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Da: L'nsegnamento della Matematica, vol. 9, n. 11, 1986

IL NUMERO NEL PRIMO APPRENDIMENTO

Carlo Dapueto - Pier Luigi Ferrari - Maria Piera Rogantin
Dipartimento di Matematica dell'Università di Genova
 

1 - Introduzione
2 - Istogrammi a crocette
3 - Misura del tempo
4 - Misura del valore di scambio
5 - Altre misure e altri usi del numero
6 - Giochi e materiali didattici
7 - Considerazioni finali e riferimenti bibliografici

 

1. INTRODUZIONE

1.1.   La ricerca didattica, la ricerca psico-pedagogica, ..., le case editrici e gli autori di materiali e proposte didattiche si sono occupati molto del primo apprendimento aritmetico o, meglio, dell'apprendimento aritmetico all'inizio della scuola elementare.
     In questo articolo, facendo riferimento anche a sperimentazioni che abbiamo condotto nell'ambito di alcuni contratti C.N.R. - Università di Genova[1], presenteremo linee, proposte e risultati di una ricerca su tale argomento che, pur collegandosi ovviamente ad altre indagini ed esperienze, si caratterizza per una sua specificità di approccio. Tale impostazione, che ora illustreremo brevemente, verrà meglio delineata ed esplicitata man mano nel corso dell'articolo.

1.2.   Il numero naturale rappresenta per il bambino il primo modello matematico che usa. In realtà più che dell'impiego di un particolare modello matematico si tratta di esperienze di matematizzazione in cui i numeri si presentano collegati da relazioni di vario tipo: a volte l'uno come successore dell'altro (uno, due, tre, ...), a volte per realizzare confronti (due sono meno di cinque, ...), a volte associati per ottenere nuovi numeri (uno e due fanno tre, ...), ...; in termini matematici, come vedremo, si dice che si è di fronte a "strutture" diverse, anche se aventi come supporto lo stesso insieme di numeri.
     Anche l'aspetto linguistico differenzia i vari usi del numero: i numeri naturali possono essere rappresentati con tacche, parole, sequenze di cifre..., le addizioni possono essere rappresentate con espressioni verbali, grafiche e simboliche assai diverse,...; e la padronanza di queste rappresentazioni fa riferimento a concetti e abilità spesso profondamente differenti.
     Infine il processo di "astrazione" attraverso cui si passa dalla "situazione" alla sua rappresentazione matematica si diversifica a seconda delle caratteristiche "strutturali" della situazione stessa (arrivare a "8+3" dal problema di trovare quale sarà la data fra tre giorni o arrivarci per rappresentare la quantità di automobiline che riescono a mettere insieme due bambini costituiscono due processi di matematizzazione niente affatto analoghi), a seconda delle grandezze rappresentate dai numeri (contare bilie uguali è diverso dal contare bilie diverse per dimensioni e colori, trovare quante sono in tutto 10 figurine e 20 figurine è diverso dal trovare quanto valgono in tutto una moneta da 10 lire e una moneta da 20 lire), a seconda della complessità e della ricchezza della situazione (che possono comportare difficoltà diverse nell'isolare gli aspetti da tradurre matematicamente), ... .

1.3.   Far riferimento agli aspetti strutturali e linguistici che distinguono anche i più elementari usi di modelli matematici non è tuttavia sufficiente per articolare e inquadrare le stesse esperienze numeriche prescolastiche degli alunni[2]: essi, specie ai giorni nostri, arrivano a scuola che hanno già percezione del ruolo sociale dei numeri, li sanno distinguere dalle altre cose, ne conoscono, pur non padroneggiandoli, gran parte degli usi, ...[3]; e nelle conoscenze socialmente diffuse e negli ambiti d'uso con cui i bambini vengono a contatto i numeri sono presenti in contesti in cui si intrecciano aspetti linguistici e strutturali diversi e in cui intervengono concetti e capacità operative non riconducibili alla "matematica".
     L'educazione matematica, così come le altre attività didattiche, in particolare al livello della scuola elementare, dovrebbe tener conto di questa ricchezza di stimoli e variabili che caratterizza le situazioni conoscitive, del fatto che nozioni e abilità inquadrabili in sistemazioni disciplinari distinte vengono acquisite nella "vita quotidiana" (o vengono memorizzate e organizzate a livello mentale) attraverso esperienze, riferimenti culturali, ... non separabili in ambiti disciplinari.
     Infatti gli obiettivi essenziali della scuola dell'obbligo consistono nella messa a punto di strumenti e quadri di riferimenti culturali che permettano di leggere meglio la "realtà" (e, come parte di questa, il significato e il ruolo delle varie discipline); e, per quanto riguarda l'educazione matematica, tali obiettivi si possono individuare nello sviluppo di abilità di matematizzazione (passaggio da situazioni a loro modelli matematici), di elaborazione di concetti matematici, di ricontestualizzazione (interpretazione nella situazione dei risultati delle elaborazioni svolte nel modello matematico),... .
     Perchè queste finalità si realizzino è indispensabile che i processi di insegnamento/apprendimento "scolastico" interagiscano con i percorsi attraverso i quali si formano e si esercitano le conoscenze fuori dalla scuola.
     In relazione a queste considerazioni, ci è parso più efficace impostare l'articolo facendo riferimento ad esempi di attività conoscitiva e/o didattica dalla cui analisi far emergere alcuni problemi didattici (e di ricerca didattica) e alcune indicazioni metodologiche piuttosto che partendo dallo sviluppo di questioni più generali; per agevolare la lettura, molti riferimenti e approfondimenti li abbiamo presentati come "note".


2. ISTOGRAMMI A CROCETTE

2.1. Come prima attività consideriamo la costruzione/lettura di istogrammi a crocette per classificare e analizzare quantitativamente gruppi di eventi, fenomeni, oggetti,... .
      In questa analisi faremo riferimento agli esiti di esperienze didattiche svolte, a partire dai primi giorni di scuola, nelle classi prime degli insegnanti che hanno lavorato con noi [1]; per altro tali esiti concordano con le esperienze di numerosi altri maestri, come ci suggeriscono i confronti che abbiamo avuto con molti di loro nell'ambito di svariati corsi di aggiornamento.
     In queste sperimentazioni l'uso degli istogrammi è stato introdotto nell'ambito di una attività di "conoscenza della classe": per vedere, ad esempio, se sono più numerosi i maschi o le femmine si fanno alzare le braccia ai maschi e si mette una crocetta per ogni maschio e poi si fa lo stesso per le femmine ...(oppure si considerano gli alunni banco per banco); analogamente si procede, ad esempio, per il mezzo di trasporto con cui si viene a scuola, la parte del quartiere in cui si abita, il colore dei capelli o degli occhi, i giochi preferiti,...; gli istogrammi vengono realizzati su supporto quadrettato (quaderno o lavagna), eventualmente sostituendo la tracciatura di crocette con la coloritura di quadretti.

     Questo uso degli istogrammi non presenta difficoltà, se non, nei primi giorni, da parte di alcuni bambini, difficoltà di tipo psicomotorio nel segnare esattamente una crocetta - o un quadretto - man mano che, ad esempio, viene abbassato il braccio di un alunno maschio o di un alunno femmina. Infatti i bambini, in questo ambito, anche se spesso si esprimono in modo scorretto [2], sanno subito confrontare correttamente quantità: questi sono di più, questi sono tanti come quelli, ...; sanno pure mettere in ordine più di due quantità e operare confronti relativi del tipo: questi sono, circa, tanti come quelli - se ad esempio questi sono 6 e quelli 7 -, questi sono molti di più di quelli - se questi sono 6 e quelli 2 -; sanno anche individuare quando questi sono uno in più o uno in meno di quelli.

  

     Proviamo dunque ad analizzare quali abilità e quali conoscenze aritmetiche mettono in luce gli esiti di questa attività all'ingresso della scuola elementare.

2.2.     Forse è bene precisare subito che, da un punto di vista strettamente matematico, questo lavoro può essere interpretato come una attività già con i numeri naturali; infatti le colonne di quadretti sono sostanzialmente equivalenti ai numerali, cioè alle espressioni che in diversi sistemi formali corrispondono ai numeri naturali[3]. In altri termini possiamo dire che le colonne di quadretti costituiscono la scrittura dei numeri naturali in "base uno" (cioè usando una sola cifra), scrittura che, rispetto alle altre notazioni, può essere considerata più fedele al concetto puro di numero naturale[4] e che del resto è simile alle prime forme di rappresentazione grafica di quantità utilizzate dagli uomini (sequenze di tacche, ...).
     Bisogna tuttavia tener presente che per un bambino attuale, per la cultura che possiede e che si sta costruendo e rielaborando, le espressioni decimali dei numeri (verbali e in cifre) sono oggetti già noti, anche se spesso le percepisce solo come indicatori generici di quantità ("mille" può voler dire "molti") o di collocazioni spazio-temporali (la conta[5], le ore o le date, i numeri negli album di figurine, ...), o come semplici etichette (per denominare reti e canali televisivi, portoni, telefoni, autobus,..) o ..., senza che egli abbia necessariamente la padronanza della corrispondenza fra le espressioni verbali e quelle in cifre e tra tali espressioni e le quantità.
     Su questi aspetti, connessi alla denominazione standard dei numeri, ritorneremo successivamente. Per ora ci soffermiamo sulla scrittura dei numeri sotto forma di colonne di quadretti e sulle abilità aritmetiche di cui questa scrittura, per la sua semplicità sia sintattica che grafica, consente di facilitare e anticipare l'esplorazione.

2.3. Consideriamo il confronto tra numeri. Per determinare, ad esempio, se in classe vi siano più maschi o più femmine non vengono confrontati direttamente maschi e femmine, ma i numeri - cioè le colonne di quadretti - che ne rappresentano le quantità. Il confronto avviene comparando direttamente le altezze delle colonne, senza contare i quadretti. Vi è nei bambini la consapevolezza che ciò si può fare poiché i quadretti sono uguali. Infatti, posti davanti a istogrammi con crocette di dimensioni diverse, gli alunni non procedono confrontando meccanicamente le altezze delle colonne, ma fanno notare l'anomalia, e alcuni alunni (quelli ai quali il livello di conoscenze prescolastiche lo consente) procedono contando le crocette.

     Non è facile individuare con sicurezza i processi mentali attraverso i quali il bambino riconduce confronti di quantità a confronti di lunghezze. Tuttavia, anche se ci si limitasse a individuare come processo fondamentale la percezione dell'esistenza di una corrispondenza biunivoca tra i quadretti di una colonna e quelli di un segmento iniziale dell'altra, non si potrebbe trascurare il ruolo di una pluralità di fattori, come la disposizione dei quadretti e il modo in cui la corrispondenza viene mentalmente costruita.[6]

     Tutto ciò rende evidente l'insufficienza delle analisi del primo apprendimento aritmetico affrontate in base alla sola distinzione (o, addirittura, contrapposizione) fra aspetti ordinali e aspetti cardinali del numero.
     Il modo in cui i bambini passano dalle quantità di oggetti (in questo caso quantità di alunni) alle quantità di quadretti, mettono in ordine di altezza due o più colonne di quadretti e trasferiscono queste conclusioni alle quantità di oggetti (anche con considerazioni sull'entità relativa delle differenze: «... sono molti di più») mette in gioco, comunque, anche altri processi mentali: impiego di abilità di tipo spaziale e di "misurazione", ricorso a conoscenze e intuizioni legate a stimoli ed esperienze offerte dall'ambiente e dai mezzi di comunicazione, ... o che i bambini esercitano in contesti extrascolastici di rilevante complessità; si pensi, per fare un semplice esempio, al grande numero di oggetti o ambienti presenti nella vita quotidiana che sono strutturati in modo che a quantità diverse risultano associati spazi diversi (giochi modulari di costruzione -tipo Lego-, scale graduate, cestelli portabottiglie, confezioni di compresse, ...).

2.4.     A questo punto, per chiarire i rapporti fra le prime esperienze numeriche del bambino e la nozione "matematica" di numero è forse opportuno introdurre qualche precisazione a proposito di quest'ultima.
     Innanzitutto, non è significativo parlare dell'insieme dei numeri naturali di per sé, senza specificare quali operazioni o relazioni intendiamo definite su di esso. Al momento stesso in cui si descrivono i numeri naturali ricorrendo a un'espressione come "zero, uno, due, tre, eccetera", si sottintende che zero è il primo numero naturale, uno è il numero a esso successivo, due è il numero successivo a uno, ...; ossia che, indicando con s l'operazione che a ogni elemento associa quello immediatamente successivo:
      s(zero) = uno, s(uno) = due, s(due) = tre, ...
     Al di là dei nomi che si danno ai numeri naturali, (zero, uno, due, ...; 0, 1, 2, ...; 0, 1, 10, ...; |, ||, |||, …), cioè, oltre all'uso di etichette per distinguere un elemento da un altro, ciò che li caratterizza è che l'operazione s stabilisce dei legami tra essi o, come si usa dire, fornisce loro una struttura che può essere rappresentata nel modo seguente (dove i pallini stanno per 0, 1, 2,... o altre etichette e ogni freccia collega ogni elemento al suo successore):[7]

     A partire dall'operazione s possiamo definire la relazione ">": m>n (m è maggiore di n) se applicando ripetutamente l'operazione s a partire da n si arriva a m (cioè se vi è una sequenza di frecce che parte da n e arriva a m).
     Possiamo poi, a seconda dei casi, considerare strutture più ricche, ad esempio definendo le operazioni di passaggio al predecessore, addizione, moltiplicazione, ... e le relazioni "... è minore di ...", "... è divisibile per ...", "... è primo con ...", ...
     Comunque, quando si parla di numeri naturali si intende di solito un insieme su cui sia definita almeno l'operazione di passaggio al successore.

2.5. Questa struttura "base" è ben visualizzata dalla cosiddetta "linea dei numeri":

     Questo modello visivo, però, essendo costante la distanza tra una tacca e la successiva, presenta già un intreccio col problema della misurazione delle lunghezze, analogamente a quanto accade con le colonne di quadretti.
     La struttura definita dall'operazione di passaggio al successore è ben rappresentata anche dal modello orale della conta (cioè del contare inteso nel suo significato di verbo intransitivo). Anche questo modello, tuttavia, è collegato a problemi di misura: la conta, nel suo carattere iterativo, viene acquisita (e interiorizzata) anche come mezzo per scandire e valutare quantitativamente lo scorrere del tempo e dello spazio.
     Dal punto di vista didattico, i termini della questione sono in un certo senso invertiti: il punto di partenza non può essere la struttura matematica, bensì devono esserlo le esperienze degli alunni, all'interno delle quali si manifestano esigenze conoscitive non distinte o articolate per struttura matematica, né per disciplina. In particolare, i numeri naturali e le relative strutture devono gradualmente costituirsi come modelli matematici di attività di ordinamento, confronto, misurazione, ...; e queste strutture astratte non possono essere definite o delineate in modo "puro", ma devono far riferimento a situazioni conoscitive e a modelli "concreti" che fungano da prototipo per l'uso di tali strutture e ne rendano evidente il significato.
     A ulteriore conferma delle precedenti considerazioni, osserviamo come il lavoro con gli istogrammi ha messo in luce la naturalezza con cui già nei primi giorni di scuola gli alunni, in questo contesto conoscitivo, associano al contare "intransitivo" il contare "transitivo", usano cioè la sequenza dei nomi dei numeri per individuare le quantità (di quadretti, ... e dei rispettivi oggetti)[8]. E' spontaneo per gli alunni anche ricondurre le differenze di quantità ("i maschi sono più delle femmine; quanti in più?") alle differenze delle corrispondenti colonne.

Soffermandoci su quest'ultima attività (che poi si sviluppa in modo naturale nelle attività sulla linea dei numeri) osserviamo che il calcolo viene effettuato, senza difficoltà, sia contando (dal basso verso l'alto) i "quadretti che mancano", sia mettendo in evidenza la parte di colonna in eccesso e determinandone la lunghezza (esprimendone il valore direttamente - cioè senza conta - se si tratta di pochi quadretti). Nel secondo caso il tratto di colonna che rappresenta la differenza viene percepito come un'entità a sé stante, come una nuova colonna con l'origine traslata verso l'alto.

2.6.     Ci siamo soffermati a lungo sulla costruzione/lettura di istogrammi a crocette poiché essa, nonostante la sua semplicità, comporta un uso, implicito, di modelli matematici abbastanza complessi, permettendo così l'esplorazione di diverse abilità prescolastiche degli alunni. Gli esiti di tali esplorazioni, che sono stati delineati nei paragrafi precedenti, non concordano o sono difficilmente confrontabili con quelli di alcune altre indagini circa le conoscenze matematiche o "prematematiche" dei bambini; ciò è da collegare a differenze di impostazione metodologica e culturale.
     Una prima caratteristica, più specifica, è che questo approccio non presenta momenti di indagine distinti per le abilità logiche, per quelle quantitative, per quelle numeriche, ... come accade in certe linee di ricerca pedagogica.[9]
     Qui, ad esempio, invece di ricorrere a riproduzioni dei vari gruppi di oggetti (come i disegni con i fiori bianchi e i fiori neri, ...) si usano colonne di quadretti, che rappresentano quantità in un opportuno linguaggio (cfr 2.2.). Ciò consente di operare, in modo concreto, non su oggetti, ma direttamente su quantità; il riferimento agli insiemi di cui le colonne rappresentano la cardinalità è esplicitato dai simboli posti sotto le medesime.
     In questo modo il momento della classificazione e quello del confronto quantitativo risultano integrati; inoltre, grazie al ricorso al supporto grafico e alla distinzione fra i simboli che rappresentano quantità (le crocette) e quelli che caratterizzano i diversi insiemi (gli ideogrammi sotto alle varie colonne), è possibile formulare quesiti o affermazioni con un basso livello di ambiguità.
     Quest'ultimo aspetto è fondamentale, come hanno messo bene in luce, per esempio, le ricerche che si sono occupate di verificare il ruolo giocato dalle ambiguità linguistiche rispetto ad alcuni risultati "limitativi" di Piaget, come quelli riguardanti la capacità del bambino di operare confronti tra una "parte" e il "tutto", di percepire la conservazione di quantità, lunghezze ecc.[10]
     Per fare un esempio tratto dalla nostra esperienza, osserviamo che nel calcolo delle differenze fra colonne di istogramma a cui abbiamo accennato in 2.5. si hanno esiti analoghi nei casi in cui l'istogramma rappresenta una distribuzione degli alunni della classe, cioè quando per ogni bambino si segna un solo quadretto e in una sola colonna (ad esempio, se gli alunni vengono classificati per sesso, colore dei capelli, ...) e nei casi in cui ogni bambino può essere "collocato" (con un quadretto) anche in più colonne o in nessuna (ad esempio, se si segna un quadretto per ogni alunno a cui piace andare in bicicletta, una per ogni alunno a cui piace giocare al pallone, ...). In altri termini, nel calcolo della differenza tra le cardinalità di due insiemi si hanno esiti analoghi sia quando essi sono disgiunti sia quando non lo sono, sia quando, in particolare, sono l'uno contenuto nell'altro. In questo caso l'esistenza di una relazione del tipo parte/tutto non sembra giocare un ruolo fondamentale, una volta eliminati i problemi di comprensione (sia riguardo alle singole espressioni verbali, sia alla situazione nel suo complesso) che caratterizzano spesso le descrizioni insiemistiche.
     Il rifiuto di considerare separatamente le singole abilità (nel momento della costruzione dei concetti e in quello della verifica) non è però soltanto un espediente per diminuire le difficoltà di comprensione dei bambini ma è collegato a punti di vista generali (fondati sulle nostre esperienze e su considerazioni di tipo teorico) riguardo ai modi stessi di apprendere del bambino e ai suoi problemi di inserimento e di comunicazione. E' stato provato, nell'ambito di alcune ricerche, come le abilità di tipo logico non costituiscano un'isola a sé stante ma siano legate anche agli altri aspetti della personalità e della "cultura" del bambino[11]. Le sue capacità di ragionamento non dipendono quindi solo dall'età o da qualche caratteristica innata ma anche, e soprattutto, dal tipo di esperienze che ha vissuto, a scuola e fuori, e dalle conoscenze che ha acquisito[12].

