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International conference "Psychology of Mathematics Education", 1995

[traduzione in italiano]

Alcuni aspetti del rapporto tra matematica e cultura nell'insegnamento-apprendimento della matematica nella scuola dell'obbligo

Boero, Paolo1); Dapueto, Carlo 1); Ferrari, Pierluigi 2); Ferrero, Enrica 3); Garuti, Rossella 4) & 5); Lemut, Enrica 4); Parenti, Laura 1); Scali, Ezio 3)

1) Dipartimento di Matematica, Università di Genova
2) Dipartimento di Scienze e Tecnologie Avanzate, Università di Torino ad Alessandria
3) Scuola Elementare di Piossasco (Torino)
4) Istituto per la Matematica Applicata, C.N.R., Genova
5) Scuola Media "Focherini", Carpi (Modena)

a Giovanni Prodi

Lo scopo di questo report è di approfondire alcuni problemi cognitivi e didattici dei rapporti tra "matematica" e "cultura" nell'insegnamento - apprendimento della matematica nella scuola dell'obbligo. Prenderemo in considerazione l'uso che della cultura comune extrascolastica si può fare nella scuola per costruire concetti e abilità matematiche, il contributo che la matematica insegnata a scuola può dare alla cultura comune al fine di consentire (e diffondere) una interpretazione "scientifica" dei fenomeni naturali e sociali, e l'insegnamento della matematica come parte della cultura scientifica che è necessario trasmettere alle nuove generazioni. Cercheremo così di contribuire a chiarire alcune potenzialità e alcuni limiti intrinseci dell'insegnamento "constestualizzato" della matematica, e di mettere in evidenza il ruolo che l'insegnante deve assumere per sfruttare a fondo tali potenzialità e superare tali limiti.

1.Introduzione

L'insegnamento e l'apprendimento della matematica nella scuola mettono in causa vari aspetti del rapporto tra matematica e cultura, tra i quali:

− il problema di come l'insegnante può usare situazioni reali extrascolastiche per costruire e/o motivare e/o applicare le conoscenze matematiche di base, e gli effetti di questo uso sulla cultura extrascolastica;

− il rapporto tra la matematica insegnata a scuola e l'esperienza matematica, prevalentemente implicita, degli alunni in contesti reali extrascolastici (da quello dell'uso del denaro a quello dei dispositivi elettronici d'uso comune);

− il rapporto tra la matematica insegnata a scuola e la matematica dei matematici e degli altri specialisti che fanno un uso sistematico di strumenti matematici avanzati.

La nostra attività di ricerca, iniziata negli anni '70, riguarda la costruzione e la sperimentazione di progetti per l'insegnamento della matematica nella scuola primaria (grades I-V), nella comprehensive school (grades VI-VIII) e, più di recente, nella junior high school (grades IX-X)  (vedi: Boero, 1989a; 1989b; 1994)

Una caratteristica comune di questi progetti è stato fin dalle origini l'uso sistematico di contesti reali extrascolastici per motivare, costruire e applicare conoscenze matematiche (vedi primo aspetto). Le potenzialità, le difficoltà ed i problemi che comporta tale scelta di fondo sono stati l'oggetto della maggior parte delle nostre ricerche nel campo della didattica della matematica, e costituiscono il tema di questo report.

In questo report prenderemo in considerazione:

− l'uso che dell'esperienza culturale extrascolastica degli alunni si può fare nella scuola per costruire concetti e abilità matematiche (vedi paragrafo 3);

− il contributo che la matematica insegnata a scuola può dare (tramite gli alunni) alla cultura extrascolastica al fine di consentire (e diffondere) una interpretazione "scientifica" dei fenomeni naturali e sociali (vedi paragrafo 4);

− come gestire la transizione a un insegnamento della matematica come parte relativamente autonoma di quella cultura scientifica che è necessario trasmettere alle nuove generazioni (vedi paragrafo 5).

Il nostro studio analizzerà in particolare le specifiche difficoltà che gli alunni possono incontrare in relazione a queste tre problematiche, e le diverse funzioni che l'insegnante deve svolgere in relazione a ciascuna di esse (vedi paragrafo 7).

Utilizzeremo il concetto di "campo di esperienza" (Boero, 1989a; 1989b; 1992) per inquadrare in modo unitario i diversi aspetti del rapporto tra matematica e cultura nel contesto scolastico e mostrarne i possibili collegamenti funzionali.

2. Inquadramento teorico

Per quanto riguarda i termini "matematica" e "cultura", in questo report essi indicheranno non soltanto le conoscenze che qualificano oggi (rispettivamente) il matematico di professione e l'uomo considerato convenzionalmente colto in una data società, ma anche:

− come "matematica",

* i contenuti matematici delle attività e del sapere non matematico, indipendentemente dal loro grado di esplicitazione: dalla matematica del bracciante semianalfabeta alla matematica del ragioniere;

* e altresì le attività basate (in modo più o meno esplicito e consapevole a seconda di chi le svolge e delle circostanze in cui sono svolte) su elementi del sapere matematico: quindi, per noi la matematica comprende non solo i concetti e gli algoritmi matematici, ma anche le attività di matematizzazione, di problem solving, di produzione e di dimostrazione di congetture, ecc. da chiunque effettuate.

Abbiamo preso in considerazione questo secondo aspetto per due motivi: rilievo dell'attività di problem solving e di modellizzazione nel lavoro dei matematici di oggi (dentro e fuori della matematica: dal trattamento algebrico di problemi geometrici, alla modellizzazione stocastica di certi fenomeni biologici); ipotesi (da noi condivisa) che vi sia un legame genetico tra attività, processi e concettualizzazione (per ricerche recenti su ciò, cfr. Sfard, 1991 e Tall, 1994);

− come "cultura", secondo l'interpretazione corrente nell'antropologia, ogni pratica intellettuale o materiale, condivisa da gruppi sociali od etnici, che sia socialmente riconoscibile, comunicabile e tramandabile.

In questo senso, la cosidetta "cultura materiale" (ad esempio, le pratiche agricole delle diverse zone della Terra) fa parte della "cultura" altrettanto quanto la religione o la filosofia o la matematica.

Usando il termine "cultura" sotto questa accezione occorre tener conto del fatto che in realtà la "cultura" di un'epoca è costituita da molte "culture": culture di regioni diverse della Terra, culture di gruppi sociali o etnici diversi che vivono in una stessa regione, culture presenti in istituzioni particolari (ad esempio, la scuola). Ogni individuo porta, nel suo bagaglio culturale, tracce di queste diverse culture, e a seconda degli ambienti in cui vive e delle circostanze farà ricorso, in modo più o meno consapevole e originale, alle culture di cui ha esperienza.

