Funzioni numeriche e calcolo algebrico - Sintesi

  0. Premessa
  1. Il concetto di funzione
  2. Le funzioni ad 1 input e 1 output numerici
  3. Le funzioni continue
  4. I limiti
  5. Proprietà utili per il calcolo dei limiti
  6. Il calcolo algebrico
  7. I sistemi di equazioni
  8. Esercizi

0. Premessa

In questa scheda riassumiamo brevemente l'introduzione al concetto di funzione e le prime riflessioni sul calcolo algebrico.

1. Il concetto di funzione

    Tra gli oggetti matematici che abbiamo trattato in questo corso, le funzioni hanno un ruolo di particolare importanza. Una funzione F, per dirla molto in breve, è un modo per associare ad un input appartenente ad un insieme I (consistente in una qualche collezione di oggetti matematici)  o  un unico output appartenente ad un insieme O (che, a sua volta, è una qualche collezione di oggetti matematici)  o  nessun output.  L'eventuale output di un input a viene indicato F(a).  L'insieme degli input a cui la funzione associa un output viene chiamato dominio della funzione.  Se A è un insieme di input, l'insieme degli output corrispondenti viene chiamato insieme immagine di A mediante F, e indicato F(A). 

    Consideriamo cinque esempi molto semplici:

F: x → − x,G: (x,y) → (minimo tra x e y, massimo tra x e y),
H: (x,y) → x / y,    K: regione → capoluogo
Q: (a,b) →  "grafico di x → x² al variare di x tra a e b"

    F associa ad un numero la sua negazione: F(5) = −5, F(−3) = 3, F(0) = 0. Ha come dominio e come immagine l'insieme di tutti i numeri reali.
    G associa ad una coppia di numeri la corrispondente coppia ordinata: G(1, 2.7) = (1, 2.7), G(5, −2) = (−2, 5). Ha sia come dominio che come immagine l'insieme di tutte le coppie di numeri reali.
    H associa ad una coppia di numeri il loro rapporto: G(3,2) = 1.5, G(−2,4) = −0.5. Ma alla coppia (7,0) non posso associare un output: non posso calcolare 7 / 0.  H, mentre ha come immagine tutti i numeri reali, ha come dominio tutte coppie di numeri reali il cui secondo elemento non è 0.
    K e Q, a differenza delle precedenti funzioni, non hanno input e output entrambi numerici.

    K (supponendo di limitarsi all'Italia) ha come dominio tutte le regioni italiane e come immagine tutti i capoluoghi di regione.
    Q ha, invece, come input una coppia di numeri e come output il grafico (tracciato con un particolare programma per computer) di una funzione numerica fissata (quella che ad x associa x² ) nell'intervallo che ha quei numeri come estremi.

    Nel seguito della scheda ci occuperemo delle funzioni ad 1 input e 1 output numerici.

   

 
2. Le funzioni ad 1 input e 1 output numerici

    Nei casi sotto illustrati (B) e (C) sono funzioni ad 1 input ed 1 output numerici,  x → x²  e  x → √x.  (A) invece non è una funzione:  ci sono frecce che partono dallo stesso x ed arrivano ad y diversi.  (C) è una funzione iniettiva, ossia ogni y può provenire da un solo x, mentre (B) non lo è: sia 1 che − 1 (o, ad esempio, √2 e −√2) hanno lo stesso output.
    Sia x → x²  che  x → √x  hanno come insieme immagine l'intervallo [0,∞), ma mentre la prima ha come dominio (−∞,∞) la seconda ha come dominio solo [0,∞).

    Se agli output di una funzione f si applica un'altra funzione g il risultato è una nuova funzione h.  A fianco è illustrato il caso in cui f e g siano xx·2 e xx·3. Componendo f e g ottengo la funzione xx·6.  In altre parole: ingrandire con scala 2 e poi ingrandire con scala 3 equivale a ingrandire con scala 6.  h(x) = g(f(x)), per cui h può essere indicata g(f(.)).
    È interpretabile come una composizione di funzioni anche l'applicazione di due successive variazioni percentuali:
  
un aumento del 10% e uno successivo del 20% equivalgono a  x → x·(1+10%)  e a  x → x·(1+20%), ossia complessivamente a  x → x·(1+10%)·(1+20%) = x·1.1·1.2 = x·1.32:  un aumento del 32% (non del 30%).