2.7.   Una seconda caratteristica che differenzia l'approccio che illustriamo da altre indagini sull'apprendimento aritmetico è che nel descrivere gli esiti delle attività proposte ai bambini (in questo caso delle attività con gli istogrammi) non ci siamo espressi facendo riferimento a test e in termini di percentuali di risposte o comportamenti corretti. Infatti non solo si è evitato di spezzettare a priori le competenze in singole abilità e conoscenze da costruire e poi verificare con prove specifiche, ma la stessa verifica è stata impostata all'interno di una attività didattica "normale" e facendo riferimento all'intera produzione grafica e orale degli alunni e a colloqui con gli insegnanti. Questa scelta è legata a considerazioni di tipo psicologico: nello studio dei processi di apprendimento, le indagini "in vitro" sono falsate dall'esclusione di fattori culturali che entrano in gioco nell'esercizio "dal vivo" delle conoscenze e delle abilità mentali; nelle attività didattiche, il ricorso a prove ad hoc, per una sorta di "principio di indeterminazione" può disturbare l'impegno cognitivo del bambino e indurlo a livelli diversi di partecipazione. Essa è, tuttavia, legata anche a considerazioni di tipo culturale e pedagogico: i bambini non dovrebbero essere motivati a impegnarsi in particolari attività di verifica ricorrendo alla sottolineatura del valore "fiscale" o a presentazioni "piacevoli" ma dovrebbero essere stimolati dagli itinerari didattici (che dovrebbero farsi percepire come rispondenti ai loro bisogni, interiori o sociali, di accrescere conoscenze e abilità) alla attesa o alle richieste di valutazioni costruttive e non occasionali da parte dell'insegnante.
     In questo senso, a proposito dell'attività per indagare le conoscenze prescolastiche che abbiamo presentato in questo paragrafo, osserviamo che gli istogrammi a crocette si presentano subito come strumento che da un lato precisa e quantifica osservazioni e confronti che gli alunni già facevano ed esprimevano a livello qualitativo, o facevano senza riuscire a esprimere, o, in alcuni casi, riuscivano appena a impostare, e dall'altro permette di passare dall'individuale (le caratteristiche dei singoli alunni) al collettivo (le caratteristiche della classe), integrando finalità conoscitive e obiettivi di socializzazione. E il momento della classificazione, ad esempio, non si presenta come un giochetto che sfrutta le conoscenze e le esperienze che i bambini già hanno per adattarle a linguaggi e concettualizzazioni "insiemistiche" (in genere, inadeguate), ma come momento in cui si discerne la realtà, la si riorganizza per estrarre delle informazioni nuove che ci permettono di conoscerla meglio. In altre parole si è di fronte alla costruzione di un modello matematico che permette di coniugare gli aspetti logico-linguistici con quelli quantitativi, non limitandosi alla sola rielaborazione linguistica di esperienze percettive pure e semplici ma facendo intervenire competenze di tipo grafico, spaziale, ecc.
     Queste considerazioni verranno approfondite nei punti successivi, analizzando altre attività. Non ci soffermiamo qui sugli sviluppi connessi all'introduzione dei primi concetti di statistica che l'impiego degli istogrammi può avere nella prima classe o nelle classi successive.



3. MISURA DEL TEMPO

3.1   Nel paragrafo 2 abbiamo messo in luce alcune delle abilità numeriche già possedute dagli alunni al momento dell'ingresso nella scuola elementare e, contemporaneamente, la povertà di un lavoro che sia inizialmente rivolto solo a una costruzione di concetti o abilità prenumeriche separata dalle esperienze conoscitive che il bambino ha fatto e continua a fare nell'ambiente extrascolastico.
     Ora avviamo un'analisi organizzata non per temi matematici, ma per ambiti di uso del numero e delle proprietà aritmetiche.

3.2.     In analogia con i primi sviluppi della matematica, che nell'antichità furono strettamente connessi con quelli della fisica e dell'economia, anche per il bambino attuale le misure fisiche e quelle economiche costituiscono, seppure in forme diverse rispetto al passato, il terreno principale, anche se non esclusivo, per le prime esperienze numeriche, pre ed extra scolastiche.
     La grandezza che fu misurata per prima è il tempo, attraverso il conteggio in giorni. Anche se la scoperta che il giorno ha sempre la stessa durata è avvenuta, con ogni probabilità, relativamente tardi, tuttavia ci si accorse presto che il ripetersi di certi fenomeni astronomici (in particolare il plenilunio) avviene regolarmente dopo uno stesso numero di giorni. Osservazioni astronomiche e calcoli più complessi si svilupparono di pari passo con la crescita dell'importanza dell'agricoltura e dell'articolazione della società umana, e non a caso matematica e astronomia furono considerate per lungo tempo le uniche scienze e, poi, le scienze più importanti.
     Anche per il bambino l'alternanza del dì e della notte costituisce uno dei primi e principali punti di riferimento per l'organizzazione dei ricordi e delle nuove esperienze; il calendario, e in particolare la scansione settimanale, assume presto un ruolo importante nella vita del bambino: è esso a regolare lo stare assieme ai genitori e ad altre persone, la messa in onda di certi programmi televisivi, lo svolgimento di determinate attività nella scuola materna, ...
     Il bambino impara nei primi anni che i numeri servono per identificare i giorni, memorizza la propria data di nascita e altre date,... e diventa consapevole del ruolo dei calendari (anche se non ne padroneggia l'uso, a meno di un intervento educativo specifico).
     Mentre nella storia dell'umanità la misura in unità più piccole del giorno è avvenuta molto tardi, assai dopo le misure di volume e di lunghezza, in una società tecnologicamente e socialmente sviluppata come la nostra il bambino acquista precocemente una relativa confidenza anche con la misura degli intervalli di tempo "brevi", cioè dell'ordine di grandezza delle ore, dei minuti e dei secondi (attraverso i dialoghi familiari, i programmi televisivi, la diffusione degli orologi,...).
     Dunque, il fatto che i numeri sono usati per individuare e ordinare temporalmente eventi o per rappresentarne la durata fa già parte del patrimonio culturale del bambino. Appoggiarsi a queste conoscenze (e curiosità) sulla misura del tempo e alle occasioni di verifica/esercizio offerti dall'ambiente extrascolastico facilita lo studio e l'apprendimento di aspetti linguistici e strutturali del "numero". Nel seguito, pur riferendoci anche a sperimentazioni didattiche condotte, non procediamo delineando un curricolo didattico, ma organizziamo l'esposizione distinguendo diversi ambiti di esperienze di misura del tempo con un ordine che non vuole suggerire una particolare sequenza di tappe di lavoro in classe.

3.3.   Abbiamo accennato in 2.5 al carattere temporale che ha il contare (intransitivo) nelle prime esperienze del bambino. Accanto a questa percezione implicita, il bambino (attraverso l'ambiente, la televisione, …) acquista consapevolezza dell'uso della sequenza numerica per la misura del tempo, sia in forma orale che in forma scritta (da espressioni come "conto fino a tre!", al conto alla rovescia, alla sequenza dei secondi generata da orologi digitali o sullo schermo televisivo,…). L'insegnante può verificare facilmente che all'ingresso del bambino nella scuola elementare questa sua consapevolezza è già padronanza d'uso, almeno nella conta fino al tre o al quattro o … e che egli si rende conto della soggettività del contare come strumento per misurare il tempo: un-due-tré è diverso da uunoo--duuee--treee. Il bambino si è quindi già trovato di fronte ad un uso della sequenza numerica assai diverso dalla misura di quantità di oggetti.
     Lo scandire lo scorrere del tempo è indubbiamente per il bambino una motivazione profonda all'apprendimento della sequenza numerica (assieme, certamente, alla volontà di mettere alla prova le proprie capacità), ma deve essere anche considerato di per sè un obiettivo: contare a diverse velocità (appoggiandosi ad esempio ad un metronomo) individualmente e collettivamente, contare i propri battiti cardiaci in diversi stati (riposati, dopo una serie di salti, ...), contare leggendo i secondi visualizzati da un orologio digitale o appoggiandosi agli scatti della lancetta dei secondi di un orologio da muro al quarzo,... sono attività che consentono di sviluppare la padronanza della misura del tempo (e in particolare dei concetti di secondo e minuto) e che hanno valenza psicomotoria.

3.4.   La scrittura/lettura di numeri (a una, due e quattro cifre) nelle date, pur essendo assai diffusa già nella prima elementare, in genere rimane una attività momentanea, isolata, priva di interazioni con una didattica volta a una lenta introduzione sequenziale dei numeri naturali. Analogamente in genere non è sfruttato il collegamento con il modello matematico della linea dei numeri (cfr. 2.4) che è messo bene in risalto dai calendari murali lineari.
     Le esperienze degli alunni, i loro ricordi, le loro attese, ... sotto la guida dell'insegnante possono trovare nella sequenza numerica e nella sua rappresentazione grafica sul calendario uno strumento che consente di annotarle, ordinarle, visualizzarne la distanza nel tempo; la sperimentazione ha mostrato che attività di questo genere da una parte consentono di evidenziare l'utilità del ricorso alla linea dei numeri, motivando l'apprendimento numerico, dall'altra si rivelano determinanti per lo sviluppo di abilità matematiche: il riferimento al "prima" e al "dopo" nel tempo costruisce e consolida abilità nell'operare con gli analoghi concetti sulla sequenza verbale, sulla sequenza in cifre e sulla linea dei numeri; la risoluzione "in situazione" (cioè senza trasferirsi al livello astratto delle operazioni con numeri puri) di problemi posti da curiosità o esigenze reali inerenti il "calendario" consente di sviluppare capacità di organizzare ed elaborare le informazioni, di individuare algoritmi,... essenziali alla padronanza del significato delle operazioni aritmetiche, ...

3.5.   Soffermiamoci sul modo in cui queste attività possono favorire la memorizzazione dei nomi dei numeri e introdurre al meccanismo decimale di scrittura. Occorre innanzitutto osservare che la memorizzazione "verbale" e la memorizzazione "grafica" dei numeri e della sequenza numerica si sviluppano in svariati modi; del resto questo aspetto (piuttosto trascurato nelle ricerche sui processi di apprendimento) si manifesta ad ogni insegnante con episodi come quello di bambini che alla fine della prima elementare sanno che dopo alla pagina 118 (uno uno otto) ci sono le pagine 119 (uno uno nove), 120 (uno due zero), ... ma che non sanno o hanno difficoltà ad esprimere ciò nella forma "centodiciannove", "centoventi",...
     L'uso del calendario e attività ad esso collegate favoriscono l'acquisizione operativa del meccanismo lessicografico con cui generare la sequenza delle espressioni decimali dei numeri naturali.[1] Questo procedimento non è direttamente legato all'interpretazione "polinomiale"[2]: per confrontare 26 e 18 non si ricorre al fatto che 26 è dato da 6 unità e 2 decine mentre 18 è dato da 8 unità e 1 decina. In termini "matematici" possiamo dire che per interpretare la scrittura con l'alfabeto 0,1,...,9 come scrittura polinomiale non basta l'operazione di successore, ma occorrono altre operazioni aritmetiche (addizione e moltiplicazione); tuttavia discuteremo successivamente situazioni conoscitive (legate alla misura del valore di scambio) in cui è possibile avviare alla padronanza del significato polinomiale senza una preventiva formalizzazione di tali operazioni.
     Su calendario lo zero compare come cifra ma non come numero. Lo stesso accade in situazioni analoghe, come nella numerazione interna di un caseggiato (iniziando dal piano inferiore si numerano gli appartamenti secondo l'ordine con cui si incontrano salendo le scale), nella numerazione dei canali di un televisore,... . E' bene, tuttavia, considerare da subito anche situazioni in cui lo zero è il primo numero. Le esperienze alla portata degli alunni che offrono esempi in questo senso sono varie; abbiamo già accennato alla conta alla rovescia, alla sequenza dei secondi in un orologio digitale,... Comunque i bambini padroneggiano sicuramente l'espressione "zero oggetti" come altro modo per dire nessun oggetto [3].

     L'utilizzo della linea dei numeri nelle attività con gli istogrammi, cioè il suo impiego come asse verticale che permette di leggere direttamente l'altezza delle colonne di quadretti, integra l'aspetto dei numeri per rappresentare posizioni con quello dei numeri per rappresentare quantità e, in particolare coniuga zero cardinale e zero ordinale.

  

3.6.     L'uso della linea dei numeri consente di rappresentare efficacemente e risolvere facilmente situazioni problematiche inerenti la misura del tempo in giorni, e di introdurre alcuni significati e, contemporaneamente, alcuni algoritmi delle operazioni aritmetiche. Vediamo qualche esempio.

     Se l'insegnante, dando l'informazione "Oggi è il 15 ottobre. Fra tre giorni andremo in palestra" al fine di segnare il giorno sul calendario pone il quesito "Quale sarà la data?", gli alunni non mostrano difficoltà a comprendere il procedimento risolutivo basato sul contare/eseguire tre passaggi al successore, cioè sul comporre tre spostamenti unitari (visualizzati mediante frecce orientate nella direzione secondo cui crescono i numeri).
     Gli alunni acquistano presto autonomia nella risoluzione di situazioni problematiche analoghe. Non presenta difficoltà l'introduzione di espressioni come "più uno", "più tre",... per rappresentare l'andare avanti di un giorno, di tre giorni, ... sul calendario, essendo già familiare ai bambini l'uso nel linguaggio comune dell'avverbio "più" associato a situazioni di avanzamento, superiorità, ... .

     È assai naturale introdurre anche l'abbreviazione di "più" col simbolo "+" e passare a rappresentazioni del tipo:

     Mentre non crea problemi introdurre espressioni come "15 più 3 fa 18", l'uso in questo contesto di espressioni come "15 più 3 è uguale a 18" si presenterebbe, invece, conflittuale col linguaggio comune, che riserva il termine uguale a situazioni di equivalenza. Le difficoltà a padroneggiare il significato del simbolo "=" che spesso manifestano gli alunni, anche alla fine della scuola elementare, suggeriscono l'introduzione di tale termine in un contesto più appropriato e motivante. Su ciò ritorneremo successivamente.
     
     A proposito del problema "Oggi è il 15. Che data avremo fra 3 giorni?" osserviamo ancora che l'addizione 15+3 rappresenta qui una situazione intrinsecamente non commutativa (è cosa completamente diversa chiedere che data avremo fra 15 giorni se oggi è il 3 del mese). I due addendi non possono cioè essere percepiti in modo simmetrico, ma il primo funziona come dato di partenza, sul quale il secondo opera una trasformazione. Ad essere più precisi possiamo dire che in questo caso l'addizione viene percepita come un'operazione unaria, cioè a un solo argomento (si veda la seguente illustrazione a sinistra), piuttosto che come un'operazione binaria che opera simultaneamente su due argomenti (si veda l'illustrazione a destra).

     Ovviamente situazioni di questo tipo non sono rappresentabili insiemisticamente: nella cosiddetta impostazione insiemistica (e in tutte quelle in cui la costruzione del concetto di operazione è affidata esclusivamente ad attività - manipolative o no - con raggruppamenti di oggetti) vengono privilegiati quei particolari usi dell'addizione che si prestano ad essere rappresentati (anche se spesso con forzature) in termini di unioni insiemistiche, e "il 15 ottobre" ...non è un insieme di giorni![4]
     Situazioni più simili a quelle rappresentabili insiemisticamente sono, ad esempio, situazioni come la seguente: "Fra due giorni andiamo a fotografare gli alberi del parco. Ci vorranno tre giorni per lo sviluppo. Fra quanti giorni potremo avere le fotografie?".

     In questo caso, infatti, si ha a che fare con una operazione binaria: la composizione di due trasformazioni. Tuttavia non è una situazione intrinsecamente commutativa (anche se la commutatività è più intuibile rispetto alla situazione precedente): anche se si considerasse l'operazione come la messa insieme di due giorni e tre giorni , piuttosto che di "unione" si tratterebbe di "concatenazione".
     
     Le attività con gli istogrammi possono contribuire alla comprensione della commutatività dell'addizione sulla linea dei numeri.

     Per fare un esempio, supponiamo che gli alunni siano stati classificati a seconda del paese in cui abitano e si sia ottenuto (si veda la seguente figura) che oltre a coloro che stanno nel paese S in cui sorge la scuola vi siano 2 bambini che abitano nel paese A e 4 bambini che abitano nel paese B. Per trovare quanti sono gli alunni che abitano "fuori" si possono contare i quadretti che li rappresentano o a partire da quelli della colonna A (1,2) proseguendo con quelli della colonna B (3,4,5,6) o fare viceversa (1,2,3,4, poi 5,6). Per rappresentare graficamente questa quantità si può, analogamente, o disegnare a partire dalla colonna A una colonna uguale alla colonna B o disegnare a partire da B una colonna uguale ad A: in entrambi i casi si ottiene una colonna di altezza 6.