Per le questioni generali di tipo cognitivo ed educazionale connesse al nostro studio faremo riferimento alle ipotesi di Vygotskij (1978, 1990) sul rapporto tra apprendimento e sviluppo, sul ruolo di mediazione dell'insegnante, sulle funzioni cognitive degli strumenti di mediazione semiotica.

Con riferimento a Vygotskij, e anche a Leont'ev, Luria e Davydov, notiamo che la definizione di "cultura" da noi scelta è coerente con la loro concezione della cultura come fenomeno storico radicato nelle pratiche sociali di tipo intellettuale e materiale. Anche il rilievo dell'"attività" nella matematica è coerente con l'importanza che in generale essi attribuiscono all'"attività" nella formazione del sapere.

Notiamo che le accezioni da noi scelte per i termini di "matematica" e soprattutto di "cultura" potrebbero creare, per quanto riguarda lo studio dei processi di apprendimento, problemi di compatibilità con quadri di riferimento teorico nei quali la costruzione della conoscenza è considerata un processo personale, sollecitato dagli stimoli esterni e incanalato dai vincoli ambientali contingenti, ma fondamentalemente realizzato per opera dei meccanismi interni di adattamento. Nel nostro caso, il riferimento alle ipotesi di Vygotskij sulla costruzione sociale della conoscenza nel contesto storico-culturale ci sembra che renda compatibili le accezioni da noi scelte, di derivazione antropologica, e le problematiche di apprendimento.

Per quanto riguarda le questioni generali di tipo didattico adatteremo alle nostre esigenze alcuni concetti elaborati dalla scuola francese di didattica della matematica (come la "dialettica tool/object" di R. Douady, 1985 e il "contratto didattico" di G. Brousseau, 1984).

Questo adattamento può creare problemi dal punto di vista della correttezza e della coerenza rispetto alle teorie originarie - tra l'altro, occorre tener conto del fatto che nel quadro teorico francese la visione delle matematica si differenzia da quella considerata in questo report e i riferimenti teorici in campo cognitivo si rifanno al costruttivismo piagetiano (per una discussione su questo punto, vedi Boero, 1994).

Per quanto riguarda i diversi aspetti del rapporto tra matematica e cultura nell'insegnamento-apprendimento della matematica considerati in questo report, l'analisi sarà condotta utilizzando, con funzioni specifiche di unificazione concettuale delle tematiche affrontate, il concetto di "campo di esperienza" presentato in Boero, 1989a, 1989b, 1994b. Il concetto di "campo di esperienza" fu introdotto con lo scopo di analizzare i problemi che si pongono quando si fa ricorso a contesti famigliari agli allievi e all'insegnante nell'insegnamento - apprendimento della matematica. In breve, per "campo di esperienza" si intende un settore della cultura umana identificabile dall'insegnante e dagli alunni come unitario e omogeneo. Esempi in tal senso sono il campo di esperienza delle "ombre del sole" e il campo di esperienza "degli acquisti e delle vendite". Naturalmente, anche l'aritmetica può diventare, con il tempo, un "campo di esperienza" per gli studenti.

Nello studio dei problemi di insegnamento-apprendimento, per ogni "campo di esperienza" si devono considerare i complessi rapporti che a scuola si instaurano tra "contesto interno dell'allievo" (esperienza, rappresentazioni mentali, procedure relative al campo di esperienza), "contesto interno dell'insegnante", e "contesto esterno" (segni, oggetti, vincoli oggettivi specifici del campo di esperienza).

In questo report considereremo in particolare l'evoluzione, attraverso le attività che l'insegnante organizza e guida in opportuni "campi di esperienza", dei contesti interni dell'allievo.

Egli in certi campi di esperienza della vita extrascolastica può acquisire strumenti matematici e strategie di pensiero che gli serviranno per pensare e agire in modo più efficace negli stessi o in altri campi di esperienza, e potranno costituire altresì gli elementi di base per accedere (con la necessaria mediazione dell'insegnante) ai campi di esperienza della matematica.

In tale prospettiva, il problema dei rapporti tra "cultura" e "insegnamento-apprendimento della matematica" assume un'importanza cruciale se si vogliono chiarire i contributi che vari contesti "reali" possono fornire allo sviluppo delle conoscenze e delle abilità matematiche (quindi, della cultura matematica), e i contributi che la matematica può dare alla padronanza culturale di vari contesti reali. A loro volta, tali chiarimenti appaiono necessari per precisare le potenzialità, i limiti e le variabili da cui dipende l'efficacia dell'uso dei contesti reali extrascolastici nell'insegnamento della matematica.

In effetti, i contesti reali extrascolastici sono in genere utilizzati nell'insegnamento della matematica al fine di collegare lo studio della matematica a motivazioni e applicazioni extra-scolastiche; le connotazioni ideologiche e sociali che questa utilizzazione spesso assume possono indurre a:

i) sottovalutare le difficoltà che in taluni casi si manifestano quando alla complessità e alla difficoltà dei contenuti matematici si intrecciano le difficoltà inerenti la padronanza culturale di taluni contesti reali (che sono, sì, oggetto di esperienza extrascolastica, ma non nella forma esplicita e razionale richiesta dal lavoro di matematizzazione);

ii) non sfruttrare pienamente le potenzialità insite nel lavoro nei contesti reali extrascolastici per quanto riguarda lo sviluppo di abilità e atteggiamenti necessari per le attività in ambito matematico;

iii) trascurare il fatto che uno dei compiti della scuola è quello di trasmettere alle nuove generazioni la matematica come scienza relativamente autonoma dalle sue applicazioni, o trascurare (nel caso in cui tale compito sia assunto) le differenze che sussistono tra la matematica come strumento (sovente utilizzato in forma non del tutto consapevole ed esplicita) per agire nei contesti reali e la matematica come scienza relativamente autonoma dalle sue applicazioni.

Quanto ad i) ( padronanza culturale dei contesti reali extrascolastici), in questo report proponiamo di distinguere tra:

− contesti reali che nella vita extrascolastica si presentano oggi già fortemente matematizzati (come il contesto delle misure di lunghezza, di tempo e di peso, o il contesto degli scambi economici e dell'uso del denaro);

− contesti reali per i quali l'attività di modellizzazione matematica svolta in classe può entrare in conflitto con rappresentazioni mentali e concezioni radicate nel senso comune, o comunque non può basarsi su sufficienti livelli di matematizzazione già presenti nella cultura extrascolastica (esemplare é il contesto della trasmissione dei caratteri ereditari).

Tale distinzione ci sembra importante per chiarire come nel primo caso il lavoro dell'insegnante può appoggiarsi all'esperienza extrascolastica per sviluppare concetti e procedure matematiche e per costruire livelli più alti di consapevolezza e di esplicitazione circa gli strumenti e i processi matematici coinvolti, mentre nel secondo caso ciò non accade e anzi occorre che a volte l'insegnante operi contro concezioni contrastanti con la modellizzazione matematica.