    Quando, sia applicando prima f e poi g, sia, viceversa, applicando prima g e poi f, si riottiene l'input dato alla prima funzione, come nel caso a fianco, si dice che f e g sono funzioni una inversa dell'altra:  raddoppiare e poi dimezzare o, viceversa, dimezzare e poi raddoppiare ha, comunque, come risultato il numero di partenza.
    Anche l'elevamento al quadrato - funzione rappresentata in (B) - e l'estrazione della radice quadrata - rappresentata in (C) - sono una l'inversa dell'altra. Ma l'elevamento al quadrato deve essere ristretto agli input maggiori o eguali a zero, in modo da ottenere una funzione iniettiva.
   
    La funzione inversa di un aumento del 20%,  x → x·(1+20/100),  non è una riduzione del 20%:
 
    
se aumento 1000 del 20% ottengo 1200 e se questo valore lo riduco del 20% ottenego 1200·(1−20/100) = 1200·0.8 = 960 ≠ 1000.  Infatti la funzione inversa di  x → x·(1+20/100)  è  x → x·1/(1+20/100) = x·0.8333…, ossia una riduzione di circa il 17%.
    Una funzione iniettiva e la sua inversa hanno i grafici simmetrici rispetto alla bisettrice del 1º quadrante:  ad ogni punto (p, q) del grafico della prima corrisponde il punto (q, p) del grafico della seconda.
    A sinistra sono rappresentati il grafico di x → x² (ristretto agli input maggiori o eguali a zero) e quello di x → √x.

    Osserva i grafici seguenti, in cui gli assi tracciati si incrociano in (0,0) e le divisioni orizzontali e verticali della griglia sono ampie 1.  Cerca di capire perché B, D, E ed F sono iniettive e perché A e C non lo sono.  Nel caso di A due input che hanno lo stesso output sono, ad esempio, 1 e −1; quanto vale l'output?  Nel caso di C due input che hanno lo stesso output sono, ad esempio, 2 e −2; quanto vale l'output?

    Le funzioni rappresentate in B ed E sono crescenti:  a due input x1 e x2 con x1 < x2 associano due output y1 e y2 con y1 < y2.  Quella rappresentata in D è decrescente:  a due input x1 e x2 con x1 < x2 associa due output y1 e y2 con y1 > y2.  In C la funzione è decrescente in (−∞,0] e crescente in [0,∞).  La funzione in A per input minori o eguali a −2 è decrescente; lo è pure in [0,2]; in [−2,0] e per input maggiori o eguali a 2 cresce.  La funzione in F decresce in (−∞,0) e decresce in (0,∞), ma non decresce nell'intero dominio, R−{0}, in quanto, ad esempio, ad 1 è associato un output maggiore di quello associato a −1.

    Ecco come alcune modifiche nella definizione di una funzione producono delle trasformazioni geometriche del suo grafico.

•  In (A) come dal grafico di F(x) = x² si ottengono quelli di  G(x) = F(x)+3,  H(x) = F(x−2),  K(x) = F(x−2)+3.
•  In (B) come dal grafico di  x → 1/x  si ottiene quello di  x → 1/(x−3) + 2.
•  In (C) come dal grafico di T(x) = (x−2)²  1 si ottengono quelli di  U(x) = −T(x),  V(x) = 0.5·T(x).