 

     Considereremo in paragrafi successivi altre situazioni rappresentabili in termini di addizione nelle quali sia manifesta la commutatività.

3.7.   Usando il calendario si presentano problemi che possono essere rappresentati o risolti con l'operazione aritmetica della sottrazione. Ad esempio "Oggi è il 22 ottobre. Qual'è la data di 4 giorni fa?" è una situazione che viene affrontata contando/eseguendo 4 spostamenti unitari di verso opposto a quello secondo cui viene generata la sequenza numerica. Analogamente a quanto abbiamo già osservato per il "+", si ha che l'introduzione graduale delle espressioni "meno uno", "meno quattro", .... fino all'espressione "22 meno 4 fa 18" e alla scrittura seguente non presenta particolari difficoltà:

              -4
          22     > 18

Anche in questo caso non possiamo ricorrere a una rappresentazione insiemistica: non si tratta di togliere 4 oggetti da un insieme di 22 oggetti.
     Si presentano anche situazioni in cui è da determinare la differenza tra due tempi; ad esempio: "Oggi è il 22. Il 29 andiamo in gita. Quanti giorni mancano?" o "Il 17 Luigi si è ammalato. Oggi è il 23. Quanti giorni sono passati?".

     Il calcolo ha evidenti analogie con quello in cui vengono determinate le differenze di altezza tra due colonne di un istogramma (cfr. 2.5). Qui però, si presenta come confronto non tra due sequenze disgiunte, ma tra due posizioni su una stessa sequenza; non si presentano quindi i problemi legati alla individuazione delle corrispondenze biunivoche discussi in 2.3: la differenza sulla linea dei numeri non ha collegamenti diretti con il confronto di insiemi.
     Osserviamo, ancora, che di fronte a una situazione problematica come quella dell'ultimo esempio, accanto a bambini che contano quanti spostamenti unitari (= giorni) occorre eseguire per passare dal 17 al 23, vi sono bambini che adottano una strategia diversa: contare gli spostamenti unitari che si devono eseguire per ritornare dal 23 al 17; preferiscono cioè assumere come dato di partenza "oggi" e determinare "quanti giorni fa" era il 17.

     Naturalmente, essendo tutt'altro che banale comprendere (o anche solo intuire) che la differenza tra due numeri equivale alla sottrazione di uno dall'altro, l'uso del termine "meno" e del relativo simbolo "-" per tali situazioni va introdotto in un secondo tempo. Importante è, invece, arrivare gradualmente a scritture del tipo seguente:[5]

              +?
          8     > 11

3.8.   I pochi esempi considerati finora mettono già in luce che vi sono situazioni problematiche intrinsecamente diverse la cui matematizzazione conduce alla stessa operazione, e che per una stessa operazione possono essere adottati algoritmi (cioè procedure di calcolo) differenti. Gli algoritmi sin qui visti si basano sulla ripetuta esecuzione dell'operazione di passaggio al successore o di quella di passaggio al predecessore, come avviene del resto nella maggior parte dei sistemi formali con cui vengono definite le operazioni aritmetiche.[6]
     In situazioni differenti vedremo che è più naturale ricorrere direttamente ad algoritmi legati alla scrittura decimale senza che gli alunni ne padroneggino l'interpretazione in termini di spostamenti unitari sulla linea dei numeri: l'attività didattica gradualmente dovrà sia ricondurre allo stesso tipo di operazione situazioni problematiche differenti, sia connettere strategie di calcolo per la stessa operazione individuate in situazioni differenti.
     Il riferimento alla linea dei numeri è importante, oltre che per la evidenziazione della struttura di base dei numeri naturali e per la messa a fuoco di importanti aspetti delle operazioni, anche perchè la sua memorizzazione visiva diventa per il bambino un punto di appoggio per l'esecuzione di alcuni calcoli e per la percezione di alcune relazioni aritmetiche (8 è più vicino a 10 che a 5, 7 dista 3 da 10,...), contribuendo (insieme ad altre attività) alla loro acquisizione mnemonica.
     Prendendo ancora in esame il modello del calendario, osserviamo che i giorni sono caratterizzati, oltre che da un numero che determina la loro posizione nel mese, da un nome che determina la loro posizione nella settimana; lo stesso nome ritorna ogni sette giorni. Questo arricchisce ulteriormente la struttura matematica del modello e (anche grazie all'evidenziazione delle domeniche mediante il ricorso a un colore diverso) può suggerire nuove strategie per affrontare problemi.
     Ad esempio, riferendosi al calcolo della differenza tra due date, si può concludere che da martedì 7 a lunedì 13 passano 6 giorni poichè ne passano 7 per arrivare al martedì successivo, cioè al giorno dopo, e che per arrivare al terzo mercoledì successivo passano 15 giorni poichè ne passano 14 per arrivare a martedì 20, cioè al giorno prima, o poichè ne passa 1 per arrivare al primo mercoledì e altri 14 per arrivare al terzo mercoledi. Le figure seguenti illustrano questi tre esempi di procedimento.

     Si tratta di attività che costruiscono abilità che vengono esercitate anche fuori dal contesto del calendario; ad esempio molte tecniche elementari di calcolo rapido (su cui ci soffermeremo successivamente) si basano su analoghe abilità di scomposizione/composizione.
     Il calendario è strutturato anche in mesi. Ciò conduce anche a problemi del tipo "Oggi è il 28 ottobre. Che data avremo fra 10 giorni?" o "Oggi è il 21 dicembre. Torneremo a scuola il 4 gennaio. Tra quanti giorni?", cioè a problemi di addizione, differenza, ... non rappresentabili su un'unica linea dei numeri.

     

     La risoluzione di questi problemi comporta l'impiego di algoritmi in genere trascurati dall'educazione scolastica, forse perchè non facilmente rappresentabili attraverso le espressioni tradizionali.[7]
     L'educazione scolastica spesso non mette in luce neanche la differenza tra situazioni in cui date o distanze temporali possono essere calcolate direttamente con una addizione o una differenza (come quelle considerate in 3.6 e 3.7) e situazioni come "Questo prodotto è stato confezionato il 7 e deve essere utilizzato entro 5 giorni. Qual è l'ultimo giorno in cui è utilizzabile?" o "Il primo giorno di vacanza è il 5 e l'ultimo è il 10. Per quanti giorni non verremo a scuola?" le cui soluzioni, 11 e 6, non sono rappresentabili con 7 + 5 e con 10 - 5 .
     Ciò, invece, oltre a far riferimento a una questione che spesso si pone nella vita extrascolastica[8], consentirebbbe di sottolineare il fatto che risolvere una situazione problematica non si riduce all'individuare con quale delle quattro operazioni mettere insieme due numeri per trovarne un altro[9].
     Analoghe osservazioni possono essere fatte per l'introduzione informale, nell'ambito di situazioni di misura del tempo, di alcune prime considerazioni sulle approssimazioni. Infatti un istante può essere individuato con precisione diversa a seconda dell'unità di misura utilizzata, e in relazione alla precisione con cui si conoscono i dati si possono approssimare diversamente i risultati: da febbraio (mese 2) a giugno (mese 6) passano circa 6-2=4 mesi, ma dall'inizio di febbraio alla fine di giugno passano 5 mesi; un bambino nato nel 79 nell'85 aveva un'età che poteva variare da circa 5 anni a circa 7 anni a seconda del mese di nascita e del mese dell'85 considerato (vedi la figura seguente); ...

3.9   Il contesto del calendario offre, dunque, svariati modi di rappresentare i numeri, introducendo implicitamente aspetti di aritmetica modulare, approssimazioni,...: organizzazione dei numeri in gruppi di 7 e di 30, espressione di quantità di giorni utilizzando unità diverse (9 giorni <-> 1 settimana e 2 giorni, 15 giorni <-> circa due settimane, ...).
     Considerazioni analoghe valgono per altre attività di misura del tempo effettuabili nel primo ciclo.
     Si pensi alla rappresentazione del tempo su carta quadrettata mediante strisce orarie, utilizzabili per registrare le attività della giornata, confrontare i tempi impiegati per svolgerle (mettendo in discussione le valutazioni dei bambini, associate spesso a considerazioni soggettive: la noia per certe attività le fa percepire più lunghe, il tempo di sonno viene pensato molto più breve, ...), confrontare giornate "scolastiche e giornate"festive", ... .

     La striscia oraria, rispetto alla linea dei giorni, consente di evidenziare meglio l'analogia strutturale tra tempo e spazio: a ogni posizione sulla striscia corrisponde un istante; se tra la tacca che rappresenta un'ora e quella successiva si fanno passare due quadretti, ad un quadretto corrisponde mezz'ora; tempi più brevi corrispondono a tratti più brevi; … .
     Per dare un'idea di possibili sviluppi osserviamo che il passaggio all'impiego di dischi orari può consentire l'introduzione informale di considerazioni di aritmetica modulare; ciò può condurre alla messa in luce di altri legami tra tempo e spazio (ciclicità nel tempo e ciclicità nelle rotazioni, intervalli di tempo e ampiezze angolari, … ); … .

     Misurare con un orologio murale (o da tavolo) a lancette la durata in secondi o in minuti di un fenomeno (segnando sul vetro la posizione iniziale e la posizione finale delle lancette - vedi figura A), leggere quanti minuti sono passati dalle 9 in punto (vedi figura B) e altre attività che possono inserirsi naturalmente nel contesto del lavoro e della "vita" della classe sviluppano abilità aritmetiche di base (di composizione/scomposizione, di calcolo mentale,...). Non ci soffermiamo sui successivi sviluppi legati alla padronanza dell'"aritmetica dell'orologio", dei rapporti,... che necessiterebbero di un approfondimento specifico e vanno oltre i limiti contenutistici che ci siamo posti per il presente articolo.




4. MISURA DEL VALORE DI SCAMBIO

4.1.   Rispetto alla conta di oggetti o di particolari unità di misura (giorni, ceste di cereali, ...) l'impiego del denaro per rappresentare il valore di scambio delle merci ha indubbiamente costituito nella storia dell'umanità un grosso salto in avanti nella costruzione e nella diffusione della cultura matematica. Infatti, nelle comunità commercialmente sviluppate, l'uso del denaro (prima sotto forma di quantità di particolari oggetti o di un particolare bene, poi sotto forma di monete coniate) rese sempre più necessaria la conoscenza e la padronanza dei numeri.
     Oltre che una crescita quantitativa nell'uso dei numeri, ciò comportò anche decisivi sviluppi concettuali; infatti il numero divenne uno strumento non più solo per rappresentare direttamente una particolare quantità di cose, ma anche per rappresentare una grandezza convenzionale (determinata da particolari rapporti sociali) che permette di rendere equivalenti o confrontare beni astraendo dalle loro diversità qualitative e quantitative. L'uso del denaro comportò dunque anche una diffusione sociale sia dell'abilità di operare con numeri prescindendo dalla loro percezione visiva in termini di quantità, sia della capacità di immaginare e trattare numeri "grossi" così come numeri inferiori a uno. Ricordiamo, tra l'altro, che in diverse civiltà (babilonese, romana, ...) era frequente che le frazioni di unità monetaria finissero per essere impiegate anche per denominare frazioni in generale[1].
     Nella nostra società per la grande maggioranza delle persone l'uso dei numeri per rappresentare valori di scambio è il contesto principale in cui vengono esercitate abilità aritmetiche. E' anzi diffuso il fenomeno di persone che hanno una buona padronanza dei calcoli economici elementari senza essere in grado di affrontare astrattamente o in altri contesti calcoli e problemi aritmetici di complessità inferiore.
     L'ambito delle misure economiche è anche, nella maggior parte delle situazioni, uno dei primi in cui il bambino compie significative esperienze con i numeri. Del resto il fenomeno citato in precedenza è presente anche in età scolare: si pensi ai casi di bambini che non hanno difficoltà per esempio ad acquistare con 500 lire tre pacchetti di figurine da 150 lire e a controllare il resto ma che a scuola non sanno calcolare 500:150.
     Le considerazioni precedenti rendono evidente la necessità che (in una scuola che sia effettivamente sede di un apprendimento non fine a se stesso e non isolato dai processi di formazione delle conoscenze che si svolgono all'esterno di essa) il tema economico sia uno dei terreni in cui sviluppare anche il primo apprendimento aritmetico. Per altro tale tema offre occasioni di lavoro ad ampio respiro, per attività collegate a esperienze pre- ed extra-scolastiche dei bambini ricche, oltre cha da un punto di vista matematico, da quello della formazione culturale complessiva.

4.2.   Le attività didattiche basate sull'uso del denaro, a differenza di quelle legate alla misura del tempo, che pongono l'accento soprattutto sulla linea dei numeri (successore, ordinamento, ...) e coinvolgono solo valori relativamente piccoli, consentono di evidenziare e di approfondire la conoscenza e la padronanza della procedura decimale con cui rappresentiamo i numeri e di trattare valori con ordini di grandezza assai diversi. Ciò è ovviamente dovuto alle caratteristiche del nostro sistema monetario; infatti le nostre monete costituiscono un materiale strutturato in modo essenzialmente decimale e la disponibilità di varie "unità di misura" (dieci, cento, mille, ... lire) consente di operare facilmente anche su valori elevati[2].
     L'acquisto di beni in negozi nella zona della scuola, attività di compravendita realizzabili in classe (avendo portato prodotti di vario genere, con indicati i relativi prezzi, e dotato gli alunni di monete[3] dei vari tagli), considerazioni su semplici catene di scambi economici (legate alla distribuzione di prodotti ortofrutticoli o di altri generi di cui sia ricostruibile il cammino attraverso osservazioni o informazioni reperibili direttamente nella zona della scuola), ..., e la collaborazione delle famiglie, possono dar corpo, a partire dalla classe prima, a un graduale itinerario didattico in cui si integrino naturalmente momenti conoscitivi, momenti operativi e, successivamente, momenti di riflessione più "disciplinare".
     E' evidente la valenza didattica delle prime esperienze attraverso le quali si sviluppa la padronanza dei valori monetari: separare il denaro da altri oggetti; rendersi conto che vi sono monete che hanno maggiore potere di acquisto di altre e che ciò non dipende da particolari caratteristiche fisiche ma dal numero impresso sulle monete[4]; appaiare monete uguali e appaiare monete di eguale valore; estrarre da un gruppo di monete una moneta di un particolare valore; ordinare per valore alcuni tipi di monete; fare i primi conti in base cento (cento, 2 cento, 3 cento, ...), in base cinquanta (cinquanta, cento, centocinquanta, ...), in base mille, ...; cambiare una moneta da 100 con due da 50; ... .
     Già esse mettono in luce gli aspetti a cui abbiamo accennato all'inizio di questo paragrafo.
     Da un lato il fatto che le monete costituiscono un materiale diverso da altri con cui ha a che fare il bambino: sono oggetti che, in un contesto sociale, assumono significato e possono essere confrontati con quantità di altri oggetti solo considerando le loro "etichette" numeriche cioè le misure ad esse associate: mentre "6 caramelle" o "3 pennarelli" sono espressioni che possono rappresentare un valore di scambio ciò non accade per un'espressione come "4 monete", ma può accadere per "4 monete da 50". Le stesse operazioni di "cambio" vengono interpretate dai bambini come equivalenze di misura piuttosto che in termini di insiemi di oggetti: non ha alcun senso ricondurre l'equivalenza tra una moneta da 100 e due monete da 50 o dieci monete da 10 all'equipotenza dei corrispondenti insiemi di monete da 1 lira (ciò conferma i limiti della presentazione delle operazioni aritmetiche solo come operazioni insiemistiche, già messi in luce in 3.6).
     Dall'altro lato il fatto che le etichette numeriche delle monete sono costituite - o sono il doppio o la metà - di potenze di dieci consente di sviluppare gradualmente conoscenze e abilità di operare con il sistema decimale e, in particolare, con numeri "grossi". Su quest'ultimo aspetto occorre soffermarsi in quanto è anche in relazione ad esso che l'uso del denaro e, più in generale, l'apprendimento aritmetico in reali situazioni conoscitive viene evitato (o posticipato a fasi di apprendimento più astratto) in molte impostazioni didattiche, tradizionali o moderne, ma che comunque rifiutano di fare i conti con i modi attraverso cui si forma il complesso delle conoscenze di una persona.
     Prima di affrontare il versante didattico, consideriamo come un adulto si rappresenta e opera con numeri grandi. Nei giornali in genere li trova scritti in forme come 3,6 milioni o 3 milioni e 600 mila, 12 mila miliardi, 150 mila 400,... . Nel calcolo mentale o per comprendere il significato dei valori numerici solitamente fissa l'attenzione al più sulle prime due cifre, appoggiandosi al modello visivo-mentale della linea dei numeri o alla memorizzazione di relazioni aritmetiche tra numeri inferiori a 100: su numeri come 734, 25270000, 2935, ... opera mentalmente considerandoli come 7 cento, 25 milioni, 3 mila, ... . Un adulto senza contare riesce a percepire a colpo d'occhio quantità molto limitate, dell'ordine di 4-6 oggetti; di quantità maggiori, entro qualche decina, non ha una percezione immediata, ma le stima a occhio molto grossolanamente o le "calcola" scomponendole in quantità che riesce a percepire immediatamente e sommando queste ultime. Per quantità ancora maggiori non ha assolutamente alcuna "idea" astratta a cui riferirsi: 1 milione può percepirlo (in Italia, ai nostri giorni) riferendosi a uno stipendio o al valore di un particolare bene o alla popolazione di una grande città, o pensandolo come 10 volte 100 mila; a sua volta 100 mila non riesce a immaginarlo direttamente come quantità di oggetti ma può percepirlo come 10 volte 10 mila o riferendosi a ... .
     Ovviamente questo modo di ricondurre considerazioni su numeri "grossi" a considerazioni su numeri "piccoli" e su opportune potenze di 10, percepite come unità di misura, è particolarmente diffuso nel caso dei valori monetari. In altri paesi si ha una situazione analoga anche relativamente alle considerazioni su numeri decimali: 0,30 $ vengono considerati come 30 cents; in questo caso l'"unità di misura" è minore dell'unità monetaria fondamentale.
     Anche un bambino, fuori dalla scuola, percepisce trecento lire come tre monete da cento, cioè tre oggetti ben noti, ed è in grado di affrontare un'operazione come 300 lire + 200 lire interpretandola come (3 monete da 100) + (2 monete da 100), in cui intervengono soltanto numeri "piccoli", oltre alla consapevolezza che le monete sono oggetti con associata una misura.
     Tutte queste osservazioni mettono in luce la debolezza delle impostazioni didattiche che, anche con motivazioni culturalmente molto distanti, operano una scelta pregiudiziale a favore di attività incentrate inizialmente, per più anni, solo su numeri "piccoli". In alcuni casi tale scelta presuppone l'idea che l'apprendimento del concetto di numero passi essenzialmente attraverso la progressiva padronanza visiva, e manipolativa, di raggruppamenti di oggetti (il che ha ovviamente senso solo per numeri molto piccoli); spesso ciò si accompagna alla convinzione che il significato e la funzione del numero stiano solo nella sua cardinalità (conoscere il tre = conoscere molti insiemi di tre elementi, saper associare a colpo d'occhio a ciascuno di essi il numero tre e padroneggiare la corrispondenza biunivoca fra di essi); in altri casi vi è l'idea o l'adeguamento alla prassi tradizionale secondo cui è necessario raggiungere gradualmente una padronanza, solo tecnica, della scrittura in base dieci prima di passare a usare il numero in situazioni di misura diverse dal conto di quantità di oggetti.
     Si tratta di impostazioni che, in particolare, non tengono in alcuna considerazione il fatto che il concetto di numero non si basa solo sull'aspetto cardinale, ma si forma, a livello mentale, riferendosi ai vari aspetti (posto d'ordine, misura, etichetta, codifica, ...) con cui si presenta nelle diverse situazioni d'uso e instaurando collegamenti con altri concetti e altre conoscenze che intervengono in esse. Ad esempio 10 mila, per un bambino nella cui rete di conoscenze sono inquadrate esperienze come la possibilità di formare 10 mila lire con 10 biglietti da mille o con ..., il fatto che con due biglietti da mille si può comprare un certo giornalino, l'equivalenza di 2 monete da 500 con un biglietto da mille, l'esperienza che 5 buoni per la mensa costano 12 mila lire, l'informazione che i partecipanti al Giro del Quartiere erano mille, ..., può avere un significato altrettanto o più ricco di 87, anch'esso difficile da pensare come cardinalità di un insieme.