Quanto a ii) ( potenzialità insite nelle attività relative ai contesti reali extrascolastici), in questo report si cercherà di mettere in evidenza come alcune abilità di base e processi che intervengono nelle attività matematiche (come le competenze linguistiche-argomentative, i processi legati alla metacognizione, ecc.) possono essere sviluppate utilizzando le potenzialità insite nel lavoro in contesti reali extrascolastici.

Quanto a iii) (rapporto tra la matematica come strumento per agire nei contesti reali extrascolastici e la matematica come scienza autonoma), riteniamo che ci sia continuità tra talune abilità e taluni concetti che possono essere costruiti nel lavoro nei contesti reali e utilizzati nel lavoro interno alla matematica ma che ci siano anche rotture tra il pensare comune e il pensare con la matematica, e tra il pensare comune e il pensare in matematica. Pensiamo che di tutto ciò ("continuità" e "rotture") debba farsi carico l'insegnamento della matematica.

3. Esperienza matematica extrascolastica e matematica scolastica

Nella cultura comune esistono pratiche sociali (ad esempio: scambi denaro - merce, pratiche di misura di grandezze fisiche comuni: lunghezze, pesi...) in cui sono utilizzati (talvolta a livello di strumento operativo implicito) importanti concetti, proprietà, strategie matematiche; esistono altresì oggetti (con riferimento agli esempi precedenti, le monete, il righello, ecc.) il cui uso, in accordo con le convenzioni stabilite a livello sociale, comporta l'intervento di importanti competenze matematiche (Boero,Carlucci Chiappini, Ferrero &Lemut, 1994).

Riferendosi a campi di esperienza come quello degli "acquisti e vendite" o quello del "calendario", l'insegnante può introdurre nella classe pratiche sociali extrascolastiche (ad esempio scambi denaro - merce) utilizzando oggetti ed espressioni linguistiche che favoriscono la risonanza dell'attività scolastica con le esperienze extrascolastiche degli alunni. Con una scelta accurata delle situazioni problematiche proposte l'insegnante può stimolare negli alunni (nei tempi brevi del lavoro scolastico) quei processi di acculturazione e di superamento di concezioni ingenue che oggi avvengono normalmente fuori della scuola in particolari ambienti (come quelli studiati da Nunes Carraher, 1988) e che in modo esteso avvenivano in epoche precedenti la diffusione dell'istituzione scolastica presso diverse civiltà (cfr. Bishop, 1988).

A proposito delle concezioni "ingenue" dei bambini, all'ingresso nella scuola elementare alcuni bambini possono manifestare tali concezioni, ad esempio, per quanto riguarda il potere di acquisto del denaro, o gli stessi meccanismi dell'acquisto. Abbiamo però constatato che in classe è sufficiente il richiamo delle regole e dei vincoli esterni (in genere rafforzato dalla risonanza con le esperienze cui il bambino nel frattempo assiste, o che il bambino vive, all'esterno della scuola) perchè il bambino pervenga abbastanza rapidamente a tale visione "adulta".

3.1. Le ricerche da noi condotte mostrano che realizzando in classe attività sistematiche e (per quanto possibile) coinvolgenti e "realistiche" per gli alunni è possibile non solo costruire competenze relative alla risoluzione di semplici problemi "pratici", ma anche stimolare il manifestarsi di importanti "teoremi in atto" (Vergnanud, 1990): ad esempio, la distributività della moltiplicazione rispetto all'addizione nel calcolo del costo di 3 oggetti che costano 420 lire ciascuno ( Boero, 1988, 1992) e l'additività della misura delle lunghezze nel risolvere il problema di misurare con un righello lungo 20 cm una piantina alta più del righello (Boero, 1994a).

E' altresì possibile stimolare lo sviluppo di importanti processi cognitivi: anticipazione (Boero & Shapiro, 1992); ragionamento ipotetico e produzione di vari tipi di ipotesi e strategie (Ferrari, 1989,1990, 1992; Boero, 1990; Boero, Ferrari, Ferrero, 1989).

3.2. Un problema di ricerca importante coinvolto nell'insegnamento della natematica "realistica" e nell'insegnamento della matematica in una prospettiva di "situated cognition" ( Rogoff Lave, Lave, cfr. Vanderbilt Group, 1990) riguarda la sistematicità e la continuità che devono assumere le attività sui "problemi reali" della vita extrascolastica.

Esistono diverse possibilità al riguardo: in particolare,

a) vari sono evocati, in modo episodico, nei problemi verbali via via proposti (eventualmente proposti come "storie" - "story problems");

b) un campo di esperienza della vita di tutti i giorni è oggetto di un lavoro prolungato e continuo, orientato prevalentemente dalle esigenze di costruzione delle competenze matematiche;

c) un campo di esperienza della vita di tutti i giorni è oggetto di un lavoro prolungato e continuo, orientato prevalentemente dalle esigenze di sviluppo delle conoscenze relative al campo di esperienza stesso (in questo caso la preoccupazione di sviluppare attività ricche di contenuti e implicazioni matematiche non viene risolta attraverso la scelta delle situazioni problematiche, ma attraverso la scelta di un "campo di esperienza" ricco di potenzialità matematiche).

Sicuramente anche uno "story problem" isolato in cui l'insegnante riesce a coinvolgere affettivamente gli alunni sollecita in essi la messa in opera di strategie "dipendenti dal contesto" ( Lesh, 1985), ma a nostro avviso occorre distinguere tra:

− evocazione (attraverso il testo del problema) di strategie risolutive "dipendenti dal contesto";

− costruzione e sviluppo di strategie risolutive, di concetti e di abilità attraverso le attività in classe che riguardano i "campi di esperienza" della vita di tutti i giorni.

Con riferimento a tale distinzione, le esperienze da noi condotte indicano che sono assai limitate, ai fini dello sviluppo delle competenze matematiche, le potenzialità di un insegnamento della matematica che usa i "contesti" della vista extrascolastica nel modo indicato in a) e in b), mentre molto più estese appaiono le potenzialità dell'approccio indicato in c) (vedi Boero, 1988; 1992; per conclusioni analoghe relative a tutte le discipline, vedi Vanderbilt Group, 1993).

Passiamo ora a considerare le competenze matematiche costruite in un "campo di esperienza" della vita di tutti i giorni: esse vanno rese riconoscibili e fruibili per una più sistematica padronanza del campo di esperienza in cui si sta operando e per un reinvestimento in altri campi di esperienza (matematici e non matematici). A tal fine l'insegnante deve guidare l'esplicitazione (con le forme linguistiche standard del linguaggio comune e, per quanto effettivamente necessario, del linguaggio matematico) delle conoscenze matematiche implicite nelle attività svolte in classe. Ciò può creare dei problemi non facili da mettere a fuoco e da risolvere sul terreno didattico.