3. Le funzioni continue

    Le funzioni considerate negli esempi precedenti sono tutte continue. Intuitivamente, una funzione F è continua se presi comunque due punti a e b tali che l'intervallo [a,b] stia nel dominio di F, posso tracciare il grafico di F tra a e b senza mai staccare la penna dal foglio. Ma questa è una descrizione intuitiva.
    Consideriamo la funzione rappresentata a fianco, definita ad es. tra −5 e 5,  il cui grafico è via via costituito da segmenti che si raccordano, i cui estremi stanno sulle rette y=x e y=−x,  ma che tendono ad essere sempre più inclinati,  avvicinandosi sempre più alla direzione verticale.  Arrivati nell'ascissa 0 il grafico ha ordinata 0,  poi prosegue in modo simmetrico a destra dell'origine. Anche questa funzione ha un grafico continuo, senza "buchi".  Ma non potrei tracciarlo con la penna perché non saprei con che direzione arrivare nell'origine e con che direzione ripartire da essa.

    

    E non potrei valutarne neanche la lunghezza:  si può dimostrare che essa sarebbe infinita. Del resto si pensi alla somma dei numeri 1, 1/2, 1/3, 1/4, …; all'aumentare del numero degli addendi essa cresce oltre ogni limite:

n <- 1; sum(1/(1:n)) # 1
n <- 2; sum(1/(1:n)) #1+1/2
n <- 3; sum(1/(1:n)) # 1+1/2+1/3
n <- 10; sum(1/(1:n)) # 1+1/2+...+1/10
n <- 100; sum(1/(1:n)) # 1+1/2+...+1/100
n <- 1000; sum(1/(1:n)) # 1+1/2+...+1/1000
n <- 10000; sum(1/(1:n)) # 1+1/2+...+1/10000
ho: 1
    1.5
    1.833333
    2.928968
    5.187378
    7.485471
    9.787606

    Possiamo precisare questa "definizione" dicendo che F è continua in un intervallo se per "piccole" variazioni degli input anche gli output hanno "piccole" variazioni, o, meglio,  se all'infittire degli input si ottengono output man mano più fitti.  Si può dimostrare che tutte le funzioni x → F(x) con F(x) termine costituito, a partire da x e da costanti, solo applicando le "quattro operazioni", l'elevamento a potenza, la radice quadrata e le funzioni seno, coseno e tangente (su cui ci si sofferma in un'altra scheda)  sono continue in ogni intervallo in cui siano definite.
    Invece la funzione rappresentata graficamente sotto (che ad ogni x associa la parte frazionaria) non è continua in alcun intervallo che contenga 1 o 2 o 3 …:  la funzione ha sempre un "salto" di altezza 1.  Ad es. avvicinandosi a 2 da destra la funzione tende ad assumere il valore 0, che è il valore che la funzione ha in 2, mentre avvicinandosi a 2 da sinistra tende al valore 1.

    Una equazione come, ad esempio, 7 / (x² +1)  x³ = −5 può essere risolta intrecciando metodi grafici e metodi numerici.  Risolvere l'equazione equivale a trovare per quale input la funzione continua F : x → 7 / (x² +1)  x³ + 5 vale 0.  Dal grafico di F, tracciato sotto a sinistra, capisco che la soluzione è compresa tra 0 e 3, valori in cui F ha segni opposti.  Calcolo quanto vale F in mezzo a tale intervallo: F(1.5) = 3.778…. Ha lo stesso segno che in 0, quindi posso dimezzare l'intervallo in cui F cambia segno prendendo quello tra 1.5 e 3. Calcolo quanto vale F in mezzo a tale intervallo: F(2.25) = −5.235…. Ha lo stesso segno che in 3, quindi posso dimezzare l'intervallo in cui F cambia segno prendendo quello tra 1.5 e 2.25. E così via.

    Un procedimento simile a questo è eseguito automaticamente da molto software. Ad es. in R basta battere uniroot(f, c(a,b), tol= P)$root per ottenere il valore di x per cui f(x) = 0; occorre mettere come a e b gli estremi di intervallo in cui f cambia segno, e come P la precisione con cui si vuole ottenere x  ("root" vuol dire "radice", "tol" sta per "tolleranza").