4.3.   Considerazioni analoghe valgono per la padronanza della scrittura decimale, degli algoritmi per le operazioni aritmetiche, ...: in contrapposizione a impostazioni in cui l'acquisizione "sicura" della scrittura decimale, delle tecniche di calcolo "standard", ... viene considerata un prerequisito per la soluzione di problemi che coinvolgono numeri "grossi", osserviamo invece che lo sviluppo di capacità di operare con valori monetari contribuisce a costruire abilità e atteggiamenti mentali necessari poi per comprendere e acquisire una padronanaza effettiva del sistema decimale, degli algoritmi delle operazioni aritmetiche, dei procedimenti di calcolo mentale e approssimato,... .
     In attività operative si possono sviluppare gradualmente: la capacità di associare mnemonicamente caratteristiche fisiche di una moneta, sua denominazione (moneta da cento lire, biglietto da mille lire, ...) e simbolo del numero in notazione decimale (100,1000,...); la acquisizione dell'equivalenza di scritture come 3 , 3 cento e 300, 6 , 6 mila e 6000, ...; l'apprendimento, in gran parte ancora per imitazione o mnemonicamente (sulla base delle sollecitazioni diverse poste dalla lettura di un cartello indicante un prezzo o dalla comprensione di un prezzo comunicato a voce), del fatto che ad esempio 250 si legge "duecentocinquanta" (e che a questa espressione non corrisponde la scrittura 20050); la scoperta attraverso l'ordinamento per valore di oggetti[5] che i prezzi che si scrivono, ad esempio, con quattro cifre sono tutti maggiori di quelli che si scrivono con tre o due cifre; la comprensione della differenza tra 2100 e 2010, resa concreta dalla differenza tra una moneta da 100 e una moneta da 10,... .
     Queste acquisizioni, connesse all'interpretazione "polinomiale" della scrittura decimale, possono andare a integrarsi con quelle connesse alla interpretazione "lessicografica", di cui abbiamo discusso in 3.5.
     L'uso delle monete non si riduce a un semplice strumento didattico per far apprendere più facilmente i bambini ma costituisce un modello corretto e significativo del funzionamento del meccanismo decimale, a differenza di altri strumenti didattici (numeri in colore, multibase, ...) che come modelli matematici hanno rilevanza e significatività molto inferiori. Si tratta infatti di materiali o metodi che non si basano sulla costruzione o sull'elaborazione di rappresentazioni matematiche di un contesto culturalmente ricco, ma che fanno riferimento a strutture del tutto analoghe alla struttura numerica astratta (e impiegano materiali concettualmente meno "concreti" di quanto per il bambino lo siano già i numeri stessi); in questo modo esercitano abilità di "traduzione" piuttosto che di "astrazione" e contribuiscono alla formazione di quegli atteggiamenti culturali di insensibilità numerica che sono all'origine delle diffuse difficoltà a fare letture approssimate sugli strumenti di misura, ad arrestare i calcoli o approssimare i risultati di una calcolatrice fino a cifre che nel contesto rappresentino grandezze significative, ... .

4.4.   Una delle prime capacità attraverso cui si sviluppa la padronanza del calcolo economico è l'abilità di cambiare monete, di valutare il valore complessivo di un gruppo di monete, di scegliere le monete con cui formare un certo valore, ..., di, in breve, realizzare equivalenze di monete:

     Queste attività di scomposizione/composizione possono in classe essere realizzate praticamente e poi essere schematizzate (alla lavagna, in cartelloni, sui quaderni,...) con rappresentazioni grafiche impieganti grafi e diagrammi (esteriormente simili a quelli di Venn) come le precedenti, giungendo gradualmente alle scritture:

 =  + ,

  = 2 ,

 5  + 2  = 7 ,

50+50+100 = 200,

 ...

     Tali attività, oltre a favorire l'acquisizione di relazioni aritmetiche di base (integrando abilità di scomporre numeri entro il 10 e di scomporre numeri "grossi": 9 = 5+4, 90 = 50+40, 900 = 500+400), consentono di avviare a un uso appropriato del simbolo di uguaglianza, superando le difficoltà a padroneggiarne il significato messe in luce da fenomeni come i seguenti: in classi finali della scuola elementare e nella scuola media è abbastanza frequente riscontrare scritture errate del tipo 12+8 = 20·3 = 60-15 = 45; si riscontra una maggiore difficoltà a risolvere equazioni del tipo 18 = 13+... rispetto ad equazioni del tipo 13 + ... = 18; ... .
     All'origine del primo errore vi è una interpretazione asimmetrica del simbolo "=", cioè la sua percezione non tanto nel significato di uguaglianza ("è uguale a") quanto in quello di indicazione del risultato di un'operazione ("fa")[6]; ciò è all'origine anche del secondo fenomeno: l'equazione 13 + ... = 18, letta come 13 + ... "fa" 18, risulta essere compresa meglio della sua formulazione equivalente 18 = 13 + ... . Questo fraintendimento (ampiamente documentato anche dalla letteratura[7]) è originato da una pratica scolastica che non tiene conto dei problemi di rapporto con il linguaggio comune, di differenze motivazionali e strutturali tra contesti che possono essere matematizzati dalla stessa operazione, ..., che possono dar luogo a intoppi o divaricazioni nel processo cognitivo attraverso cui gli alunni acquisiscono il passaggio alla formalizzazione e alle operazioni con numeri puri.

4.5.   Il fatto che il contesto degli scambi economici si presti naturalmente ad attività di scomposizione dei numeri in cui è possibile introdurre e sviluppare un uso corretto del simbolo "=" molto meglio che nell'ambito di attività sulla linea del tempo è, come abbiamo già osservato in 3.6, legato anche al fatto che in quest'ultimo ambito l'operazione di addizione A+B si presenta più frequentemente come trasformazione unaria, cioè come applicazione della "traslazione" +B al dato A (A     +B    > ...), piuttosto che come trasformazione binaria, che opera simultaneamente sui dati A e B.

     Anzi, nel contesto del calcolo economico, l'addizione si presenta naturalmente anche come operazione a tre o più argomenti (si pensi alla formazione di un valore ricorrendo a più monete, procedura simmetrica alla scomposizione).
     L'uso delle monete, inoltre, veicola rapidamente la consapevolezza dell'associatività e della commutatività dell'addizione e di altre proprietà aritmetiche: (200 + 100) + 100 = 200 + (100 + 100); 100 + 50 = 50 + 100; 50 + 500 + 50 + 100 = 50 + 50 + 100 + 500; ... .

 

     Ovviamente non è il caso (in questo livello scolastico) di definire né di denominare tali proprietà [8]. La loro acquisizione operativa, sviluppata e consolidata in situazioni in cui l'azione concreta che viene rappresentata con l'operazione di addizione è manifestamente associativa, commutativa, ..., viene poi abbastanza facilmente trasferita a livello dei numeri puri e, quindi, a situazioni non intrinsecamente associative, commutative, ...[9].
     Nelle equivalenze e nei calcoli monetari è utilizzata anche la proprietà distributiva, anche se a livello implicito e senza ricorrere al simbolo di moltiplicazione: 2 cento + 4 cento = (2+4) cento, 3  + 4  = 7  , ...
     La padronanza operativa di questa proprietà in questo contesto si esercita in modo del tutto analogo a quanto accade nella tecnica astratta delle operazioni (intesa non solo come meccanismo da memorizzare passivamente): 750+625 = 7 (100) + 5 (10) + 6 (100) + 2 (10) + 5 = 13 (100) + 7 (10) + 5 = 1000 + 3 (100) + 7 (10) + 5 = 1375.
     E' evidente che il calcolo monetario facilita notevolmente la comprensione del "riporto" e consente (anche attraverso momenti di "gioco", con la regola di usare solo pezzi da 10, 100, 1000, ... lire) un'introduzione motivata all'abaco; su questo e altri mezzi di calcolo torneremo successivamente (in 6.6).

4.6. L'ambito del calcolo economico presenta anche molte situazioni problematiche in cui intervengono le altre operazioni, con diversi significati e a vari livelli di difficoltà. Consideriamo il problema del resto. Verificare se il resto è giusto e dare il resto sono attività complementari (la prima è propria dell'acquirente, la seconda del venditore), ma che in latteria, all'edicola dei giornali,..., e alla bancarella in classe, vengono in genere svolte contemporaneamente, scandendo oralmente il completamento gerarchico.
     Di fronte al pagamento di una spesa di 2650 lire con un biglietto da 10 mila si procede pressapoco così: si danno come resto 50 lire e si considera come nuova spesa, cioè come nuovo valore rispetto a cui calcolare il resto, 2650+50=2700 lire; si aggiungono al resto 300 lire e si aggiorna la spesa a 2700+300=3000; si aggiungono al resto 2000 lire e si aggiorna la spesa a 5000; si danno altre 5 mila lire e avendo raggiunto il valore 5000+5000=10000, ci si ferma.
     Le prime due fasi spesso sono unificate nel dare subito come resto 350 lire: ciò accade se si pensa 2650 come 2500+150 e si utilizza la memorizzazione delle coppie la cui somma è 500: 50 e 450, 100 e 400, 150 e 350, ... . Per pagare lo stesso prezzo sono possibili anche altri procedimenti, come (nel caso in cui il venditore non abbia abbastanza monete da 100) presentare 10150 lire per riceverne 7500 di resto; anche in questo caso si opera iterativamente per completamento, partendo però dal prezzo scontato di 2500 lire e considerando come esborso dell'acquirente solo le 10 mila lire.
     A seconda delle monete a disposizione e delle somme, la situazione può suggerire diverse rappresentazioni e diversi procedimenti, in genere ricchi e significativi dal punto di vista matematico: fare i conti con essi, senza pretendere di formalizzarli, può consentire di sviluppare proprietà aritmetiche e algebriche su cui successivamente si potrà innestare una attività di riflessione e di sistemazione più generale[10].
     La persona scolarizzata, soprattutto per valori monetari "semplici" (pagare 300 lire con una banconota da 1000, 2500 lire con una banconota da 10000, ...), spesso non dà o non controlla il resto per completamento gerarchico, ma esegue prima la sottrazione (1000-300=700; 10000-2500=7500,...). Ovviamente ciò non accade per gli alunni, che, come abbiamo osservato in 3.7, devono gradualmente acquisire la consapevolezza che, in termini di risultato, la differenza tra A e B equivale alla sottrazione A-B, cioè con l'applicazione del decremento -B ad A[11].
     Un'altra situazione elementare che si presenta naturalmente anche nelle attività di "mercato" che si possono realizzare in classe è la verifica della disponibilità di denaro sufficiente per l'acquisto di un particolare oggetto e la determinazione di quanti soldi avanzerebbero nel caso di acquisto o quanti ne mancherebbero (ovvero di quanto si rimarrebbe debitori o occorrerebbe chiedere un prestito) per effettuare l'acquisto: mentre nel secondo caso si è di nuovo di fronte a un problema di differenza, nel primo caso si è di fronte a un problema di sottrazione, direttamente rappresentabile usando il simbolo "-" (   : 6 cento - 4 cento = 2 cento).
     Si presentano situazioni in cui si cerca la differenza "negativa" tra due valori come "mi sono rimaste 600 lire; quanto ho speso se prima avevo 2 mila lire?", che inizialmente vanno affrontate attraverso strategie per completamento:

     Vi sono situazioni più complesse, come "ho 2300 lire; mi ricordo che oggi ho incassato 500 lire; quanto avevo prima?", di cui, in un'attività didattica del tipo che stiamo delineando gli alunni sono in grado di comprendere la risoluzione appoggiandosi al contesto e, poi, a rappresentazioni grafiche come le seguenti, a differenza di quanto accade se si basa l'acquisizione delle operazioni su poche situazioni stereotipate[12].

4.7.   Tutte le situazioni in cui si conosce il prezzo unitario di un certo prodotto e si vuol conoscere il prezzo complessivo di un certo numero di pezzi sono collegate all'uso della moltiplicazione, intesa come moltiplicazione di una grandezza per un numero puro: "200 lire · 3" sta per "200 lire per 3 volte", cioè l'"addizione ripetuta" 200+200+200 [13].
     E' bene sottolineare che in situazioni del genere 200 · 3 non equivale a 3·200 (= 3+3+...+3). L'introduzione del simbolo "·", come abbreviazione di "per...volte", non incontra difficoltà, così come il passaggio all'equivalenza di scritture 3  e 200 · 3.
     La commutatività della moltiplicazione non è facilmente percepibile come quella dell'addizione e, a parte intuizioni che, in questo contesto, possono essere suggerite dal fatto che 2 cento · 5 = 5 cento · 2, 3 mila · 2 = 2 mila · 3, ..., la sua acquisizione deve essere sviluppata a partire da situazioni in cui la moltiplicazione sia intrinsecamente commutativa, ad alcune delle quali accenneremo successivamente.
 
 
 
             
  

     In situazione gli alunni sono in grado di affrontare anche divisioni di una certa complessità. Le azioni matematizzate dall'operazione di divisione possono essere, a un primo livello elementare, raggruppate in due categorie: quelle per risolvere i problemi di partizione e quelle per risolvere i problemi di contenenza.

     Le prime, nel contesto del calcolo economico, si presentano subito nell'ambito delle "equivalenze monetarie": 2  =  · 2 = , metà di =  : 2 = . Si tratta della divisione di una grandezza per un numero puro, che, in analogia alla reciprocità tra addizione e sottrazione, si presenta come operazione inversa della moltiplicazione.

   

     Dato il significato principale del verbo "dividere" nel linguaggio comune e il fatto che il simbolo ":" viene letto usualmente "diviso", la divisione per partizione (cioè la suddivisione in parti uguali) è quella che meglio si presta all'introduzione di tale simbolo.
     Non crea difficoltà affrontare operativamente anche divisioni non "esatte", da semplici problemi quali la divisione di 50 lire fra 4 persone (10 lire a testa con il resto di 10),a, gradualmente, situazioni come la divisione di 800 lire tra tre persone:

100 a Mario, 100 a Claudia, 100 a Luca; cambio le eventuali 500 in monete da cento e continuo: 100 a ...; ora Mario, Claudia e Luca hanno 200 lire ciascuno; mi avanzano 200 lire da dividere; le cambio in monete da 50; ecc. ; restano  +  che non possono essere divise se non si hanno monete da 5 lire; altrimenti... :
800 : 3 fa 250 con il resto di 50, ovvero 260 con il resto di 20, ovvero 265 con il resto di 5.

 Mario      
   Claudia      
 Luca      

     Si tratta di contesti in cui, oltre a introdurre il significato del resto, si avvia alla acquisizione della consapevolezza che il punto a cui fermare la divisione dipende dal contesto, in questo caso dalle monete a disposizione (in anni successivi gli alunni potrebbero vedere che la stessa divisione 40 anni fa poteva essere fermata alle lire e 20 anni prima ai 5 centesimi).
     Confrontando situazioni come la precedente con quella, altrettanto semplice e frequente, di determinare, ad esempio, quanto devono mettere a testa tre persone per comprare un oggetto che costa 800 lire (300 con l'avanzo di 100 ovvero 270 con l'avanzo di 10), si può avviare, naturalmente, all'atteggiamento di assumere, a seconda del contesto, approssimazioni per difetto o approssimazioni per eccesso.

     Le divisioni per contenenza si presentano anch'esse come problemi "inversi" a problemi di moltiplicazione: quante volte  sta in  ?
      Schematizzando, mentre nel caso della partizione si ha ad esempio: ?      · 2    , ora abbiamo:       · ?    