Il problema maggiore riguarda a nostro avviso l'identificazione e la corretta gestione delle differenze esistenti tra il sapere matematico scolastico e il sapere matematico implicito contestualizzato nelle pratiche sociali (es. professioni, attività comuni in campo economico o tecnico, ecc.). La questione è stata sollevata in modo molto chiaro in Carraher, 1988, per quanto riguarda il rapporto tra strategie di problem solving praticate fuori della scuola dai ragazzi di strada e le strategie insegnate a scuola.

Esistono in letteratura vari approcci a questo problema. Alcuni approcci di tipo generale (come quello proposto da Vygotskij nel capitolo VI di "Pensiero e linguaggio") riguardano la natura diversa dei "concetti comuni" e dei "concetti scientifici", in particolare quanto ad esplicitazione e sistematicità o meno del sapere a cui sono riferiti. Altri approcci, che riguardano espressamente le competenze matematiche elementari, fanno riferimento al fatto che la "matematica della strada" è una matematica prevalentemente mentale e orale, mentre la matematica praticata in classe è prevalentemente una matematica scritta ( Carraher, T.. Carraher, W., Schliemann, A.. Altri ricercatori ancora prendono in considerazione il fatto che il problema che si incontra fuori della scuola è un problema senza dimensioni didattiche, non proposto con scopi di apprendimento, mentre il problema proposto in classe è carico di intenzioni didattiche da parte dell'insegnante che lo propone (Brousseau, 1986), e il rapporto che si crea tra insegnante e allievo ("contratto didattico") condiziona fortemente il modo di risolverlo, di selezionare i tratti salienti della risoluzione da ricordare, ecc.

A nostro avviso sarebbe opportuno distinguere tra vari livelli e vari ambiti in cui si manifesta il conflitto tra sapere matematico scolastico e sapere matematico contestualizzato nelle pratiche sociali extrascolastiche: è vero che le strategie di calcolo a mente della sottrazione non sono le stesse che si usano nel calcolo scritto standard, ma questa differenza è di natura diversa da quella che riguarda, in campo geometrico, il rapporto tra dimostrazione matematica e verifica empirica di un enunciato, e da quella che riguarda, sempre in campo geometrico, la "commensurabilità" empirica e la "incommensurabilità" 'matematica' della diagonale con il lato del quadrato. Per questi ultimi aspetti, vedi § 5.

Un ulteriore problema inerente le attività in campi di esperienza della vita di tutti i giorni riguarda la possibilità che gli alunni vivano in modo "realistico" le situazioni problematiche relative ai "campi di esperienza" della vita extrascolastica che stiamo considerando (cfr. osservazioni critiche in Sierpinska, 1994 Verstappen, 1994). Senza escludere che particolari situazioni problematriche "realistiche" possano fortemente coinvolgere degli studenti dei primi anni delle scuole secondarie superiori, sembra molto più facile realizzare il coinvolgimento con alunni della scuola primaria. Inoltre pensiamo che occorra tener conto del fatto che per gli studenti dei primi anni delle scuole secondarie superiori taluni "campi di esperienza" della matematica possono assumere pienamente il carattere di ambiti esperienziali famigliari agli alunni e offrire la possibilita di svolgere impegnative attivita matematiche assai stimolanti per loro.

4. Matematica e concezione "scientifica" dei fenomeni naturali e sociali

In questo caso ci interessa il ruolo svolto dalla matematica nella costruzione di interpretazioni scientifiche dei fenomeni naturali e sociali, che fanno parte della visione del mondo che la cultura moderna ha via via elaborato e deve cercare di trasmettere attraverso la scuola alle nuove generazioni. In tale prospettiva l'insegnante può proporre in classe esperienze, significative per la storia della cultura, di modellizzazione matematica dei fenomeni (ad esempio, la trasmissione dei caratteri ereditari, o le ombre del sole ). Notiamo che, a differenza di quanto visto al punto 3, questa volta l'esperienza extrascolastica non può sostituirsi agli apprendimenti scolastici nemmeno a livello operativo-implicito, per quanto riguarda la risoluzione dei problemi con gli strumenti della matematica. In molti casi accade inoltre che in classe l'insegnante debba contrastare le concezioni maturate dall'alunno nel suo ambiente o nella sua storia personale.

Parlando in questi termini, si afferma il compito per la scuola di trasmettere alle nuove generazioni una particolare visione di fenomeni riguardanti la realtà naturale e sociale, che può essere in conflitto con altre visioni diffuse nella realtà sociale in cui si vive o in altre civiltà.

La legittimità di questo compito non è indiscutibile: la modellizzazione matematica dei fenomeni per sua natura valorizza un particolare "modo di guardare" il mondo (quello che si basa sullo studio delle relazioni quantitative tra le grandezze misurabili) e tende a sottolineare taluni aspetti dei fenomeni a scapito di altri (gli aspetti non matematizzabili o non ancora matematizzati). Si tratta quindi di una scelta non neutra rispetto ai sistemi di valori e alle culture del passato e del presente, scelta che pone non pochi problemi se si è convinti che non c'è una "verità superiore" che si esprime in un più elevato livello di matematizzazione, ma ci sono "verità" diverse costruite ed espresse con strumenti culturali diversi. E occorre qui ricordare che all'interno stesso delle scienze, il dibattito recente (a proposito di "fenomeni complessi", di non riducibilità del "complesso" a somma di componenti "semplici", ecc. - cfr. Prigogyne, Thom, ecc.) pone dei dubbi seri sulla legittimità scientifica di operazioni culturali totalizzanti, in cui la matematizzazione delle relazioni tra le variabili misurabili costituisce il paradigma della verità scientifica.

A nostro avviso però il problema del rispetto della diversità culturale nella formazione culturale delle nuove generazioni si risolve non rinunciando alla trasmissione della cultura scientifica e nemmeno rinunciando ad esperienze significative di matematizzazione dei fenomeni naturali e sociali, ma affiancando a un più incisivo curriculum di matematizzazione (che fornisce la necessaria conoscenza su un modo - o, se possibile, più modi - di usare la matematica per conoscere il mondo) un potenziamento della formazione in campo storico, filosofico e antropologico. Per quanto possiamo constatare nelle classi, fin dall'età di 10-11 anni all'interno stesso della formazione matematica e scientifica è possibile introdurre elementi di riflessione sulle dimensioni storica, epistemologica e culturale generale di quello che si sta facendo  (cfr. Sibilla,1989; Boero & Garuti, 1994; cfr. anche Bartolini Bussi,1994)

4.1. Ciò premesso, dalle nostre ricerche (Boero, 1989b; Garuti & Boero, 1992; Garuti & Boero, 1994; Scali, 1994) emerge:

− la rilevanza dei "principi" generali e delle specifiche "concezioni del fenomeno", tra le risorse a cui gli alunni attingono, e come parte del loro modo di pensare; in particolare abbiamo rilevato che a volte il ricorso alle concezioni ed ai principi funge da supporto per la modellizzazione matematica dei fenomeni, altre volte invece dà luogo ad ostacoli in tal senso, altre volte ancora gioca un ruolo ambiguo, suggerendo all'insegnante e all'alunno possibili collegamenti tra concezione e modello matematico ma al tempo stesso consolidando concezioni non "scientifiche" del fenomeno studiato.