F <- function(x) 7/(x^2+1)-x^3+5  
uniroot(F, c(0,3), tol=1e-10)$root
# ottengo   1.871478              

4. I limiti

    La parola "limite" viene usata con due significati diversi. Ad esempio si dice che:
– il numero delle copie fatte mensilmente con una fotocopiatrice non può aumentare oltre ogni limite.
    In questo caso "limite" indica qualcosa che non può essere superato.
    In altre situazioni la parola limite viene usata con un significato un po' diverso:
– che sia inizialmente più caldo o più freddo non importa: la stanza raggiungerà al limite la temperatura su cui è posizionato il termostato del condizionatore.
    Stiamo considerando un certo processo che evolve verso una condizione limite; qui usiamo "limite" nel senso di uno stato che un certo fenomeno tende ad assumere.
    Soffermiamoci sul secondo uso:  "limite" come stato a cui tende un processo. Due esempi:

  Consideriamo le successive approssimazioni per troncamento della radice quadrata di un numero, generate con un algoritmo che procede per tentativi;  nel caso di √5, se indico con F(N) l'approssimazione con N cifre, ho  F(1) = 2, F(2) = 2.2, F(3) = 2.23, F(4) = 2.236, …, F(21) = 2.2360679774 9978969640, …: è una successione di numeri limitati che approssimano man mano meglio √5, ovvero una successione che ha come limite √5.

  Nel caso della produzione di un bene che sia descrivibile con un modello come il seguente (il costo unitario è costituito da 0.4 € di costi incorporati e da una frazione dei 50 mila € di costi fissi):
          Cu(n) = 50000/n + 0.4,
all'aumentare del numero n dei pezzi prodotti il costo unitario tende a coincidere con i costi incorporati, ossia Cu(n) tende a 0.4 al tendere di n all'infinito.

    Nel primo caso fissato ad es. il numero ε = 0.01 ho sicuramente che F(3) (= 2.23) dista da √5 meno di ε, e lo stesso vale per F(N) con N > 3;  fissato ε = 0.001 ho che F(4) (= 2.236) dista da √5 meno di ε, e lo stesso vale per F(N) con N > 4,  e così via.  Comunque fissi una distanza ε ("epsilon") trovo un N  tale che per ogni N > N  |F(N)  √5| < ε.

   

    Anche nel secondo caso ho che Cu(x) si avvicina quanto voglio a 0.4 purché prenda valori di x sufficientemente grandi.  Ad esempio, scelto ε = 0.5, ho  che se x > 100000  |Cu(x)  0.4| < 50000/100000 = ε.

    Consideriamo il grafico precedente. Osservo che man mano che diminuisce il numero x dei pezzi prodotti il valore di Cu(x) tende a salire sempre più. Facendo i conti:

x          Cu = 50000 / x + 0.4
100 0000.5+0.4 = 0.9
1 00050+0.4 = 50.4
105000+0.4 = 5000.4
0.1500000+0.4 = 500000.4

    Posso dire che  man mano che x tende a 0  Cu tende all'infinito.  Nella realtà x non può avvicinarsi a piacere al valore 0 (si può andare da 1 pezzo prodotto a 0 pezzi prodotti; x non può assumere valori intermedi), ma è comodo usare l'espressione precedente, che sarebbe comunque corretta in astratto, ragionando sulla formula e considerando x come un generico numero reale positivo, senza preoccuparmi del contesto a cui mi riferisco.  Posso sintetizzare le considerazioni precedenti con scritture come le seguenti:

  50000 / x + 0.40.4  per x → ∞
 50000 / x + 0.4 → 0.4
                x → ∞
  lim  50000 / x + 0.4  = 0.4
   x → ∞
  lim x → 0+ (50000 / x + 0.4) = ∞

    Nell'ultima espressione  "0+"  ricorda che x tende a 0  "da destra",  ossia rimanendo maggiore di 0.

