelerazione nel caso del moto  x(t) = t2 – 5t + 5,     y(t) = t2 – 3.  Abbiamo già visto che la velocità è il vettore (D(t2–5t+5), D(t2 – 3)) = (2t–5, 2t).  Il vettore accelerazione è dunque:  (D(2t–5), D(2t)) = (2, 2)  (2 m/s2 sia in direzione x che in direzione y, ossia inclinazione di 45° rispetto asse x e intensità √(22+22) = √(2·22) = 2√2 m/s2).
    Dunque anche in questo caso il corpo è soggetto a una accelerazione costante, diretta non verticalmente ma inclinata di 45°.  In altre parole il corpo in movimento è soggetto a una forza costante diretta come indicato nella figura qui a destra.
    Possiamo anche concludere che la traiettoria è una parabola con asse di simmetria inclinato di 45°.
    Qual è il vertice di essa?  È il punto in cui la tangente è perpendicolare all'asse di simmetria.  L'asse ha pendenza 2/2 = 1.  La tangente ha la pendenza del vettore velocità, (2t)/(2t–5).  Dobbiamo trovare per quale t essa e la pendenza dell'asse sono una il reciproco dell'altra cambiato di segno:
  (2t–5)/(2t) = –1  <=>  2t–5 = –2t  <=>  4t = 5  <=>  t = 5/4
Si tratta quindi del punto:  x = (5/4)2–5·5/4+5 = 5/16 = 0.3125,  y = (5/4)2–3 = –23/16 = –1.4375.
   Consideriamo, infine, un mezzo che si muove lungo una traiettoria circolare.

      Nella figura più a sinistra è illustrato il caso di un mezzo che si muove con velocità di intensità costante: il vettore velocità cambia direzione ma ha sempre la stessa lunghezza.  È come il moto di un satellite in orbita circolare attorno alla Terra.  La sua accelerazione è diretta come la forza che lo attira verso la Terra.
    Nel caso raffigurato a destra invece il mezzo si muove con velocità di intensità crescente.  Potrebbe essere un'automobilina telecomandata legata ad un filo fissato al terreno: la forza impressa dal motorino la fa andare via via più velocemente, la forza esercitata dal filo le impedisce di proseguire lungo una retta.  La prima forza è diretta tangenzialmente, la seconda verso il centro di rotazione; la loro somma è una forza che punta un po' più avanti del centro di rotazione.  Il vettore accelerazione, rappresentato in figura, è diretto come questa forza; sono raffigurate anche le sue componenti tangenziale e centrale, corrispondenti alle due componenti della forza.


GALILEO GALILEI

dipinto da Justus Sustermans nel 1636