I due campi di esperienza nei quali abbiamo svolto indagini più approfondite su questa problematica sono quello delle ombre del sole (tra gli 8 ed i 13 anni) e quello della trasmissione dei caratteri ereditari (a 12-13 anni).

In particolare, abbiamo costruito (per quanto riguarda le ombre del sole) situazioni che consentono alle diverse concezioni di venire alla luce sia con allievi che hanno già svolto estese attività di geometrizzazione del fenomeno, sia con allievi che non le hanno mai svolte.

Abbiamo così classificato varie concezioni: ombra come appendice della persona, ombra come "doppio" della persona, ombra come intersezione dello spazio d'ombra con una superficie, ombra come effetto della forza del sole.... La distribuzione percentuale di queste concezioni e il modo in cui esse si manifestano (più o meno intrecciate tra loro, più o meno "rivestite di abiti geometrici") dipendono fortemente dalle attività svolte precedentemente a scuola nel campo di esperienza delle ombre. Invece i cambiamenti dipendenti dall'etá sembrano non sembrano altrettanto rilevanti.

Per quanto riguarda la trasmissione dei caratteri ereditari, alcune "costanti" che troviamo all'inizio dell'attività (e che ritroviamo anche in seguito, dopo lo svolgimento delle attività relative alla modellizzazione probabilistica del fenomeno) riguardano il mescolamento dei caratteri come concezione su come avviene il fenomeno ("i figli hanno caratteristiche intermedie tra quelle dei genitori, e se ereditano qualcosa dal padre, ereditano anche qualcosa dalla madre, e in tutto sono come a metà strada tra padre e madre"), e il fatalismo o la colpa come principi per spiegare il perchè avviene la trasmissione di caratteristiche negative (in particolare, nel caso delle malattie ereditarie).

− l'importanza dei sistemi di segni introdotti dall'insegnante al fine di realizzare il passaggio ad una concezione scientifica dei fenomeni.

Un esempio significativo in questo senso ci sembra quello delle rette che rappresentano raggi di luce nel passaggio dalle concezioni iniziali degli alunni alla modellizzazione geometrica del fenomeno delle ombre.

A 9-10 come a 11-12 anni il modello geometrico dello "schema dell'ombra" (opportunamente introdotto dall'insegnante nel vivo di una discussione sul fenomeno delle ombre, oppure valorizzato se qualche alunno lo propone) ha un effetto decisivo per fare stabilmente regredire la concezione del "sole più alto, sole più forte- ombra più lunga", che altrimenti riaffiora frequentemente a distanza di tempo anche dopo ripetute osservazioni del fenomeno. L'introduzione dello "schema dell'ombra" sembra anche modificare il modo di pensare al rapporto tra altezza del sole e lunghezza delle ombre proiettate: dalla constatazione che " il sole è basso e le ombre sono lunghe" si passa (dopo l'introduzione dello "schema dell'ombra") a testi del tipo: "se il sole è basso l'ombra è lunga" o anche: " l'ombra è lunga perché il sole è basso"

4.2. A queste evidenze sperimentali si collegano i seguenti problemi di ricerca:

− quale è la natura e quali sono le origini delle concezioni e dei principi manifestati dagli alunni:?

In alcuni casi, essi sembrano radicati nella cultura extrascolastica (visione fatalistica delle malattie ereditarie), in altri casi sembrano invece corrispondere a tappe evolutive personali nel modo di pensare (dipendenza dell'ombra dalla forza del sole), in altri ancora, a principi generali di funzionamento del nostro rapporto intellettuale con il mondo (principio di continuità o principio di simmetria);

− é opportuno che l'insegnante di matematica stabilisca rapporti con la cultura degli alunni? E se sì, come?

La questione è delicata in particolare per quanto riguarda i loro principi e le loro concezioni nel caso in cui esse si manifestano come "ostacoli"; per le ragioni viste all'inizio, questo problema è importante e delicato non solo sul terreno cognitivo e didattico, ma anche sul terreno culturale (rispetto della diversità culturale, rapporti con visioni del mondo che non si uniformano al principio della "matematizzazione" come via privilegiata per la conoscenza e l'interpretazione dei fenomeni).

Qualche commento a proposito di questi due problemi.

Sul terreno cognitivo, le concezioni e i principi degli alunni costituiscono un oggetto esplorato nelle ricerche di psicologia di questo secolo con ipotesi diverse. Può essere ricordato qui lo studio di Piaget sulle rappresentazioni mentali dei bambini e l'analisi critica che Vygotskij conduce a proposito della teoria di Piaget sulle specificità del pensiero infantile, e l'ipotesi di Vygotskij a proposito dell'intreccio continuo che si realizzerebbe tra "concetti comuni" e "concetti scientifici" in particolare dal momento in cui la scuola interviene per "insegnare scienza".

Nelle nostre indagini sulle concezioni degli alunni nella fascia di età tra 8 e 12 anni a proposito del fenomeno delle ombre del sole, ci sembra di avere incontrato concezioni che per ragioni intrinseche si integrano bene con il lavoro di modellizzazione geometrica ed evolvono nel tempo con esso (come la concezione dell'ombra-appendice che si appoggia alle superfici su cui è visibile), e concezioni (presenti in proporzioni non molto dissimili a 8 anni come a 11 annni) che invece regrediscono (pur restando presenti sullo sfondo, a volte collegate a "principi" più generali), come la concezione della dipendenza della lunghezza dell'ombra dalla forza del sole (in genere, queste concezioni che regrediscono sono quelle che entrano in chiaro conflitto sia con i dati sperimentali che con la modellizzazione geometrica).

La situazione appare ancora più complessa nel caso della trasmissione dei caratteri ereditari, in cui principi e concezioni profonde (di tipo fatalistico - o di tipo "miscuglio di caratteri") riaffiorano a distanza di tempo e si intrecciano variamente con le concezioni apprese, esprimendo talvolta un bisogno di collegamento con l'esperienza comune (nell'esperienza comune le caratteristiche ereditarie dipendono da molti geni, e quindi il mescolamento secondo le leggi della statistica è la situazione più frequente!), talvolta una ricerca di spiegazione per fatti che colpiscono l'immaginazione e la sfera affettiva (malattie ereditarie).