     E' evidente che si tratta di situazioni collegate ma intrinsecamente diverse: nel secondo caso i dati di partenza sono due grandezze omogenee e il risultato cercato è un numero puro [14].
     Diverso è anche l'algoritmo che la situazione suggerisce. Il problema "quanti dolci da 400 lire posso comprare con 1500 lire?" può essere aggredito per sottrazione ripetuta (contare i gruppi di valore 400 lire che posso formare con le monete che ho a disposizione o con monete equivalenti) o per addizione ripetuta (contare quante volte posso mettere insieme 400 lire senza superare il valore di 1500 lire). Il resto in questo caso non è quanto rimane perchè non si riesce più a suddividerlo, ma quanto avanza perchè non può contenere la seconda grandezza.
     I due tipi di divisione facilitano la acquisizione di abilità di calcolo mentale diverse: ad esempio 1500 : 3 lo calcoliamo pensando 1500 diviso in 3 parti e non pensando a quante volte il 3 sta nel 1500, mentre 1500 : 500 lo calcoliamo pensando a quante volte 500 sta nel 1500 e non a 1500 diviso in 500 parti. Questa abilità di ragionare per partizione o per contenenza a seconda dell'entità dei dati numerici può, tuttavia, essere esercitata solo dopo che gli alunni hanno acquisito operativamente la commutatività della moltiplicazione e, quindi, l'equivalenza (a livello di operazione sui numeri puri) di divisione per contenenza e divisione per partizione: 15 diviso 3 fa 5  <    5 · 3 = 15  <   >  3 · 5 = 15  <   >   nel 15 il 3 sta 5 volte.
     Questa acquisizione, che avviene a livello operativo, gradualmente, suggerita implicitamente dallo svolgimento di molte esperienze di risoluzione di situazioni problematiche, è bene che preceda l'introduzione dell'uso di ":" anche per le divisioni per contenenza.
     Le considerazioni che abbiamo svolto vogliono sottolineare sia l'importanza di sviluppare la consapevolezza del significato delle operazioni, sia l'opportunità di avviare con gradualità alla separazione tra procedimento di soluzione in situazione e procedimento con i numeri puri[15], sia l'importanza di sviluppare capacità di calcolo mentale, utili tanto nel calcolo approssimato che nella messa a punto di tecniche di calcolo che non oscurino il significato delle operazioni e gli ordini di grandezza dei valori numerici.

4.8. Il tema economico è presente in quasi tutte le proposte didattiche per l'apprendimento aritmetico. In alcuni progetti stranieri[16] si fa anche riferimento esplicito all'uso delle monete per il consolidamento del sistema decimale e di altre conoscenze e abilità aritmetiche elementari. Si tratta, comunque, quasi sempre di una presenza come attività di esercitazione di nozioni matematiche già introdotte piuttosto che, come si propone in questo articolo, uno degli ambiti nei quali, e attraverso i quali, costruire concetti matematici e abilità di matematizzazione.
     Il tema economico, oltre a presentare vari tipi di situazioni problematiche di cui sono modello le operazioni aritmetiche, veicola anche, attraverso il calcolo monetario, conoscenze e abilità numeriche (scrittura in base dieci, proprietà aritmetiche, algoritmi,...).
     La significatività di tale tema, come abbiamo già sottolineato, è legata alla sua diffusa presenza nella vita quotidiana e, quindi, alle possibilità che offre, al bambino e all'insegnante, di interazione con le abilità e la cultura dell'extra-scuola.

     Queste considerazioni sui rapporti tra situazioni conoscitive e concetti disciplinari, tra pratica e astrazione, tra sviluppo e uso sociali delle conoscenze e attività didattica scolastica,... conducono naturalmente al problema degli alunni con maggiori difficoltà di apprendimento: un tema come quello economico, così come altri temi conoscitivi, per la sua complessità (abilità, nozioni, situazioni,... che mettono in gioco numerose variabili culturali e didattiche) non rischia di porre loro maggiori ostacoli?

     In effetti questa tesi, ormai vent'anni fa, era stata sostenuta da alcuni dei proponenti dell'indirizzo "moderno" di insegnamento della matematica: un'attività didattica che punta direttamente all'acquisizione dei concetti astratti del numero e delle operazioni, sia perchè implica meno variabili sia perchè non fa riferimento a conoscenze e ambiti culturali extrascolastici, favorisce l'apprendimento sia degli alunni meno dotati intellettualmente che degli alunni socialmente svantaggiati. Tale tesi, come è noto, è stata smentita dall'esito che, a livello di massa, soprattutto nei paesi francofoni, ha avuto tale indirizzo: un maggiore allargamento della forbice tra gli alunni con difficoltà e gli altri alunni.
     Senza entrare nel merito di distinzioni e di discussioni sulle origini (sociali, psicolologiche, fisiologiche, ereditarie,...) delle difficoltà di apprendimento, in relazione all'impatto di attività didattiche come quelle sul tema economico osserviamo che è bene distinguere almeno due fasce di alunni "difficili": quelli che presentano problemi di ragionamento, comunicazione, ... anche al di fuori della scuola e quelli che invece li manifestano solo in ambito scolastico.
     Per i primi la scuola, premesso che, da sola, non può risolvere i loro problemi, secondo noi può intervenire non solo offrendo momenti di "socializzazione", ma soprattutto, nel rispetto dei suoi fini istituzionali, proponendo attività che sviluppino conoscenze e abilità "integranti" (cioè conoscenze e abilità che favoriscano l'autonomia, l'indipendenza, la comunicazione,... del bambino). In questo senso attività che facciano riferimento all'uso del denaro e al calcolo economico elementare (o, per esempio, alla misura del tempo e ad altre attività di misura,... o all'uso del telefono, di macchine distributrici, ... o all'impiego delle calcolatrici, ....), possono consentire una gestione dell'attività didattica che, nell'unitarietà del contesto conoscitivo, sia più flessibile rispetto ai tempi e ai livelli di acquisizione di abilità operative, di astrazione,... dei vari alunni e consenta il raggiungimento da parte di tutta la classe di alcuni elementi di padronanza sufficienti per lo sviluppo dell'itinerario didattico.
     Per l'altra fascia di alunni "difficili", quelli che nella vita extrascolastica non hanno problemi di autonomia culturale, c'è da osservare che le difficoltà di apprendimento sono spesso originate dall'impostazione di un insegnamento che non dialoga con i linguaggi, le forme di conoscenza e i concetti che l'alunno usa e con cui si rappresenta la realtà nella vita quotidiana. Anche in questi casi temi come quello economico e attività che trasformino anche situazioni esterne in sedi di apprendimento (acquisti in negozi, vita familiare,...) e che trasportino situazioni esterne all'interno delle attività scolastiche (attività di compravendita in classe, ...) possono risultare utili per superare queste difficoltà e instaurare un positivo rapporto cognitivo con questi alunni.
     Naturalmente il passaggio dallo svolgimento delle attività pratiche e dalla risoluzione dal "vivo" di situazioni problematiche a forme di rappresentazione e di riflessione man mano più astratte e a linguaggi e a formalizzazioni più "disciplinari", deve avvenire con gradualità: la pretesa di introdurre precocemente il momento del lavoro astratto rischia di compromettere l'acquisizione del significato e la padronanza operativa dello stesso processo di astrazione e di bruciare negli alunni lo sviluppo di capacità culturali più elevate di quelle di cui viene presentata la formalizzazione[17].
     A conferma di alcune delle osservazioni svolte in questo paragrafo ricordiamo che il calcolo monetario viene impiegato da vari anni a livello internazionale in esperienze di primo insegnamento aritmetico per bambini handicappati[18].

4.9.   Il tema economico è stato sempre presente anche nella pratica tradizionale.
     Nel secolo scorso e nei primi decenni di questo secolo il calcolo economico costituiva spesso una parte rilevante dei pochi anni o mesi a cui si limitava l'esperienza scolastica della maggior parte della popolazione; per lo più si trattava, in particolare nelle scuole extraurbane, dell'insegnamento di "cose pratiche", direttamente spendibili nella vita quotidiana senza particolari obiettivi disciplinari (che a volte erano ignorati dagli stessi "maestri").
     Nella pratica tradizionale più recente, degli ultimi quarant'anni, il tema economico è, in genere, presente sotto forma di problemi stereotipati di spesa-ricavo-guadagno, in cui, per altro, i concetti economici sono spesso presentati erroneamente o ambiguamente, contribuendo a fenomeni di fraintendimento (tipici quelli relativi alla nozione di guadagno) documentati ampiamente dalla letteratura[19]. Dietro a questo fenomeno di superficialità, che non si limita ai contenuti di tipo economico ma si manifesta anche per altri contesti (la tecnologia, i fenomeni naturali,...) a cui fanno riferimento gli esercizi dei sussidiari, vi è, più in generale, l'ideologia del problema: l'uso delle conoscenze matematiche si risolve nella lettura di un testo, nella sua associazione a un certo schema di problema o a un certo problema-prototipo, nell'isolamento dei dati (per il resto sempre ben evidenziati) e nell'applicazione ad essi della operazione o delle operazioni corrispondenti al tipo di problema (e infine: "risoluzione" e "risposta"!)[20].

     Ovviamente ciò differisce profondamente dagli esempi di matematizzazione, cioè di passaggio da situazioni problematiche a modelli matematici, che abbiamo delineato nei paragrafi precedenti[21]. Le stesse attività di matematizzazione dovrebbero essere inserite in un contesto conoscitivo in cui le esigenze di apprendimento, le domande, le curiosità, dovrebbero sorgere con una dinamica naturale o stimolata dall'insegnante e, poi, essere man mano circoscritte, eventualmente sfrondate di alcuni aspetti o modificate con l'aggiunte di alcune ipotesi semplificatrici. Tuttavia questi momenti di ricerca, inquadramento e messa a punto del "problema" dovrebbero essere previsti, con rilievi diversi, nelle attività di educazione matematica di ogni livello scolastico, specie nelle fasi in cui vengono introdotti nuovi concetti matematici (diverso, ovviamente, è il rilievo che possono avere in attività di consolidamento).

4.10.   Alla luce di ciò osserviamo che anche le possibili attività sul tema economico che abbiamo delineato per il primo apprendimento aritmetico vanno inserite in un ambito in cui il momento della matematizzazione si presenti come un aspetto parziale, che non può cogliere tutti i lati delle situazioni, e l'attività didattica su tale tema non si chiuda strumentalmente con l'introduzione di alcuni concetti aritmetici, ma si sviluppi in relazione a esigenze di approfondimento riferibili ad altre aree disciplinari.
     Ad esempio le prime attività di compravendita possono avere un naturale sbocco (sollecitato dal problema di dove vadano a finire i soldi che il compratore dà al negoziante ovvero dal problema, inverso, di quale sia la provenienza della merce acquistata) nell'introduzione dei soggetti economici che intervengono nell'itinerario consumatore-produttore, nella descrizione dei percorsi geografici del bene o dei suoi componenti, … .
     Gli ulteriori sviluppi tematici offrono, del resto, nuove occasioni di matematizzazione; quello esemplificato, in particolare, costituisce un contesto in cui è usuale ricorrere al linguaggio dei grafi, e quindi si presta anche a un loro impiego a livello didattico: si possono schematizzare con grafi i vari passaggi del denaro e con grafi opposti il cammino dei beni; da questi grafi, che essenzialmente rappresentano delle relazioni di ordine, si può passare alla quantificazione dei flussi di denaro indicando vicino alle frecce che li rappresentano i corrispondenti valori monetari:

e alla rappresentazione di semplici equazioni:

da:

a:

a, infine:[22]



5. ALTRE MISURE E ALTRI USI DEL NUMERO

5.1.   Nei paragrafi precedenti abbiamo analizzato varie situazioni di uso del numero come misura. Le grandezze corrispondenti erano assai diverse: popolazioni (gli alunni della classe,…), tempi, valori di scambio. Le loro misure si sono presentate associate a considerazioni sulle misure di altre grandezze: lunghezze (istogrammi, linea del tempo), rotazioni (orologio). Inoltre, nelle attività di compravendita in classe e, più in generale, nelle attività di calcolo economico a cui ci siamo riferiti in 4, si presenta naturalmente l'uso di altre misure per descrivere le quantità di alcuni prodotti (due litri di latte, tre lattine di aranciata, un chilo di zucchero, …).
     A ciò sono da aggiungere altri usi del numero per indicare grandezze di cui il bambino conosce l'esistenza attraverso le sue esperienze extra- scolastiche: temperature (del corpo, di ambienti), misure antropometriche (peso, altezza), numeri per indicare misure di scarpe e capi di abbigliamento, velocità (il tachimetro dell'automobile), il volume audio (le posizioni indicate sulla manopola del registratore), la bravura di una squadra di calcio (il punteggio nella classifica), … .
     In questo paragrafo, oltre a prendere in considerazione situazioni in cui intervengono procedimenti di misura non esaminati nei paragrafi precedenti ma affrontabili nei primi anni della scuola elementare, svolgeremo anche altre considerazioni generali sull'uso del numero come misura[1].

5.2.   Gli esempi di misura che abbiamo richiamato hanno come elemento comune l'impiego dei numeri per definire una "scala" che permetta di caratterizzare e distinguere le grandezze di una certa specie. Tuttavia osserviamo (a "livello adulto") che essi differiscono per vari aspetti.
     Da una parte vi sono casi in cui descrivere come misurare una grandezza permette anche di dare una definizione precisa della grandezza stessa. Questo è l'ambito delle grandezze in senso stretto: le grandezze fisiche, chimiche,… (lunghezza, massa, tempo, temperatura, potenza, acidità, …), grandezze inerenti la demografia (natalità, densità di popolazione, …), le scienze delle telecomunicazioni (quantità di informazione, …),... .
     Dall'altra vi sono casi in cui si ha a che fare con una grandezza o, meglio, con una nozione alla cui definizione "concettuale" (teorica o intuitiva) non corrisponde una univoca definizione operativa, cioè un procedimento di misurazione che permetta di individuare una scala di valori che la rappresenti fedelmente e in maniera esauriente. Concetti di questo genere appartengono soprattutto all'area delle scienze sociali ed economiche, e costituiscono un terreno di applicazione della matematica (e in particolare della statistica) sempre più esteso. Un esempio particolare, di cui abbiamo già discusso a lungo, è il valore di scambio: il prezzo al minuto di un oggetto differisce da quello all'ingrosso e da quello della produzione, in negozi o giorni diversi lo stesso prodotto può avere prezzi differenti, un certo prodotto può costare meno di uno di qualità inferiore, due persone che svolgono le stesse mansioni possono percepire retribuzioni diverse,… . Altri esempi sono costituiti da indicatori socioeconomici (benessere, costo della vita, …), concetti psicologici (attenzione, reattività, pregiudizio, intelligenza - i famigerati Q.I.-, …), indicatori di rendimento o abilità (punteggi o votazioni per certe attività di tipo lavorativo, sportivo, scolastico),… , a cui possono essere associati valori diversi o corrispondere ordinamenti per valore differenti a seconda dei metodi di misurazione adottati (spesso, per questo motivo, si parla, piuttosto che di "misure", più propriamente di indici ).
     Un altro aspetto che differenzia gli usi dei numeri per indicare le grandezze è il modo in cui vengono presentate le scale. A volte esse si presentano (o vengono percepite dalla persona comune) solo come scale ordinali , cioè non esiste o non è intuibile l'esistenza di un'unità di misura o di un procedimento di quantificazione che ne regoli la scansione mentre è chiaro che esiste una corrispondenza tra ordine numerico e ordine delle grandezze: le "misure" nell'ambito dell'abbigliamento (che variano su particolari segmenti della linea dei numeri naturali o dei numeri pari), i numeri che indicano posizioni di manopole in diversi tipi di apparecchiature o le marce di un'automobile, alcuni tipi di punteggi,… . In altri casi è esplicitata l'unità di misura impiegata nella scala ma non vi è un punto di inizio, uno zero assoluto : si pensi alla temperatura[2] e al tempo, nell'accezione di istante identificato da una data e un'ora; in questi ambiti si possono effettuare rapporti tra intervalli (variazioni di temperatura, durate temporali), ma ad esempio non ha senso dire che 20° è una temperatura doppia di 10° o che l'anno 2000 è il doppio dell'anno 1000. Vi sono infine grandezze a cui corrispondono scale numeriche scandite secondo un'unità di misura precisata e dotate di zero assoluto: lunghezza, peso, capacità, valori monetari, ampiezze angolari,...[3].
     Un ulteriore aspetto è che vi sono grandezze che sono discrete, cioè che presentano discontinuità, come le popolazioni (tra 76 abitanti e 77 abitanti non vi sono valori intermedi), i valori monetari (non è possibile con le monete attualmente in circolazione comporre valori compresi tra 100 e 105 lire), … , e grandezze che sono continue, come il tempo, o che ai nostri sensi appaiono continue, come le lunghezze, le masse, … [4].
     Diversi sono anche i modi in cui viene percepita la corrispondenza tra grandezza e scala delle misure.
     Riferendosi alle esperienze più comuni, ricordiamo che per lunghezze e ampiezze angolari la grandezza viene confrontata direttamente, mediante sovrapposizione, con una serie di grandezze della stessa specie (riprodotte sullo strumento di misura, con a fianco i valori numerici) o attraverso successivi riporti; è immediatamente verificabile che a intervalli della scala delimitati da coppie di valori con eguale differenza corrisponde la stessa lunghezza o la stessa ampiezza angolare. Considerazioni analoghe valgono per i volumi di sostanze liquide, polverizzate o simili, salvo che i confronti non sono diretti ma si appoggiano sull'impiego di opportuni contenitori: lo strumento tarato (cilindri graduati, misurini, …) attraverso le tacche riproduce particolari volumi; invece dei successivi riporti si hanno successivi travasi; … . Lunghezze e volumi per questi motivi sono le prime grandezze fisiche per le quali si sono sviluppati articolati sistemi di misurazione. La misura indiretta dei volumi attraverso prodotti di misure di lunghezza è stata messa a punto molto dopo, in relazione a esigenze di progettazione o misurazione di particolari contenitori, ambienti o oggetti e nell'ambito di studi volti a dare organicità disciplinare alla geometria; infatti le misure di volumi sono state impiegate e percepite per lungo tempo solo per rappresentare quantità di beni; ciò, del resto, è quanto accade anche oggi nella vita quotidiana per la maggior parte delle persone.
     Per il peso l'associazione alla scala numerica avviene in modi simili, ma è meno immediata: lo strumento tarato è connesso ad un particolare fenomeno in cui entrano in gioco altre grandezze (deformazione di una molla, rotazione di un sistema di contrappesi, …) ; anche le misurazioni mediante compensazione (bilance a due piatti, …), che fanno riferimento a condizioni di equilibrio, non hanno la stessa evidenza dei riporti e dei travasi delle unità di lunghezza e volume. Le masse nella storia dell'umanità vennero per lungo tempo espresse solo mediante volumi di particolari sostanze (ricordiamo che le prime bilance furono progettate e impiegate per pesare l'oro, a causa del rilievo economico delle imprecisioni commesse appogiandosi a misurazioni di volume, e la lana grezza, la cui massa non era facilmente misurabile come un volume). Nel caso della misura degli intervalli di tempo (cfr.3.2) l'associazione alla scala non avviene attraverso relazioni analogiche con un'altra grandezza come nel caso precedente, ma si poggia sul conteggio del ripetersi di un fenomeno periodico (diverso è la situazione per strumenti ormai in disuso come l'orologio solare o l'orologio ad acqua); la percezione di questa associazione non si basa tuttavia, ai nostri giorni, sulla comprensione della regolarità del fenomeno (le oscillazioni del cristallo di quarzo …) quanto sulla percezione della costanza della velocità con cui ruotano le lancette dei secondi o sulla percezione dell'uniformità del ritmo degli scatti delle cifre negli orologi digitali (sui quali scompare l'analogia spaziale).
     Per le temperature la loro misura attraverso la lettura della scala numerica, che è estesa ai numeri negativi, viene accettata come un dato di fatto; abbiamo solo la percezione che scaldando o raffreddando l'apposita parte dello strumento aumenta o diminuisce il valore numerico indicato: solo una minoranza degli adulti ha idea di come sia realizzata l'associazione tra temperature e scala numerica.
     Frequentemente nel comunicare il valore di una grandezza, nel fare una stima, … utilizziamo espressioni, ricorriamo a rappresentazioni mentali, … che non fanno riferimento diretto alle unità di misura o alle scale, ma a confronti con alcuni prototipi, cioè con alcuni fenomeni od oggetti di uso comune di cui abbiamo memorizzato la misura (ciò accade spesso per pesi, volumi, grandi distanze, velocità, valori monetari - vedi 4.2); molte persone, per alcuni tipi di grandezze, sono in grado di esprimersi e ragionare in questo modo pur senza saper effettuare neanche semplici misurazioni [5]. A volte citiamo esplicitamente il prototipo ("è alto due piani", "mi costa due stipendi",…); si pensi poi alle stime in spanne, passi,… o alle unità di misura impiegate in cucina; oltre che in quest'ultimo caso, anche in molte altre situazioni si ricorre all'espressione di una grandezza mediante una grandezza di un'altra specie ("dista 3 ore di macchina", …) . Questi modi di rappresentazione diversi da quelli utilizzati nell' attività scientifica dipendono sia da livelli diversi di conoscenze che soprattutto da esigenze di mettere in luce alcuni aspetti pratici o dalla disponibilità di strumenti di misura. Ciò ha riscontro anche nelle prime fasi della storia della scienza.
     E' noto che il passaggio dal riferimento ad oggetti, contenitori,… generici a esemplari ben definiti (i campioni ) avvenne gradualmente con lo svilupparsi dell'organizzazione sociale[6], anche se per vari millenni tali unità di misura continuarono a variare sia da luogo a luogo che nel tempo. Per le aree i metodi di misurazione si svilupparono e si diffusero molto più lentamente: l'estensione dei terreni per lungo tempo continuò ad essere espressa usando unità riferite a grandezze socialmente ed economicamente più significative: il terreno arabile da una coppia di buoi in un giorno, la superficie seminabile con un certo volume di semi o quella necessaria per produrre una certa quantità di prodotto, … ; il ritardo con cui si estese l'impiego di effettive unità di area è legato anche alle difficoltà di padronanza dei modelli matematici su cui si fondano i metodi di misurazione [7].
     Lo sviluppo dei sistemi di numerazione e degli algoritmi contribuì a stimolare la messa a punto per ogni grandezza di una serie di unità collegate da particolari rapporti numerici; la possibilità di superare l'uso del calcolo frazionario e di operare allo stesso modo su numeri interi e non interi conseguente alla diffusione della notazione posizionale favorì l'avvio dell'uso di esprimere una misura con un solo numero seguito da una particolare unità. La diffusione di metodi di misurazione indiretta (aree, volumi come prodotti di lunghezze), l'individuazione di relazioni matematiche fra grandezze fisiche (in fenomeni come: movimenti di corpi, funzionamento di macchine, deformazioni di materiali,…) condussero poi a sceglierne alcune in funzione delle cui unità esprimere quelle delle altre (m2, kg·m, kg/cm2,…) .
     Può essere utile sottolineare anche le variazioni nei modi di percepire le misure di grandezze a cui hanno condotto e conducono l'evoluzione degli strumenti di misura più comuni e la diffusione dei mezzi di calcolo, dei grafici, … : è acquisito sempre più come naturale l'impiego di scale decimali; alcune unità (decametro, ettometro, decilitro, decagrammo,…) sono nominate sempre più raramente; diventa fondamentale l'abilità di interpretare e approssimare le espressioni numeriche delle misure così come quella di associare le "letture" digitali a quelle analogiche;… . Per fare un particolare esempio si pensi alla diffusione delle bilance elettroniche: i prezzi unitari dei prodotti sono espressi in funzione di una unità di peso fissata (in genere il chilogrammo), il costo visualizzato all'aumentare del peso varia a scatti, secondo multipli di un particolare valore monetario (5, 10 o 50 lire), diventa più frequente l'uso di mettere una quantità di merce tale da rendere "tondo" il valore monetario visualizzato piuttosto che il peso, a volte l'acquirente stesso esprime la quantità di prodotto sotto forma di denaro (cosa che del resto accade, ormai come prassi, presso i distributori di benzina),… . Per altro verso l'evoluzione tecnologica, la diffusione di automatismi e di apparecchiature di uso sempre più semplificato,… può tendere (in assenza di adeguati interventi educativi) a produrre effetti opposti a quello della diffusione delle conoscenze: fenomeni di insensibilità numerica, di incapacità o non interesse alla comprensione dei principi di funzionamento e delle grandezze in gioco,… ; per un aspetto molto particolare si pensi ai fenomeni che può indurre la diffusione di scale che presentano ideogrammi al posto dei valori numerici (sono già abbastanza comuni nelle macchine fotografiche, in alcuni elettrodomestici, …).