    Per consolidare l'idea del concetto di limite vediamo qualche altro esempio, riferito a funzioni a 1 input e 1 output reali.  Nelle figure seguenti i "..." indicano che il grafico prosegue mantenendo un andamento analogo; più precisamente nel caso di F prosegue tendendo a spiaccicarsi sulla retta y=1; nel caso di G prosegue a zig-zag, periodicamente; nel caso di H prosegue a destra e a sinistra spiaccicandosi sulla retta y=–1, in alto e in basso spiaccicandosi sulla retta x=1; nel caso di K prosegue a sinistra spiaccicandosi sull'asse x, a destra continuando a salire, sempre più rapidamente.

 lim  F(x)  = 1 
 x → ∞
lim  G(x)  non esiste
x → ∞
lim  K(x) = ∞
x → ∞
lim  K(x) = 0
x → –∞

lim  H(x) = –1
x → ∞
  lim  H(x) = –1   ; 
  x → –∞
lim  H(x) = –∞
x → 1−
lim  H(x) = ∞
x → 1+

    Le due ultime notazioni stanno a indicare il comportamento limite di H(x) per x che tende a 1 crescendo, ossia provenendo "da sinistra", e decrescendo, ossia "da destra".

    Ancora un esempio, dove F è la funzione, definita in R−{2}, rappresentata graficamente a fianco (nel caso di pallini con la stessa ascissa, è l'eventuale pallino pieno a rappresentare l'output di F):

F(−3) = 0F(−5) = 1F(2) non è definito
lim x → 2+ F(x) = −1lim x → 2− F(x) = 1lim x → 2 F(x) non esiste
lim x → −5+ F(x) = 2lim x → −5− F(x) = 2lim x → −5 F(x) = 2
lim x → −3+ F(x) = ∞   lim x → −3− F(x) = ∞  lim x → −3 F(x) = ∞

 

5. Proprietà utili per il calcolo dei limiti

    È utile mettere a punto alcune proprietà che ci facilitino nel calcolo dei limiti di funzioni ottenute componendo altre funzioni di cui ci sia già noto il comportamento.

    Se per x → α  F(x) e G(x) hanno limite finito,  lim x → α (F(x)+G(x))  =  lim x → α F(x) + lim x → α G(x).

    Posso esprimere ciò dicendo che il passaggio al limite conserva le somme.  Più in generale, in modo analogo, si ha che il passaggio al limite conserva somme, prodotti, quozienti e le relazioni d'ordine ≥ e ≤ .

    Consideriamo ad esempio f(x) = (3+5/x) (2+7/x) / (15−1/x) + 3/x.  Come si comporta f(x) per x → ∞?
3+5/x → 3,  2+7/x → 2,  15-1/x → 15,  3/x → 0,  quindi l'intero termine tende a  3·2/15+0, ossia a 2/5.

    Si noti che il passaggio al limite conserva le diseguaglianze in senso lato, non stretto. Ad es. per x positivo 1/x è positivo ma, se L = lim x → ∞ 1/x, non posso concludere che L > 0 (infatti L = 0), ma solo che L ≥ 0.

    Con qualche semplice ragionamento intuitivo si può capire come estendere le proprietà considerate nel paragrafo precedente ai casi in cui i limiti siano infiniti.  Ad esempio se F(x) → L e G(x) → ∞, G(x) sale oltre ogni limitazione e (dato che F(x) tende a stabilizzarsi su L) altrettanto accade a F(x)+G(x): F(x)+G(x) → ∞.  Posso sintetizzare questa proprietà con:  L+∞ = ∞.

    Analogamente ho:  ∞+∞ = ∞,  L/∞ = 0  e, se L > 0,  L·∞ = ∞.

    Siano  h(x) = x+1/x2,  k(x) = −3+5/x4.  Che cosa puoi concludere sui limiti per x tende a 0 e per x che tende a ∞ di h(x) e di k(x)?
    h(x) è la somma di x e 1/x² che per x → ∞ tendono a ∞ e a 0, quindi tende a ∞.  Per x → 0  x e 1/x² tendono a 0 e a ∞, quindi h(x) tende a ∞.
    k(x) è la somma di −3 e di 5/x4 che per x → ∞ tende a 0, quindi k(x) tende a −3.  Per x → 0  5/x4 tende a ∞, quindi k(x) tende a ∞.

   

   

    Invece in altri casi, sintetizzabili nel modo seguente, non posso trarre conclusioni:  ∞−∞ = ?,   ∞·0 = ?,   ∞/∞ = ?.