Di fronte a questi comportamenti, le scelte didattiche sono molto difficili sia perchè investono il problema della formazione culturale nella sua interezza, sia perchè non è chiaro quali possano essere le conseguenze a lungo termine di un insegnamento scientifico che forzi gli alunni ad abbandonare (o trasformare radicalmente) le loro concezioni e i loro principi: in certi casi, abbiamo l'impressione che un precoce o malaccorto intervento sulle concezioni e sui principi degli alunni possa minare le radici del loro pensiero e in particolare limitare lo sviluppo delle loro capacità di ideazione e di argomentazione.

− scelta delle circostanze e dei modi con cui l'insegnante può realizzare la mediazione dei sistemi di segni della matematica, evitando la formazione di stereotipi che si sostituiscono ai fenomeni.

In effetti, se è vero che i segni della matematica consentono un salto di qualità nella padronanza dei fenomeni sottoposti a studio, è anche vero che a volte il ragionamento sui segni introdotti si sostituisce al ragionamento sul fenomeno.

Consideriamo in proposito l'esempio dello "schema dell'ombra".

Come visto in precedenza, l'utilità dello strumento è notevole se si vogliono capire le relazioni tra altezza del sole e lunghezza dell'ombra proiettata e anche se si vogliono indagare le relazioni tra altezza degli oggetti e lunghezza delle ombre proiettate (creando un "ponte" interessante con il teorema di Talete: cfr. Garuti e Boero, 1992, Boero & Garuti, 1994).

Però succede che di fronte al problema di stabilire se alla stessa ora l'ombra di due chiodi di altezza uguale, verticali, su due tavolette orizzontali è la stessa nel cortile della scuola e sul tetto dell'edificio scolastico, quasi la metà degli alunni (grade V, con una estesa attività di studio del fenomeno delle ombre alle spalle) risponde che l'ombra è più lunga sul tetto, con motivazioni geometriche del tipo di quella rappresentata sotto (cfr. Scali, 1994).

5. Matematica come esperienza culturale specializzata ed esplicita

In questo paragrafo consideriamo la matematica come parte della cultura scientifica di oggi, in quanto attività specializzata del gruppo dei matematici (in particolare, dei matematici "puri") e componente della formazione culturale di base dei quadri intellettuali della società moderna. In questo senso la matematica offre alcuni dei modelli di ragionamento a cui si riferiscono le persone convenzionalmente colte ("rigore matematico"), e alcune delle idee attorno a cui si organizza la riflessione sull'esperienza intellettuale ("infinito").

A differenza dei paragrafi 3 e 4, non ci interessa qui la matematica come strumento di conoscenza e di intervento in fenomeni e problemi non matematici, ma la sua natura di scienza autonoma, con le caratteristiche che oggi la contraddistinguono. Sotto tale aspetto, ci interessa sia la matematica insegnata nelle scuole secondarie della maggior parte dei Paesi con scopi formativi non direttamente collegati alle applicazioni, che la matematica come fenomeno culturale evolutivo (oggetto di ricerche e di scoperte, di sistemazioni via via diverse, ecc.).

Per il costituirsi in classe di un campo di esperienza della matematica l'insegnante deve introdurre elementi di una cultura scientifica (diversa dalla cultura comune) per tutti quegli aspetti che la qualificano in termini di "specializzazione culturale" (a volte con rotture epistemologiche rispetto alla cultura comune: cfr. Balacheff, 1988). Gli enunciati matematici hanno una forma specifica, la dimostrazione matematica è una forma specifica di argomentazione, alcuni concetti matematici (come il concetto di infinito, o il concetto di numero irrazionale) sono lontani dall'esperienza di uso operativo degli strumenti matematici.

Come possono gli allievi della scuola dell'obbligo cominciare ad appropriarsi di questi aspetti specifici della matematica?

5.1. Nei nostri progetti l'insegnante preliminarmente costruisce, nei campi di esperienza del mondo reale, le basi concettuali e argomentative per le attività nei campi di esperienza della matematica (cfr. paragrafi 3, 4, 6). Successivamente l'insegnante crea e gestisce situazioni didattiche in cui gli alunni devono svolgere attività costruttive (di formulazione di congetture, di dimostrazione, di riflessione...) riguardanti gli "oggetti" matematici in quanto tali (peraltro già posseduti dagli alunni come "strumenti).

Gli studi da noi condotti (che riguardano soprattutto i primi approcci alla matematica in quanto scienza autonoma), in accordo con la letteratura sull'argomento, mostrano che, nel corso di tali attività:

− il riferimento esplicito a formulazioni di problemi o a risultati attribuiti a personaggi storici favorisce il distanziamento dal proprio lavoro intellettuale e la formulazione generale e sintetica dei risultati di esso (Boero & Garuti, 1994; cfr. anche Bartolini Bussi, 1994 ).

In particolare, ci sembra interessante la seguente esperienza, condotta con allievi del grade VII: dopo aver svolto una lunga e impegnativa attività sui problemi di proporzionalità riguardanti attività di modellizzazione geometrica del fenomeno delle ombre e delle regolarità antropometriche, l'insegnante presenta l'aneddoto di Talete sulla determinazione dell'altezza della Piramide. La successiva richiesta di immedesimarsi nel personaggio-Talete e di formulare un testamento sulle scoperte fatte da lasciare ai posteri conduce gli alunni alla produzione di molti testi che presentano due caratteristiche assai interessanti:

* ricostruzione e sintesi del lavoro svolto dagli alunni;

* formulazione in forma generale e talvolta anche "astratta" e "condizionale" di enunciati vicini alle diverse formulazioni che del teorema di Talete vengono fornite nei libri di testo

− il confronto tra i testi prodotti dagli alunni e i testi matematici ufficiali (ad esempio, contenuti nei manuali) induce molti alunni a riformulare i loro testi o i testi-modello in modo da avvicinarli tra loro ( Boero & Garuti, 1994). In effetti, sempre con riferimento all'esempio precedente abbiamo osservato che quando (dopo la produzione dei "testamenti") sono state presentati in classe diversi enunciati del teorema di Talete tratti dai libri di testo, parecchi alunni hanno cercato di ricondurre il testo da loro prodotto al modello presentato (scegliendo per questa operazione il testo "ufficiale" effettivamente più vicino al loro), altri invece hanno cercato di trasformare l'enunciato ufficiale, riconosciuto più simile al loro, in modo da dimostrare la sua affinità con il loro testo.

5.2. Problemi di ricerca:

− fin dove l'insegnante può spingere l'attività costruttiva (individuale e sociale) degli alunni, a che punto deve invece proporre modelli culturali estranei alla classe?