5.3.   I richiami fatti nel precedente paragrafo hanno solo lo scopo di mettere in luce la varietà dei modi in cui nella vita comune si presenta l'impiego dei numeri per rappresentare grandezze e, quindi, l'importanza di privilegiare il riferimento alle situazioni d'uso rispetto a una presentazione formalizzata, con scarsa valenza operativa e culturale[8].
     Abbiamo già sottolineato l'importanza di intrecciare l'introduzione della linea dei numeri alle misure di lunghezza e temporali (cfr. in particolare 2.5 e 3.5), non solo al fine di costruire modelli mentali di riferimento per la padronanza numerica, ma anche al fine di avviare ad un uso consapevole del modello numerico per la rappresentazione di tali grandezze. Infatti la separazione tra i due apprendimenti è all'origine di difficoltà che manifestano spesso gli alunni, sia di tipo "tecnico" (si pensi ad esempio al posizionamento corretto del righello, connesso alla padronanza del significato contestuale dello zero, o alla associazione tra cifre di un numero e corrispondente tipo di tacche sulla scala graduata) sia di tipo generale: la comprensione della natura non "esatta" delle rappresentazioni della realtà fornite dai modelli matematici.
     Il bambino, in relazione al suo limitato bagaglio di esperienze e riferimenti concettuali, tende ad assolutizzare i suoi riferimenti alla realtà. L'educazione matematica può mettere in luce la relatività di valutazioni come: grande, vicino, pochi, presto,… evidenziando, oltre al rilievo delle finalità e delle motivazioni di chi esprime la valutazione, l'opportunità di passare all'individuazione di relazioni d'ordine (maggiore, più vicino, meno, prima,… di …) e all'uso di quantificazioni numeriche[9]. Ma è poi bene mettere subito in luce il carattere relativo anche di queste ultime.
     L'uso di strumenti a scale graduate (come abbiamo già osservato per la linea del tempo, le strisce orarie e l'orologio - cfr. 3.8,9) evidenzia il procedimento di approssimazione che interviene nell'associazione di un numero a una grandezza mediante uno strumento di misura. L'uso del righello mette bene in luce la possibiltà di disporre di strumenti più precisi, con graduazioni più fitte (in altre due parti, in altre dieci parti) che permettano di delimitare meglio la grandezza da misurare, e la differenza tra approssimazioni per eccesso, per difetto e alla tacca più vicina. Strumenti a lettura digitale (orologi, bilance,…) che procedono a scatti, rappresentando valori approssimati in genere per difetto, mettono in luce la sensibilità "discreta" con cui gli strumenti percepiscono le grandezze "continue". Ciò è messo bene in luce anche da attività di misurazione attraverso riporti (di un metro, …), travasi (mediante una bottiglia o un cartoccio da litro, …), … : il rapporto, cioè la divisione per contenenza, tra grandezze e unità di misura non conduce a un risultato "esatto". Si tratta di aspetti analoghi a quelli evidenziati in 4.7 a proposito delle attività di calcolo (in situazione) di rapporti tra valori monetari o di suddivisione di un valore monetario; notiamo tuttavia che la disponibilità di un insieme fissato di tagli monetari dava a queste una concretezza che non si trova in operazioni analoghe con altre grandezze.
     Questi ultimi esempi richiamano un altro aspetto dei rapporti tra modelli matematici e realtà che abbiamo analizzato a fondo nei precedenti paragrafi dell'articolo: la relazione tra i significati delle operazioni e le azioni o i fenomeni che con esse si vogliono rappresentare nelle attività di matematizzazione. Senza addentrarci in un'analisi dettagliata, osserviamo ad esempio che per le temperature le operazioni di addizione e sottrazione si presentano come traslazioni o distanze sulla linea dei numeri, con varie analogie con quanto accade con la linea del tempo. Per i pesi e le capacità prevalgono invece significati simili a quelli incontrati nel calcolo economico; ciò vale anche per quanto riguarda lo sviluppo di abilità algoritmiche: attività manipolative di composizione e scomposizione di volumi di liquidi o di pesi riferite a prodotti e contenitori di uso comune consolidano l'acquisizione di equivalenze numeriche.
     Sottolineamo, così come abbiamo fatto per il calcolo economico, l'importanza di eseguire le operazioni in situazione: la scoperta che con un litro si riempono tre lattine da 33 cl, che una confezione da 150 grammi e una da 250 grammi pesano quanto una da 400 grammi,… hanno una valenza ben diversa dal puro calcolo astratto. Tuttavia a differenza del calcolo economico (in cui, cosi come nelle attività sul calendario, è intrinseco l'aspetto puramente numerico), attività operative e motivate come quelle sopra descritte sono utili non soltanto per lo sviluppo di abilità aritmetiche, ma, nei primi tempi, soprattutto per costruire il significato della grandezza stessa e della sua misura: scoprire che il risultato delle operazioni sui numeri che rappresentano le misure equivale a quello delle operazioni "fisiche" è infatti essenziale a questo fine [10] . Questo è uno dei motivi per cui riteniamo utile privilegiare inizialmente le attività concernenti il calcolo economico e la linea del tempo.
     Le attività di misurazione indiretta si prestano allo sviluppo del significato della moltiplicazione. Abbiamo già considerato il calcolo del valore complessivo di un bene come prodotto del prezzo unitario per la quantità fisica (pezzi, volume, peso,...). Ricordiamo ad esempio il confronto tra l'estensione di due aule o di due orti rettangolari attraverso il calcolo delle piastrelle che le ricoprono o dei quadretti sulle loro rappresentazioni nella scala "2 quadretti : 1 metro", calcolo che può essere rappresentato come moltiplicazione righe per colonne (situazioni come questa si prestano a consolidare la commutatività della moltiplicazione). Naturalmente questi esempi rappresentano attività operative che nei primi anni di scuola elementare non possono essere presentate esplicitamente come misurazioni indirette (lire al chilogrammo per chilogrammi, metri per metri, chilometri all'ora per ore,...) ma sono comunque alla portata dei bambini e costruiscono motivazioni e riferimenti concettuali su cui in successive classi della scuola elementare potranno innestarsi insegnamenti più formalizzati (precisazione del concetto di area attraverso l'introduzione di specifiche unità di misura, individuazione di "modelli matematici" per il calcolo dell'area di rettangoli, triangoli e cerchi,...).
      5.4.   Nonostante l'importanza di intrecciare apprendimenti numerici e apprendimenti di misurazione, nella pratica delle scuole elementari frequentemente essi vengono separati. Questa scelta è presente sia nella sua versione più "tradizionale" secondo la quale per imparare a misurare occorre prima padroneggiare i numeri decimali, sia in quella più "moderna" di dare ampio spazio ad attività di premisura, topologiche, su relazioni qualitative (davanti/dietro, sopra/sotto, vicino/lontano,...) in modo scollegato dal successivo lavoro con i numeri, magari introdotti insiemisticamente (si veda anche la precedente nota 9).
     Alla analisi dei limiti di tale separazione svolta nel paragrafo precedente aggiungiamo alcune considerazioni più specifiche. Da un lato osserviamo che nelle maggior parte delle classi con cui abbiamo lavorato i bambini pongono da subito l'esigenza di usare unità e strumenti standard di misura largamenti diffusi nella vita quotidiana: il loro uso è del tutto naturale per strati estesi della popolazione e risulterebbe forzato insistere su attività che prescindano dalla loro esistenza. Di ciò si tiene conto in pratiche didattiche più recenti, in cui alle attività di premisura propriamente dette sono subentrati riferimenti a unità di misura non standard socialmente diffuse (vedi 5.2) e a considerazioni storiche.
     Questi riferimenti, così come l'impiego di passi, palmi, …, sono importanti non tanto per introdurre il concetto di misura, quanto successivamente per formare modelli mentali concreti (la mia spanna è di circa…,l'apertura delle braccia, ovvero l'altezza, di … è pari a circa …, le unità "culinarie",…) utili sia per rappresentarsi l'entità di una misura espressa numericamente sia per effettuare stime "a occhio". Queste ultime sono importanti anche ai fini dell'educazione alle approssimazioni: occore dare significatività e rilievo al contesto in cui le misure vengono svolte e agli obiettivi che si vogliono raggiungere attraverso la misura (che può essere fatta con strumenti, modalità e precisioni diverse a seconda delle esigenze)[11].
     D'altro canto osserviamo che la pratica di introdurre le misure dopo un lavoro sul modello matematico dei numeri decimali - un lavoro in cui viene inevitabilmente a prevalere l'aspetto della padronanza formale del modello (automatismi, più o meno efficienti, per la manipolazione di numeri, virgole,...) - tende a costruire una padronanza delle misure, delle unità di misura,... che prescinde, almeno in buona parte, dai significati operativi e dalle esperienze conoscitive extrascolastiche del bambino, così come dagli obiettivi di educazione alle approssimazioni.
     Le sperimentazioni didattiche che abbiamo condotto confermano che i numeri decimali non costituiscono un prerequisito per l'apprendimento delle misure; infatti è del tutto naturale e percorribile la strada di usare per misure più precise unità man mano più piccole, introdotte sulla base del loro significato concreto e di relazioni verificabili con le unità precedenti [12]: una notazione come "2,15 m" è un punto di arrivo, e neppure immediato, che può essere preceduto da espressioni come "2 m e 15 cm" (per le misure temporali, non decimali, espressioni di questo tipo non sono sostituite dall'uso della virgola) e "215 cm", entrambe corrispondenti a pratiche diffuse socialmente (per le temperature corporee ci si esprime in gradi e "linee"- assunte ormai come sinonimo di decimo di grado -, sul cartoccio del latte troviamo 500 ml, sulla lattina di bibita 33 cl, il falegname indica le misure in cm, su molti modelli di "bustometro" le dimensioni sono espresse in mm, …, utilizzando in genere come unità quella corrispondente alla precisione delle misure). Scritture come la seconda consentono anche di svolgere calcoli con misure basandosi solo sulla padronanza dei numeri naturali.
     Pur senza soffermarci specificamente in questo articolo sui numeri decimali, osserviamo che, viceversa, le attività di misurazione consentono di costruire il significato e introdurre l'uso dei numeri decimali e delle operazioni con essi: a partire da stimoli offerti dall'ambiente (ad esempio dalle scritture con virgola che si trovano su alcune confezioni, sugli scontrini emessi dalle bilance-calcolatrici elettroniche, su alcuni cartelli stradali,… e dal loro confronto con le scritture del tipo sopra illustrato), attraverso attività operative simili a quelle descritte nel paragrafo precedente, attraverso attività con valori monetari antichi,… è possibile realizzare una padronanza dei numeri decimali (equivalenze, algoritmi, significato delle cifre dopo la virgola,…) più consistente di quella realizzabile attraverso un apprendimento astratto. Queste considerazioni, ovviamente, sono collegate a quelle con cui nel corso dell'articolo abbiamo argomentato l'importanza di un'introduzione operativa dei numeri naturali in situazioni d'uso e in contesti conoscitivi socialmente rilevanti [13].

     Considerazioni analoghe valgono per i numeri negativi: già in prima elementare i bambini in situazioni inerenti le temperature ambientali (registrazione su "termometri di carta" delle temperature indicate dal termometro vero; confronti e individuazione delle variazioni tra giorni diversi, confronti tra temperature interne e esterne, confronti con le temperature del frigorifero, istogrammi,grafici,…) sono in grado di padroneggiare le traslazioni sulla linea dei numeri interi relativi e a estendere a esse l'impiego di grafi avviato sulla linea del tempo, senza incontrare particolari difficoltà. Anzi, queste attività "in situazione" costruiscono nuovi modelli mentali di riferimento per l'apprendimento aritmetico e consolidano, arricchendolo, il significato dei numeri naturali e, in particolare, dello zero [14].