    Ad esempio nel caso raffigurato a lato, per x → ∞ F(x) → ∞, G(x) → −∞ mentre F(x)+G(x) non ha limite, ma continua ad oscillare.

      

    Consideriamo il limite di una funzione composta.  Se cerco di capire come si comporta 101/x per x → ∞ è naturale ragionare in questo modo:
–  per x → ∞ so che 1/x → 0;
–  quindi 101/x si comporta come 10u per u → 0;
–  lim u → 010u = 100 = 1 in quanto x → 10x è continua.
    Analogamente di fronte allo studio di 101/x per x → 0− ragiono così:
–  per x → 0- so che 1/x → -∞;
–  quindi 101/x si comporta come 10u per u → −∞;
–  lim u → -∞10u = 0.

6. Il calcolo algebrico

Ricordiamo che un termine numerico è una espressione usata per rappresentare numeri.  Può essere: |
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  una costante, cioè un nome che rappresenta un numero fissato o che, nel contesto della situazione che stiamo considerando, riteniamo fissato
una variabile, cioè un nome per rappresentare un numero generico
o costruito a partire da varibili e costanti introducendo opportunamente simboli di funzione numerica (quattro operazioni, radici quadrate, potenze, …, simboli di funzioni via via definite) ed eventuali parentesi

Ricordiamo che una formula numerica è una espressione usata per rappresentare relazioni numeriche   ha la forma di →  |
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  una equazione, cioè del tipo termine = termine;  esempi:
3+1/2 = 3.5,  c = 2πr,  y = 1/x,  Prezzo = CostoUnitario·NumeroPezzi
e
una disequazione, cioè del tipo termine < termine o termine ≥ termine o …
esempi:   n > 3,  3/7 < 1/2
——————————————————————————————————————
può essere vera  come ad esempio 3+1/2 = 3.5  la sua verità o falsità può dipendere dai valori che si danno alle variabili che compaiono in essa; ad es. la verità di n > 3 dipende dal valore che si assegna a n  può essere falsa  come ad esempio 2 > 3

    La manipolazione di un termine o di una formula per riscriverla in una forma equivalente (ad esempio la riscrittura di un termine per poi poterlo calcolare più facilmente con una CT o a mente, la riscrittura di un'equazione che si vuole risolvere rispetto a una certa variabile, …) viene chiamata calcolo simbolico per distinguerla dal calcolo numerico, con cui si ottiene un nuovo valore numerico a partire da altri valori numerici:

3·2 → 6  è un calcolo numerico,  3·2 → 2·3  e  x·a·x → a·x²  sono calcoli simbolici.

    A volte invece che di calcoli simbolici si parla di calcoli letterali (con riferimento al fatto che oltre che su numeri si opera anche su espressioni che contengono lettere e nomi) o di calcoli algebrici. Quest'ultima dizione deriva dalla parola algebra, con cui si intende quella parte della matematica che si occupa, tra l'altro, dello studio delle proprietà delle operazioni e delle formule (equazioni, disequazioni, …).

    Non è facile dimostrare in generale le proprietà algebriche. È comunque possibile individuarle o trovarne spiegazioni mediante esempi numerici o mediante giustificazioni geometriche. Ad esempio, interpretando la moltiplicazione come modello matematico per il calcolo dell'estensione di una superficie rettangolare, possiamo convincerci del fatto che a·d+b·d+c·d equivale a (a+b+c)·d.    

    Sotto sono esemplificate alcune trasformazioni algebriche d'uso molto comune:

17 ·16
——
0.25
a    a · 1
bb
17·(1/0.25)·16 17·4·16
3 · (– 5 · 7) + 8 a (–b)    –(a b) −(3·5·7)+8 8−3·5·7
1 – 3 · (1/3 + 2) – 5 b(a + c)    b a + b c 1−(3·1/3+3·2)−5 1−(1+6)−5

    Ecco altre due, usate sia "da destra verso sinistra" che viceversa, e la loro interpretazione "geometrica":

a2b2 = (ab)(a + b)         a2 + 2ab + b2 = (a + b)2

    Vediamo ad esempio lo sviluppo di  (z3 5)(z + 2)(z3 + 5).  (z3 5)(z3 + 5)(z + 2) = (z6 25)(z + 2) = z7 + 2 z6 25 z 50.