La risposta a questa domanda non è facile; essa sembra dipendere da molti elementi (tra i quali: età ed esperienza culturale dell'alunno, "contratto didattico" che si è stabilito nella classe, settori della matematica e, soprattutto, tipo di prestazioni richieste).

− quali sono le potenzialità e i meccanismi cognitivi coinvolti nell'uso diretto delle fonti storiche (personaggi, testi...) sia nella fase di produzione matematica da parte degli allievi, che nella fase di confronto con modelli culturali "ufficiali"?

Sulla base delle esperienze e delle osservazioni con alunni molto giovani condotte da noi e da altri (cfr. Boero & Garuti, 1994; Bartolini Bussi, 1994; Grugnetti, 1989) ci sembra che l'uso diretto delle fonti storiche in classe possa essere efficace per vari motivi: distanziamento temporale che favorisce il distanziamento culturale, il confronto e la riflessione sugli argomenti matematici su cui vertono le fonti storiche; meccanismi affettivi connessi con la ricerca di identità, attivati da consegne che evocano il "risalire alle origini"; disponibilità di formulazioni dei problemi e delle loro risoluzioni espresse con un linguaggio diverso da quello attuale (formalismi diversi, oppure più diretto collegamento lessicale con l'esperienza comune, ecc.);

− come preparare il terreno culturale, (e come in esso creare e gestire situazioni adatte) per l'emergere di ostacoli epistemologici? La presa in considerazione di tali ostacoli da parte degli alunni appare una tappa obbligata nell'evoluzione della loro cultura matematica e della loro capacità di fare matematica.

− quali sono i prerequisiti necessari per un approccio produttivo degli alunni all'esperienza culturale della matematica, e i modi per costruirli? Per i prerequisiti specifici inerenti i concetti e le abilità matematiche, sembra sufficiente la padronanza di essi come "strumenti" per affrontare situazioni problematiche ben contestualizzate.

Sembrano però necessari anche livelli di conseguenzialità logica, generalizzazione, riflessione più elevati di quelli posseduti da molti alunni. In proposito abbiamo notato che già a 10-11 anni gli alunni manifestano potenzialità notevoli per quanto riguarda le competenze di riflessione e argomentazione logica necessarie per le attività nei campi di esperienza della matematica. Tali potenzialità risultano però più o meno sviluppate in relazione all'estrazione socioculturale degli alunni.

In base alle nostre esperienze, è possibile che le attività negli out-of-school experience fields, opportunamente gestite dall'insegnante, possano contribuire a sviluppare capacità linguistiche e di riflessione in tutti gli alunni; in particolare, ci sembra che nel caso delle situazioni discusse nella sezione 4 i problemi di conflitto ed evoluzione delle concezioni e dei principi degli allievi possano favorire lo sviluppo del pensiero riflessivo.

6. Collegamenti tra i vari aspetti del rapporto tra matematica e cultura

Si può per prima cosa rilevare che, in termini evolutivi e funzionali, i tre tipi di relazioni tra matematica e cultura nella scuola dell'obbligo descritti nei paragrafi 3,4 e 5 non sono separati, ma possono (e, a nostro avviso, devono) essere collegati, in certi casi anche all'interno di uno stesso campo di esperienza. Ad esempio, con riferimento ai paragrafi 4 e 5, nel campo di esperienza delle "ombre del sole" molti alunni possono superare o modificare le loro concezioni iniziali non geometriche del fenomeno delle ombre attraverso la schematizzazione geometrica di esso. Tale schematizzazione può essere successivamente utilizzata dagli alunni per affrontare problemi "concreti" nello stesso campo di esperienza (come la determinazione di altezze inaccessibili a misura diretta: vedi Garuti & Boero, 1992), e in senso teorico, nella costruzione del campo di esperienza della "geometria razionale" (Boero & Garuti, 1994).

Con una opportuna progettazione didattica il lavoro nei campi di esperienza della vita reale può dunque fornire concetti (in genere costruiti come "strumenti") e abilità necessarie per il lavoro nei campi di esperienza della matematica. D'altra parte le attività in questi campi di esperienza sono basate su forme di ragionamento che appaiono radicate nell'esperienza non matematica e nell'esperienza di matematizzazione. In particolare Boero, Ferrari, Ferrero & Shapiro, 1994 mettono in evidenza come tra il grade I e il grade VIII certi campi di esperienza relativi alla realtà extrascolastica offrono "risorse" per sviluppare in classe un iniziale "gioco delle ipotesi" che gradualmente conduce alla padronanza culturale del campo (secondo i modelli interpretativi propri delle diverse scienze) e insieme consente agli alunni di passare ad una più complessa e impegnativa produzione di ipotesi (congetture, interpretazioni, giustificazioni...) nello stesso campo di esperienza o in campi di esperienza diversi (compresi i campi di esperienza della matematica).

Con riferimento al contesto esterno, al contesto interno dell'alunno e al contesto interno dell'insegnante, il lavoro in un campo di esperienza della vita reale consente all'insegnante di appoggiarsi ai vincoli e alle risorse extrascolastiche del contesto esterno e alle strategie cognitive e ai modi di pensare del contesto interno dell'alunno (collegati all'esperienza extrascolastica) per introdurre (o sviluppare) segni, procedure e concetti matematici funzionali alla risoluzione di problemi che traggono il loro senso e la loro legittimazione dall'esperienza extrascolastica. A poco a poco, l'insegnante (attraverso varie attività in classe: dalla spiegazione frontale alla discussione, al confronto tra gli elaborati prodotti dagli alunni) fornisce i primi elementi del contesto esterno di un campo di esperienza della matematica (ad esempio: la geometria) e guida l'alunno nella costruzione dei primi elementi del contesto interno di esso. Per tale costruzione l'alunno può utilizzare i segni introdotti dall'insegnante durante le attività di problem solving relative al campo di esperienza della vita reale e può appoggiarsi all'esplicitazione e alla riflessione sui concetti e sulle procedure matematiche utilizzati in tali attività come "strumenti" (che devono diventare "oggetti" nelle attività relative al "campo di esperienza" della matematica: transizione da un frame extramatematico a un frame matematico - cfr. Douady,1985).

L'introduzione di fonti storiche, testi ufficiali, ecc. può ulteriormente favorire il processo di costruzione e identificazione di un campo di esperienza della matematica.

Un aspetto notevole delle attività negli out-of-school experience fields riguarda la possibilità di sviluppare dinamiche di costruzione sociale del sapere nella classe grazie al fatto che i contesti interni degli allievi e il contesto interno dell'insegnante possono entrare in immediata risonanza su argomenti che fanno parte dell'esperienza comune. Tutto questo può anche favorire il crearsi di un clima favorevole alla discussione produttiva delle strategie e degli oggetti matematici implicati nelle attività.