   

5.5.   Oltre agli uso dei numeri come "indici", assimilabile a quello come misure in senso stretto (cfr.5.2), sono da ricordare gli usi, sempre più diffusi nella vita quotidiana, dei numeri come etichette e come codici.
     Per il primo, a cui abbiamo già accennato più volte, ricordiamo i numeri telefonici, le targhe automobilistiche, i numeri di appartamenti, portoni, linee di trasporto urbano, canali televisivi,… ; essi spesso presentano aspetti ordinali legati a collocazioni spaziali (appartamenti,…) o temporali (targhe,…), a volte l'associazione di alcune cifre a riferimenti geografici (telefoni,…),… ; in genere non presentano esplicitamente significati quantitativi, e, se lunghi, non vengono letti come un unico numero ma come sequenza di numeri di una, due o tre cifre (a volte, come nel caso dei numeri telefonici sull'elenco, vengono anche scritti in modo da favorire un tale tipo di lettura); a volte alcune proprietà aritmetiche vengono associate ad alcuni significati contestuali (pari/dispari e lato della strada,…) e a volte essi vengono interpretati come "coordinate" (stanza 304, ufficio O12,… al 4° posto nel corridoio del 3° piano, al 12° posto del corridio a pian terreno); …
     L'ultimo esempio fa già riferimento all'uso, più strutturato (anche se non nettamente distinto dal precedente), dei numeri come codici, cioè come sequenze di simboli dalla cui lettura è possibile risalire con un particolare procedimento ai singoli oggetti, situazioni o altri fenomeni che si vogliono rappresentare. In tali usi i numeri vengono frequentemente utilizzati assieme ad altri simboli (in genere lettere, a volte utilizzate come "cifre", cioè in relazione all'ordinamento alfabetico, a volte come abbreviazioni: M e F,…); si pensi ai numeri di codice fiscale (in cui è assai trasparente la codifica), ai codici per indicare posizioni o pratiche burocratiche,… Alcuni di tali usi sono già conosciuti dal bambino al suo ingresso a scuola; ciò, oltre a confermare l'inopportunità di classifcazioni in pochi schemi stereotipati degli aspetti del concetto di numero e di itinerari didattici poveri culturalmente e centrati ripetitivamente su un solo aspetto ("altrimenti i bambini si confondono"), può anche suggerire spunti per discussioni e argomentazioni di tipo "matematico" affrontabili con gli alunni (che cosa rappresentano le lettere nelle targhe? come è fatta la numerazione dei portoni? che differenza c'è tra mettere 16100 e 16135 nell'indirizzo?…).



6. GIOCHI E MATERIALI DIDATTICI

6.1. Il ruolo del gioco nell'apprendimento della matematica, specie a livello elementare, è una questione significativa in quanto, come vedremo, vi si ritrovano alcuni dei nodi principali del dibattito sull'educazione matematica e sui modi di apprendere.
     Diverse proposte di insegnamento della matematica nella scuola elementare che sono state elaborate e diffuse a partire dagli anni sessanta si sono presentate e si presentano sotto forma di attività di gioco. Un'idea che ispira alcune di tali posizioni è che l'aspetto più importante dell'apprendimento matematico sia l'acquisizione di determinate strutture fondamentali, e che questa verrebbe favorita da giochi con materiali strutturati, che presentino analogie con concetti matematici astratti, e/o giochi strutturati, organizzati in modo che le attività e le regole da seguire siano la "traduzione" di alcune relazioni e proprietà matematiche astratte. Le proposte con tale impostazione più di successo sono indubbiamente quelle legate al nome di Dienes, che le accompagnò con scritti in cui, riferendosi ad aspetti marginali delle teorie piagetiane, cercò di dare loro un'organica motivazione e sistemazione teorica[1].
     Nella maggior parte dei casi vengono considerate come strutture su cui basare l'apprendimento alcuni concetti di insiemistica, alcune strutture algebriche o alcune trasformazioni geometriche.
     Si può rilevare, da un punto di vista matematico, che l'impostazione che privilegia la ricerca e l'analisi di strutture "fondamentali" viene ormai generalmente ritenuta inadeguata per interpretare l'attuale corpus delle conoscenze matematiche: la molteplicità dei campi di indagine, la ricchezza di interrelazioni fra essi, il rilievo nuovo degli aspetti algoritmici e dei modi in cui i concetti e le strutture possono essere "costruiti", la complessità dei rapporti tra ricerca "pura" e applicazioni, ... rendono semplicistiche tali impostazioni [2]. Ciò, di per sè, evidenzia come l'operazione di privilegiare nell'insegnamento l'acquisizione di strutture fondamentali sia inadeguata, in quanto fornisce una visione superficiale e distorta della disciplina.
     Da un punto di vista didattico, giochi costruiti a tavolino con lo scopo di veicolare strutture vanno in direzione opposta alle finalità dell'educazione matematica nella scuola di base, secondo le quali il bambino dovrebbe essere messo in grado di matematizzare situazioni reali, attraverso un processo che generalmente, ormai, si riconosce come complesso e non di breve durata; con essi, invece, si vorrebbe indurre il bambino a formarsi in contesti artificiali un'idea "pura" (indipendente dai contesti applicativi) di alcune strutture, trascurando, o banalizzando, sia dal punto di vista culturale che da quello dell'apprendimento, la complessità dei processi di matematizzazione e dei rapporti tra modelli matematici e realtà (i problemi "linguistici", di "semplificazione" e di "infedeltà" delle rappresentazioni rispetto alle situazioni reali, ... che comporta l'uso di modelli).

6.2.   Approfondendo l'analisi, un primo aspetto, forse il più evidente, della maggior parte di queste proposte didattiche è il basso livello di impegno intellettuale a cui vengono sollecitati gli alunni: essi non vengono stimolati a elaborare delle strategie per affrontare il gioco, ma solamente ad apprendere delle regole, ad adeguarsi a degli schemi prefissati; al massimo viene loro proposto di individuare regole e schemi simili per giochi nuovi, ma isomorfi ai precedenti.
     Con l'esercizio di solo queste abilità analogiche di tipo mnemonico- ripetitivo l'alunno non viene indotto a capire, non acquista fiducia nelle proprie capacità intellettuali, percepisce le attività svolte come fatto esterno alla propria cultura e ai propri bisogni, non acquista la padronanza di nuove conoscenze,… : queste proposte, apparentemente più "attive" rispetto a certe pratiche tradizionali, contribuiscono in realtà anch'esse al diffuso fenomeno scolastico della separazione tra ciò che si pensa, il sapere che si è interiorizzato, e il sapere da ripetere, depositato in una "memoria" che entra in funzione solo (ma non sempre…) di fronte a stimoli e impegni di tipo scolastico.
     Per molti alunni non si realizza neanche questo livello di apprendimento inteso come "adattamento all'ambiente". Infatti si tratta di un ambiente "artificiale", appositamente costruito, generalmente estraneo all'esperienza dell'alunno, con tutti i problemi di comprensione che ne derivano: un conto è comprendere un gioco in quanto gioco, cioè afferrare alcuni meccanismi ludici, un conto è acquisire padronanza della struttura a cui il funzionamento e le connessioni delle varie azioni sono modellati e che chi ha elaborato il gioco vorrebbe far percepire. Si pensi, ad esempio, a tutti i casi in cui vengono introdotte strutture sotto forma di relazioni e operazioni su insiemi di bambini, di oggetti, di azioni, di figure geometriche,… che traducono in maniera cervellotica o caricaturale definizioni o presentazioni formali di alcuni concetti matematici [3].
     Si pretenderebbe, poi, che concetti e abilità logiche costruite "in vitro" vengano in un secondo tempo automaticamente trasferite e utilizzate dal bambino in altre situazioni o nella "realtà" in cui vive. Così vengono elusi grossi nodi dell'apprendimento della matematica (e dell'apprendimento in generale). In particolare vengono trascurati sia il problema dell'impatto dell'insegnamento con le reti di concetti e conoscenze preesistenti nel bambino sia quello della costruzione di nuovi modelli (culturali, disciplinari e, in particolare, matematici) che interagiscano positivamente con esse; tutto ciò in nome della pretesa che rappresentazioni concettuali appartenenti a modi di pensare le discipline che sono frutto di complessi processi storici e culturali possano essere trasposte come oggetti di apprendimento per bambini che non hanno alle spalle le conoscenze e il travaglio su cui si basano, e in cui assumono significato, tali rappresentazioni.
     L'uso dei giochi strutturati risulta spesso estraneo, oltre che alle esperienze del bambino, anche alle competenze dell'insegnante, che non ha (e non può avere, in generale) la cultura matematica sufficiente per padroneggiarli (cioè per essere consapevole della struttura matematica sottostante) e allo stesso tempo taglia fuori (a meno di "compromessi" con altre pratiche didattiche) la professionalità che l'insegnante possiede, fatta spesso, specie al livello della scuola elementare, anche di esperienze di vita insieme ai bambini, di capacità di interazione con i loro modi di pensare, di conoscenza e rapporti con l'ambiente in cui è inserita la scuola e, in molti casi, di capacità di collegare naturalmente gli itinerari didattici e l'insegnamento con conoscenze pratiche e atteggiamenti culturali non "scolastici".
     Per di più la caratteristica di queste proposte di contenere già in se stesse la strategia didattica (l'itinerario predisposto dei giochi - e delle regole e delle azioni in cui essi si articolano - che conduce alla "astrazione" dei concetti matematici) rende difficile la possibilità di intervento dell'insegnante in caso di insuccesso: se non avviene l'"astrazione", l'insegnante non sa dove e come intervenire per aggiustare il pezzo del meccanismo didattico che non ha funzionato. Ciò, almeno, accade se l'insegnante non ricorre poi a sue risorse professionali di tipo assai diverso[4].
     Tutte queste considerazioni hanno evidenti riscontri anche per quel che riguarda il ruolo della famiglia: i genitori (specie se poco colti e non abituati a linguaggi e argomentazioni "astratte") non hanno modo di interagire con l'insegnamento scolastico, di comprendere il piano di lavoro proposto dall'insegnante e di rendersi conto di quali abilità sviluppa e di quali difficoltà incontra il bambino.

6.3.   A sostegno di tali impostazioni è stato spesso sottolineato (anche per favorirne la diffusione) il loro carattere "democratico", che deriverebbe dalle abilità di ragionamento e dagli atteggiamenti razionali che esse consentirebbero di sviluppare; ma l'assenza di riferimenti diretti alla realtà culturale del bambino le assimila piuttosto alla "matematica per ragionare" dell'insegnamento tradizionale [5].
     Una conferma di ciò è il ruolo (analogo a quello dell'aspetto "fiscale" in certo insegnamento "tradizionale") che viene assegnato al gioco: l'aspetto ludico viene esplicitamente assunto come zucchero per mandar giù la medicina, per suscitare con motivazioni non conoscitive interessamento per attività volte all'apprendimento di "strumenti" concettuali dei quali, al bambino, non viene fatta percepire l'utilità né la dimensione culturale.
     Questo "imbroglio" (per usare un termine impiegato da Dienes stesso) è comune anche ad altre impostazioni, ad esempio in proposte che (rifacendosi più o meno direttamente a Papy) avviano l'insegnamento della matematica con attività con il materiale dei numeri in colore e con esercizi di individuazione di relazioni tra insiemi che, facendo riferimento a rappresentazioni stereotipate della realtà, vengono presentati sotto forma di gioco (cfr. anche la nota 6 al paragrafo 2). In questi ultimi esercizi è presente anche la tendenza ad adattare i riferimenti alla realtà a una cultura artificiale "da bambini", che dovrebbe corrispondere agli interessi e alle motivazioni proprie del loro "mondo" e che per essi dovrebbe perciò porsi come un terreno più "concreto", su cui realizzare più facilmente l'acquisizione di concetti "astratti". Nelle proposte originali di Papy a questa fase subentrano presto attività che utilizzano direttamente simboli e linguaggi "formali" (punti, segmenti, grafi, lettere,…), nella convinzione che il bambino sia in grado, attraverso essi, di "immaginare un concreto" su cui ragionare operativamente[6].
     Sia chi considera il "concreto-materiale strutturato" sia chi considera il "concreto immaginato" ritiene che questi concreti artificiali, semplificati di particolari non significativi e più ricchi di contenuto matematico rispetto alle situazioni reali, consentano di affrontare più direttamente le nozioni matematiche (Papy sostiene l'opportunità di arrivare ai concetti matematici senza attraversare la fase intermedia di «idea astratta vaga»). Ciò corrisponde non solo alla rinuncia alla educazione a matematizzare, ad "astrarre" modelli matematici da situazioni reali, ma anche a una concezione "materialistica" del concreto. Invece il "concreto" a partire dal quale il bambino sviluppa l'"astratto" non è solo ciò che può "manipolare" o la singola situazione artificiale in cui può "operare" facilmente, ma è costituito, più in generale, da esperienze che interagiscono con le conoscenze e le idee a cui egli fa riferimento per indirizzare i suoi comportamenti quotidiani, cioè che mettono in moto, riorganizzano, aggiornano i ricordi, le concettualizzazioni, le connessioni,… presenti, e attive, nella sua mente. Inoltre, il passaggio concreto-astratto non si realizza tanto attraverso una molteplicità di situazioni simili da cui il bambino astrarrebbe un concetto come "caratteristica comune" (come vorrebbe la filosofia dei giochi strutturati), quanto attraverso una attività più organica su una particolare area di cognizioni, fatti, fenomeni,… che faccia emergere un concetto come elemento "funzionale" allo sviluppo delle conoscenze e di più efficaci rappresentazioni mentali.[7]

6.4.   Nei paragrafi precedenti abbiamo analizzato diversi aspetti negativi del ricorso a "giochi ad hoc" nel primo apprendimento matematico, ma ciò non è da intendere come una critica generalizzata alla presenza del gioco nelle attività didattiche. Infatti, anche se è vero che una sequenza di attività ben programmate può gratificare il bambino, coinvolgerlo e piacergli più di un gioco e che l'analisi dei comportamenti quotidiani di un bambino in età prescolare evidenzia che le sue esperienze culturali non sono realizzate e percepite principalmente sotto forma di attività ludiche fini a se stesse, tuttavia è indubbio che attraverso il gioco il bambino ha sviluppato (e continua a sviluppare anche in età scolastica) molte delle sue conoscenze e abilità e che un gioco piace non solo perchè è divertente ma anche perchè stimolante cognitivamente e perchè occasione di esercizio delle proprie conoscenze e abilità. Inoltre i giochi ("veri") fanno parte delle esperienze e della "realtà" del bambino, e in questo senso possono essere anch'essi un terreno su cui sviluppare attività didattiche significative.
     Vogliamo tuttavia sottolineare che proprio le ricerche sui processi di apprendimento a cui hanno fatto più o meno correttamente riferimento le proposte di insegnamento dell'aritmetica presentate come giochi hanno trascurato l'analisi delle abilità e dei concetti "matematici" di cui i bambini avviano l'acquisizione nei loro giochi (anche in esse infatti il gioco era presente in genere solo come forma sotto cui proporre i test ai bambini).
     Limitandoci alle prime nozioni aritmetiche, notiamo ad esempio come l'osservazione del comportamento di un bambino di cinque-sei anni in situazioni di gioco come il domino, l'omino nero, giochi in cui si effettuano avanzamenti lungo un percorso sulla base del lancio di dadi (simili al "gioco dell'oca" o "non ti arrabbiare", per intenderci),… avrebbe evidenziato l'inadeguatezza di interpretare con schemi rigidi o tipi di rappresentazione esclusivi i modi attraverso i quali viene avviata l'acquisizione dei numeri naturali: la percezione del numero-quantità (i pallini o gli ideogrammi sulle facce del dado, sulle carte, sulle tessere di giochi simili al domino,…) non si presenta quasi mai fondata sulla consapevolezza dell'esistenza di corrispondenze biunivoche ma piuttosto in connessione con intuizioni spaziali (la disposizione geometrica dei pallini …)[8]; le quantità di oggetti (sulla faccia del dado) vengono tradotte in successioni di spostamenti unitari (cioè in numeri-misure di lunghezza) e, in giochi in cui gli elementi che scandiscono il percorso sono caselle numerate, il numero che rappresenta il "risultato" viene percepito non come un numero-quantità ma come un numero-posizione[9]; … .
     Per quanto riguarda altre abilità aritmetiche, si pensi ad esempio a giochi con i dadi e a giochi con le carte, come rubamazzetto o analoghi, sette e mezzo, … (che possono essere proposti, su cui si può riflettere e discutere anche a scuola, in prima elementare e nelle classi successive) : essi favoriscono naturalmente lo sviluppo di abilità di scomposizione (i diversi modi con cui si può comporre 6 con il lancio di due dadi, le carte che si possono prendere con un 6,… ), stimolano considerazioni algoritmiche e probabilistiche (addizioni con numeri piccoli e mezze unità[10], valutazione della differenza del valore che si ha in mano da quello critico - sette e mezzo - e dell'opportunità di chiedere un'altra carta,…), … .
     La ricchezza che hanno le situazioni problematiche che si presentano in un gioco vero conferma la perplessità circa le classificazioni dei problemi aritmetici in base alla sola "struttura" (cioè al tipo di "azioni" che vengono descritte nel problema e alle mutue posizioni di dati e incognite), senza entrare nel merito della situazione matematica concreta[11].
     Le regole di un gioco vero sono meno astruse e, tuttavia, in genere più complesse (anche dal punto di vista matematico) di quelle di un "gioco strutturato". Accanto alle regole da rispettare vi sono, poi, le cosiddette "regole per vincere" (parigliare o sparigliare a scopa, per intenderci con un esempio classico), cioè criteri da tener presenti (e a cui dar pesi diversi a seconda delle situazioni) per indirizzare le scelte: l'individuazione e la discussione di esse è un'occasione di elaborazione di strategie, di algoritmi, di procedimenti di natura non deterministica.

6.5.   Dopo queste brevi considerazioni su alcuni giochi "veri", che meriterebbero uno sviluppo più organico e sistematico (con riferimenti anche ad alcuni giochi all'aperto)[12], prendiamo in esame un ultimo aspetto: il gioco si presenta spesso, esplicitamente, come modello semplificato di situazioni o problemi reali. Si pensi ad esempio al "Lego" o al "Meccano", ai giochi che riproducono attività o mestieri, … : si tratta di giochi attraverso i quali il bambino cerca anche di interpretare e comprendere aspetti e fenomeni del mondo che lo circonda. Si pensi al ruolo per alcuni versi simile che, nelle attività di messa a punto di modelli matematici per studiare i più svariati fenomeni da parte del matematico, dell'economista, del fisico, … (o nella presentazione di essi in testi specialistici o divulgativi), hanno le sperimentazioni e l'analisi di tali modelli applicati a situazioni ideali, semplificate rispetto alla realtà, e a volte presentate sotto forma di gioco[13]. Anche gli indovinelli e i "giochi matematici" hanno in parte queste caratteristiche[14].
     Come esempio significativo di questo uso "finalizzato" del gioco nella attività didattica ricordiamo, in ambito aritmetico, il "mercato in classe", cioè le attività di compravendita realizzabili in classe a cui abbiamo accennato in 4.2. Questo e analoghi momenti di lavoro in classe abbastanza diffusi nella scuola elementare (attività di coltivazione, produzione in classe di beni alimentari, di giornalini,… ) si presentano come attività che non hanno la complessità delle corrispondenti attività vere, ma ne enucleano alcuni aspetti: di ciò gli alunni sono consapevoli poichè questi momenti di lavoro sono preceduti dall'osservazione delle situazioni reali e il successivo confronto con esse consente di arricchire, migliorare o precisare i limiti di questi "modelli" (cfr. 4.10). Tutto ciò si differenzia evidentemente dai giochi "strutturati", ma anche da alcune delle attività proposte sotto l'etichetta di "problem solving" e, soprattutto, da gran parte delle proposte di insegnamento della matematica sotto forma di gioco al calcolatore[15].