Ancora a proposito della transizione dai campi di esperienza della vita extrascolastica ai campi di esperienza della matematica, vorremmo segnalare un tema di ricerca che ci sembra interessante. Con riferimento a Sfard, 1991, nelle attività svolte nei contesti "reali" abbiamo registrato spesso la trasformazione di "processi" in "oggetti matematici". Riteniamo che sarebbe opportuno condurre indagini approfondite su questo fenomeno in quanto da esso può dipendere un passaggio naturale dalle attività in contesti "reali", agli oggetti su cui verte il lavoro matematico.

Un ulteriore tema di ricerca, connesso ai legami tra i tre tipi di relazioni tra matematica e cultura che abbiamo considerato nei paragrafi 3, 4 e 5, riguarda lo studio del funzionamento cognitivo dell'insegnamento tradizionale della matematica, che è il più diffuso nel mondo, soprattutto per i livelli scolari più avanzati, nonostante la sua scarsa popolarità tra i ricercatori in didattica della matematica! In esso i "campi di esperienza" della matematica sono costruiti in classe attraverso l'esposizione da parte dell'insegnante di definizioni, regole, teoremi e l'esecuzione di esercizi da parte degli allievi (secondo modelli appresi dall'insegnante); il rapporto con i "campi di esperienza" della vita extrascolastica viene realizzato soltanto attraverso alcune applicazioni degli strumenti matematici così appresi.

Si tratta di un insegnamento efficace per alcuni alunni, se è vero che attraverso esso si è formata la maggior parte dei quadri intellettuali della società in questi ultimi secoli, compresi gli specialisti che hanno sviluppato le diverse scienze fino ai livelli che oggi conosciamo. D'altra parte, sono anche noti i suoi limiti: esso ha un tasso di selezione molto elevato e fornisce conoscenze che restano "inerti" per la maggior parte degli alunni (incapaci di utilizzarle per risolvere problemi non standard, in particolare nelle situazioni problematiche del momdo reale).

Una indagine sul funzionamento cognitivo dell'insegnamento "tradizionale" della matematica potrebbe essere molto utile per le seguenti ragioni:

− potrebbe consentire di capire come l'allievo può attribuire significati a un segno, a una definizione, a una teoria esposte dall'insegnante, e quali condizioni devono verificarsi affinchè ciò avvenga;

− per contrasto, potrebbe contribuire a chiarire le potenzialità e i limiti delle impostazioni "costruttivistiche" dell'insegnamento della matematica, che oggi godono del favore prevalente tra gli esperti di educazione matematica (mathematics educators);

− potrebbe porre le basi per una integrazione consapevole da parte dell'insegnante tra attività didattiche che impegnano gli alunni nella costruzione di concetti e abilità matematiche di base, e attività didattiche finalizzate all'appropriazione di concetti e tecniche esposte dall'insegnante.

A nostro avviso, alcuni quadri teorici "classici" nel campo della psicologia dell'apprendimento possono offrire a queste indagini i necessari strumenti di base. Ci riferiamo in particolare all'analisi che Vygotskij conduce sul rapporto tra insegnamento dei concetti scientifici e concetti comuni dell'allievo (in particolare per quanto riguarda l'uso cognitivo che il soggetto è in grado di fare degli strumenti e delle tecniche proposte in forma sistematica ed esplicita dall'insegnante); e ai lavori di Ausubel sull'"apprendimento significativo"("per ricezione" e "per scoperta").

7. Ulteriori osservazioni sul ruolo dell'insegnante in classe: il contratto didattico

Nei punti precedenti abbiamo messo in evidenza il diverso ruolo dell'insegnante riguardo ai diversi rapporti tra matematica e cultura che si instaurano nei casi da noi considerati:

− nel lavoro in "campi di esperienza" come quello degli scambi economici elementari (punto 3.) l'insegnante svolge il ruolo di "secondatore" di convenzioni e pratiche già almeno embrionalmente presenti nell'esperienza dell'alunno (o almeno presenti nella cultura del suo ambiente di origine);

− in altri "campi di esperienza" come quello della trasmissione dei caratteri ereditari (punto 4.) l'insegnante deve necessariamente svolgere il ruolo di "contestatore" di modi di pensare ingenui o non "scientifici" presenti tra gli alunni e spesso anche nel loro ambiente di provenienza, nella forma più impegnativa (un contestatore che dialoga con tali modi di pensare perchè non si può permettere di ignorarli e perchè in taluni di essi sono embrionalmente presenti anche elementi che possono sostenere la transizione ad una concezione "scientifica" dei fenomeni considerati);

− nel caso dei campi di esperienza della matematica (punto 5.), l'insegnante deve svolgere il ruolo di "testimone della cultura matematica" che in particolare via via deve offrire agli allievi elementi di raffronto (esterni all'esperienza maturata nella classe) con le produzioni matematiche sollecitate in loro e strumenti di rappresentazione di tali produzioni al fine di farle evolvere e convergere verso la cultura matematica ufficiale.

Nella nostra esperienza di progettazione curriculare e di sperimentazione di progetti per l'insegnamento della matematica nella scuola dell'obbligo (6/16 anni) questa complessità del ruolo dell'insegnante risulta essere uno dei punti più delicati; esso richiede in particolare da parte dell'insegnante la consapevolezza delle implicazioni epistemologiche, cognitive e didattiche delle sue scelte riguardanti i rapporti tra matematica e cultura. Le problematiche epistemologiche e cognitive sono già state oggetto di analisi ai punti precedenti; per quanto riguarda gli aspetti didattici vorremmo sottolineare che alle difficoltà inerenti il "mestiere di insegnante" corrispondono difficoltà da parte degli alunni nell'esercizio del loro "mestiere di alunni", in particolare per quanto riguarda il far fronte da parte loro al contratto didattico e ai suoi mutamenti conseguenti al diverso ruolo assunto dall'insegnante.

Su questa problematica appare necessario un approfondimento. In particolare ci sembrerebbero utili indagini accurate riguardanti il grado di consapevolezza a cui è possibile condurre gli allievi delle diverse età su quanto si pretende da loro di volta in volta, e i modi per realizzare tale consapevolezza. Abbiamo il sospetto (e la speranza!) che già ad 11- 12 anni, in situazioni di classe favorevoli dal punto di vista dei prerequisiti concernenti l'argomentazione e la riflessione, sia possibile per la maggior parte degli alunni raggiungere i primi livelli di consapevolezza per quanto riguarda le caratteristiche di un ragionamento corretto inerente la modellizzazione della realtà (coerenza con i fatti e i dati sperimentali, coerenza logica interna), per quanto riguarda i limiti di validità di un modelloo matematico nei confronti della realtà modellizzata, per quanto riguarda la distinzione tra verità empirica e realtà matematica in casi specifici, come quello dell'incommensurabilità tra lato e diagonale del quadrato.

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