6.6.   I limiti dei cosiddetti materiali e giochi "strutturati" sono connessi alla filosofia didattica che ne è alla base e li presenta come un ambiente artificiale in cui sviluppare l'apprendimento di concetti astratti. Diverso è l'impiego di sussidi e materiali come supporti didattici in un processo di astrazione che si sviluppi a partire da situazioni e attività conoscitive.
     Per chiarire questa differenza ci riferiremo all'uso di alcuni strumenti didattici che hanno origini assai antiche e che possiamo rappresentare col termine di ausilii di calcolo: abachi, tabelline, contatori meccanici, regoli,… . Si tratta di dispositivi o sussidi nati come aiuto all'uomo in attività aritmetiche esecutive rispetto alle quali il suo cervello è lento e soggetto a errori dovuti a distrazioni o alla labilità della sua memoria. Tuttavia attualmente, con la diffusione delle calcolatrici elettroniche e con l'automazione di più complesse procedure (bilance che leggono automaticamente il peso e calcolano il prezzo, casse che tengono la contabilità, automazione delle operazioni bancarie, …), hanno perso quasi totalmente rilevanza come mezzi di calcolo. Ciononostante possono costituire tutt'oggi degli strumenti didattici utili per la comprensione di alcuni concetti e metodi aritmetici.
     L'abaco può essere adoperato come modello che contribuisce, attraverso il "linguaggio" di alcune rappresentazioni materiali, a comunicare agli alunni il significato e l'utilità della notazione posizionale. Perché si realizzi questa sua funzione non può tuttavia essere il punto di partenza per l'apprendimento: occorre che esso venga acquisito come modello dei numeri e, quindi, che sia preceduto da attività e osservazioni sull'uso di essi che ne facciano già percepire la natura posizionale. Senza questa tappa è ben difficile per il bambino dare un senso a una attività con palline (o altri oggetti) che cambiano valore a seconda della posizione e riduce solo a problemi di tipo psicomotorio la percezione del verso destra-sinistra secondo cui crescono i valori.
     Tra gli usi del numero che abbiamo analizzato nel corso dell'articolo quello che si presta meglio ad essere terreno di attività didattiche che avviino alla scrittura decimale nel suo significato "polinomiale" è l'espressione dei valori monetari, cioè l'uso dei numeri per "strutturare" il "materiale" da impiegare come mezzo di scambio economico. Abbiamo visto in 4.5 che per indirizzare gli alunni a una sintesi delle esperienze e delle acquisizioni realizzate nelle prime attività pratiche di compravendita può esser utile anche il "gioco" di comportarsi come se non esistessero o fossero sparite le monete da 20, 50, 200, … , e di cercare di formare i valori monetari con meno pezzi possibile; i confronti tra i bambini che si sviluppano naturalmente nei rapporti di "controparte" conducono facilmente alla padronanza del gioco. A questo punto il linguaggio degli istogrammi, già acquisito dagli alunni (cfr. 2), consente di rappresentare efficacemente la relazione tra il modo in cui si formano i valori monetari e il modo in cui la loro espressione verbale viene tradotta in sequenza di cifre.

5 mila 2 cento


5200

 

     3 mila 50


3050

 

     Dopo attività di questo genere è abbastanza naturale l'astrazione all'uso dell'abaco come strumento che consente di rappresentare diversi valori monetari, e poi numeri qualunque (aggiungendo la colonna delle unità), senza rifare ogni volta l'istogramma, ma spostando semplicemente le "palline". E' utile che l'abaco sia realizzato in modo da rendere chiari i movimenti e i "cambi" delle palline, anche a scapito della velocità consentita dai pallottolieri che si possono acquistare (la sua introduzione non mira infatti a mettere a disposizione un mezzo di calcolo efficiente), e che abbia disposizione verticale, simile a quella degli istogrammi, in modo che indicando sotto alle varie colonne il numero delle "palline" si ottenga esattamente la sequenza di cifre della scrittura decimale. E' bene poi che le "palline" delle varie colonne non siano distinte per colore: ciò non farebbe altro che introdurre un fattore da cui si dovrebbe poi astrarre per capire che entra in gioco solo il fattore posizione; è utile invece, in analogia con gli istogrammi, distinguere le colonne con targhette indicanti il valore numerico (1, 10,…) rappresentato da ciascuna pallina in esse collocata.[16]
     In questo modo si ha un modello su cui si può lavorare prescindendo dai valori monetari (rappresentando, dopo averne consolidato il significato in situazioni di calcolo monetario pratico, anche somme, sottrazioni, differenze, eventualmente con il ricorso contemporaneo a due abachi), anche se essi per diverso tempo continuano ad essere utilizzati dagli alunni esplicitamente come punto di riferimento per il ragionamento.
     La padronanza della scrittura decimale fa riferimento anche ad aspetti linguistico-formali (lessicografici) che abbiamo descritto in 3.5, illustrando l'utilità in questa direzione di attività legate all'uso del calendario. Un materiale che può mettere in luce questo aspetto può essere costituito da due serie di dieci tessere di cartoncino numerate nella parte superiore da 0 a 9 inserite in due tasche appese al muro; aggiornando di giorno in giorno il numero rappresentato in modo da farlo corripondere a quello del calendario si evidenzia il procedimento attraverso cui viene generata la sequenza numerica: si fanno di volta in volta "ruotare" di un posto le tessere della tasca destra (prendendo la prima e mettendola in fondo) e ogni volta che compare lo zero si fanno ruotare di un posto anche quelle della tasca sinistra. Questa procedura "meccanica" rappresenta il funzionamento di un contatore, e presenta immediate analogie con oggetti che i bambini conoscono (indicatori di data realizzati con cilindri numerati, indicatori di data e orologi digitali diffusi in luoghi pubblici realizzati con tessere ruotanti o led, contachilometri nel cruscotto dell'auto, …). La messa in luce di queste analogie, l'uso di questo semplice modellino per rappresentare non solo la data del giorno ma altri numeri, la discussione e la "scoperta" di come si può usarlo per trovare che data avremo tra tre giorni, sette giorni, … e il confronto con il risultato ottenuto muovendosi sulla linea dei giorni, … tutte queste attività possono favorire lo sviluppo di abilità, concetti, modelli mentali di riferimento che, intrecciandosi con quelli costruiti in altre situazioni, realizzano un tessuto su cui potranno innestarsi attività più astratte.
     Il significato "astratto" delle attività di calcolo effettuate "in situazione" sulla linea del tempo può essere messo in luce operativamente da un altro sussidio didattico, il regolo: affiancando a tale linea (nello stesso verso o in verso opposto) una striscia con tacche numerate (a partire da 0 e con scansione uguale a quella della linea dei giorni) è possibile eseguire somme e sottrazioni, subentrando al conteggio degli spostamenti unitari. Un succesivo uso di regoli realizzati con generiche linee dei numeri (o con una coppia di metri) può essere utile per consolidare alcune relazioni numeriche (addizione o sottrazione ripetuta di un numero attraverso successivi riporti,…); questi usi fanno riferimento alla natura "analogica" (non "digitale", come quella di abaco e contatore) di tale strumento.
     Un sussidio di calcolo abbastanza diffuso è il disegno di reticolati per rappresentare ed eseguire moltiplicazioni: 6 x 3 è rappresentato con 6 linee orizzontali incrociate da 3 verticali, o viceversa; il risultato si ottiene contando gli incroci. Questo modello può essere utilizzato per visualizzare in maniera astratta situazioni incontrate in diverse attività a cui ci siamo già riferiti (disposizione di monete nel calcolo economico - cfr.4.7 -, contenitori a reticolo, pavimenti a piastrelle, carte e dadi, Lego,...), per consolidare la commutatività della moltiplicazione,… . Non è però opportuno il suo impiego per "introdurre" la moltiplicazione (impiego che è tuttavia relativamente diffuso); infatti in questo modo qualsiasi bambino che sappia contare impara facilmente a fare semplici moltiplicazioni astratte, ma non percepisce affatto il significato della moltiplicazione come modello matematico né acquisisce abilità algoritmiche.
     Strumenti di calcolo che hanno avuto un grande rilievo nella storia sono invece le tavole, cioè elenchi o schemi (da leggere incrociando opportunamente righe e colonne) che permettono di ricavare il risultato di un certo tipo di calcolo. Sono state impiegate per calcoli di diversa natura e difficoltà; prima dello sviluppo della notazione decimale erano assai importanti quelle per la moltiplicazione; la tavola moltiplicativa del sistema decimale invece non è stata utilizzata tanto come strumento di calcolo quanto come supporto didattico per la memorizzazione delle moltiplicazioni tra cifre, su cui si fonda l'algoritmo standard della moltiplicazione. Al tramontare dell'importanza dell'acquisizione di automatismi di calcolo in seguito alla diffusione delle calcolatrici, giustamente perde centralità la velocità nell'individuare il risultato di tali moltiplicazioni e acquistano importanza nuove abilità di calcolo mentale (su ciò ci siamo già soffermati in 4). La tavola della moltiplicazione è diventata così supporto per attività di memorizzazione meno automatiche e per attività che (attraverso coloriture, cerchiature, … di caselle) tendono a mettere in evidenza proprietà delle operazioni, regolarità numeriche, … e che possono essere utili per il lavoro di consolidamento tecnico che può seguire all'introduzione dei concetti in situazioni culturalmente più significative.
     Ci siamo soffermati su questi esempi di materiali "strutturati" non tanto per ricordarne l'uso, quanto per mostrarne la diversa flessibilità didattica, significatività culturale e "umanità" rispetto a quelli considerati nei paragrafi precedenti. Un altro supporto, spesso dimenticato o sconsigliato dai proponenti i nuovi materiali, è quello costituito dalle dita delle mani. E' un supporto che usa frequentemente anche l'adulto, per comunicare visivamente numeri, per tenere il conto di eventi che si succedono, … e per aiutarsi nell'esecuzione di calcoli: scandire con le dita il conteggio da 18 a 23 e poi leggere sulle dita la differenza tra i due numeri, sommare (sottrarre) 5 a 18 andando avanti (indietro) nel conteggio finchè con le dita non si forma il numero 5, moltiplicare 5 per 3 scandendo con le dita l'addizione successiva di 3 termini pari a 5 (in genere memorizzata come cantilena), … e calcoli analoghi con le decine, le centinaia, … . L'insegnamento scolastico deve tenere conto dell'uso delle dita anche perché è uno dei primi modi in cui il bambino rappresenta i numeri; deve anzi aiutare il bambino a renderne più efficace l'uso, abituandolo ad esempio a usare anche "dita appoggiate sul tavolo-dita sollevate" invece di "dita stese-dita piegate", a rappresentare (dopo aver sviluppato abilità di composizione e scomposizione attraverso opportune attività, di cui abbiamo dati vari esempi nell'articolo) 6 direttamente come una mano più un dito invece che a contare man mano le dita da sollevare, o 9 come ...



7. CONSIDERAZIONI FINALI E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

     In questo paragrafo riprendiamo brevemente alcune delle questioni generali relative all'apprendimento matematico discusse nel resto dell'articolo, nel quale abbiamo scelto di affrontarle non in astratto e isolatamente ma in contesti di uso dei numeri e sottolineando i legami reciproci (questi ultimi, infatti, ne rendono difficile un'analisi separata - cfr.1.3). Non pretendiamo in questa sede di approfondirle ulteriormente, ma ci limitiamo a enuclearne alcuni aspetti.
     
     Nel corso di tutto l'articolo abbiamo motivato l'importanza, ai fini dell'apprendimento, di inserire i contenuti matematici in contesti di uso reale. Le argomentazioni sono state essenzialmente di due tipi.
     In primo luogo abbiamo sottolineato come tale scelta renda più agevole motivare l'apprendimento per i bambini, in quanto situazioni opportune sono per loro più ricche di significato e interagiscono meglio con le loro rappresentazioni mentali, la loro cultura e le loro esperienze pre- ed extra-scolastiche rispetto a un'introduzione astratta dei medesimi concetti. Ciò consente anche un miglior coinvolgimento degli stessi insegnanti (non solo in quanto tali, ma anche in quanto adulti), dei genitori e di altri soggetti; si pensi alla diversità del contributo che può dare un genitore rispetto a insegnamenti impostati insiemisticamente o su materiali strutturati.
     In secondo luogo abbiamo evidenziato le motivazioni culturali di tale scelta: mettere subito l'alunno a contatto con il valore conoscitivo dei contenuti disciplinari iniziando a chiarire il ruolo dei modelli matematici e i rapporti fra questi e la realtà. Anche in relazione a ciò abbiamo riferito le proposte (e le indicazioni sulle abilità e i concetti affrontabili nei primi anni della scuola elementare) ad attività su alcune aree tematiche di ampio respiro, protratte nel tempo a sufficienza affinché i bambini possano diventarne gradualmente padroni, e significative, oltre che in generale, anche dal punto si vista della matematica (che non fossero cioè dei pretesti per guarnire curricoli matematici predeterminati).

     Le considerazioni storiche inserite nell'articolo confermano a nostro giudizio l'impostazione ora illustrata. Un'analisi di tipo storico può chiarire i rapporti fra costruzione dei concetti e loro definizione formale. La formalizzazione ha le sue funzioni specifiche (sistemazione e chiarificazione dei concetti, messa in evidenza dei nessi, generalizzazione, e quindi maggiore applicabilità, delle idee e dei metodi, suggerimento di nuovi sviluppi,…) ma non va confusa con la costruzione dei concetti, che, nella storia, è quasi sempre avvenuta al termine di processi complessi, precedendo le sistemazioni formali (almeno per quanto riguarda i contenuti matematici toccati in questo articolo); queste ultime, inoltre, non sono univoche e assumono significatività diversa a seconda dei contesti (come abbiamo accennato ad esempio a proposito della definizione insiemistica e quella equazionale delle operazioni).
     Una riflessione di tipo storico può anche essere utile per comprendere le difficoltà dei bambini, pur senza indulgere a collegamenti meccanici fra il loro processo di acquisizione dei concetti e lo sviluppo dei medesimi nella storia : non si può pretendere di riprodurre in pochi anni il processo, durato millenni, attraverso cui sono stati astratti i concetti aritmetici, ma si devono comunque predisporre degli itinerari didattici che realizzino un processo di astrazione altrettanto consistente.

     Nel corso dell'articolo abbiamo posto spesso il problema dei rapporti fra attività concrete e rappresentazioni, in particolare rappresentazioni linguistiche. Abbiamo cercato di motivare come il passaggio a queste ultime deve assere condotto con estrema gradualità, in modo che i bambini siano in grado di usarle per ragionare e per comunicare, e siano motivati a farlo (si rendano cioè conto delle esigenze che richiedono l'introduzione di strumenti di tipo linguistico), integrandole al linguaggio che già utilizzano, non sovrapponendole ad esso senza averne colto la funzione. L'introduzione precoce di rappresentazioni formalizzate può portare a guasti, in quanto, se esse risultano estranee per i bambini, c'è il rischio che essi continuino a ragionare con il loro linguaggio originario e le considerino come sostanzialmente inutili (con la conseguenza di favorire quella frattura fra conoscenze scolastiche e conoscenze da utilizzare nella vita che viene spesso ravvisata in vari livelli scolari).
     Abbiamo sottolineato come sia necessario tener conto, nell'ambito della gradualità di cui sopra, del linguaggio comune, ad esempio quando si introducono parole che hanno già un significato in esso e vengono caricate di nuovi significati "formali" (si pensi alle parole legate alle quattro operazioni, come "meno", "diviso" ecc.). Per motivi di questo tipo abbiamo insistito molto su una costruzione graduale della scrittura decimale dei numeri, anche passando attraverso rappresentazioni poco ortodosse ma che aiutano i bambini a comprenderne l'utilità e le funzioni e a non perdere di vista i significati di ciò che stanno facendo (operazione per la quale è indispensabile, ai giorni nostri, la manipolazione, in qualche forma, anche di numeri "grossi").

     Analoga e collegata con questa è la questione del passaggio da procedimenti (di calcolo ecc.) svolti in situazione a procedimenti in astratto. Abbiamo visto a più riprese come l'operare in situazioni concrete, e significanti per i bambini, sia un terreno adatto per sviluppare le loro capacità di utilizzare procedimenti (sceglierli, applicarli, valutarne gli esiti). Tutto questo non pregiudica al bambino la possibilità di generalizzare tali procedimenti, di estenderne l'applicazione ad altri ambiti, di considerarli in quanto tali, separati dal contesto originario: un apprendimento di procedimenti (come di strutture) in astratto eluderebbe invece la costruzione di una molteplicità di strategie di calcolo utili per il calcolo mentale e, trascurando il problema dei rapporti tra significati delle operazioni e contesti d'uso, metterebbe di fatto i bambini in condizione di non saper operare se non in situazioni stereotipate.

     Nel presentare gli esiti delle attività di sperimentazione e di ricerca che abbiamo condotto, abbiamo accennato alla scelta di non usare test o strumenti simili per valutarle. Una didattica centrata sull'apprendimento in situazione di concetti non isolati ma inseriti in ampi quadri di riferimento rende difficili simili forme di valutazione (nelle attività in classe e nella ricerca didattica), se non altro per l'enorme numero di variabili significative (e non riducibili) messe in gioco. Comunque abbiamo richiamato anche considerazioni più generali che pongono precisi limiti all'uso di tali strumenti: vi è da un lato la scarsa attendibilità dal punto di vista statistico (ai fini delle ricerche sull'apprendimento) di analisi condotte su campioni non rappresentativi, dall'altro la rilevanza, di non facile controllabilità, delle situazioni in cui tali attività si svolgono.
 
     La bibliografia che segue non ha alcuna pretesa di organicità o completezza: riporta i riferimenti presenti nel testo dell'articolo, che sono stati scelti in modo da facilitarne la lettura, chiarire alcune idee fondamentali e fornire esempi di alcune delle posizioni discusse.



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