    Richiamiamo alcuni errori frequenti:

(3x+3)(x–1–x+1)+4 → (3x+3)(x/   1/   x/   + 1/ ) +4 → 3x+3+4    (ho "cancellato" invece di trasformare x−x e −1+1 in 0)
 
x + k x → x/ + k x/ → 
——————
xx/
k     (ho "cancellato" invece di trasformare x/x in 1)
 
3xy+y+9y² → (3x+9y)y     (ho "portato fuori" la y invece che dividere per y)

    I procedimenti per riscrivere termini sono spesso impiegati per trasformare formule. Ad esempio per trasformare  181 = x + 127  nella forma  x = … faccio:

181 = x + 127  <==>  181 – 127 = x + 127 – 127  <==>  54 = x  <==>  x = 54

    In generale  si applica a entrambi i membri una stessa funzione.  Vediamo qualche altro esempio:

(A)negazione – x = 42  <==>  – – x = – 42  <==>  x = – 42
(B)reciproco 1/x = 8  <==>  (1/x)–1 = 8–1  <==>  x = 1/8  [= 0.125]
(C) divisione2x = 15  <==>  2x/2 = 15/2  <==>  x = 15/2  [= 7.5]
(D)radice quadrata    A = L²  <==>  √A = √(L²)  <==>  √A = L  <==>  L = √A

    Il caso (D) rappresenta l'equivalenza tra la formula che esprime l'area di un quadrato in funzione della misura del lato e la formula inversa che esprime il lato in funzione dell'area. Se con A e L avessimo inteso rappresentare numeri qualunque l'equivalenza corretta sarebbe stata:

(A = L²  e  0 ≤ L)  <==>   L = √A   ovvero   A = L²  <==>  (L = √A  o  L = −√A)

    Una funzione F : x → an xn + an1 xn–1 + …a2 x2 + a1 x + a0 con an ≠0 è chiamata funzione polinomiale di grado n; ai viene chiamato coefficiente di grado i ed an coefficiente direttivo.  L'equazione F(x) = 0 viene chiamata equazione polinomiale di grado n.
    Un termine dalla forma  an xn + an1 xn–1 + …a2 x2 + a1 x +a0 viene chiamato polinomio in x di grado n, anche se i coefficienti non sono costanti, ma variabili o termini più complessi (purché non contenenti x); i termini di grado inferiore ad n possono, in parte o tutti, essere anche assenti.
    I polinomi hanno due caratteristiche importanti:

  Sono divisibili con un algoritmo simile a quello della divisione tra numeri. Se eseguo la divisione (4*x^2 - x - 3)/(x + 1) ottengo (4*x - 5) con resto 2  in quanto (4*x^2 - x - 3) = (4*x - 5)·(x + 1) + 2  (batti (4*x^2 - x - 3)/(x + 1) in WolframAlpha  o  vedi  Le funzioni polinomiali).

  Vale la seguente proprietà, nota come teorema del resto (o di Ruffini):

la divisione di A(x) per  x – h  ha come resto il numero  A(h)

che ha due immediate conseguenze:

se  A(h) = 0  il polinomio A(x) è divisibile esattamente per  x – h
e, quindi,   una equazione polinomiale di grado n ha al più n soluzioni 

    Questo risultato, assieme al fatto che le funzioni polinomiali sono continue, ci consente di risolvere facilmente, in modo approssimato, le equazioni polinomiali con vari tipi di software. Vediamo ad esempio come studiare 7 x4 + √3 x3 − x2 + 2 x + 2/3 = 0.

  Ad es. con R posso tracciarne il grafico e operare degli zoom:

T <- function(x) 7*x^4+sqrt(3)*x^3-x^2+2*x+2/3
plot(T,-5,5); abline(h=0)
plot(T,-2,2); abline(h=0)
plot(T,-1,0); abline(h=0)

    Il grafico, a parte qualche serpentina interna, deve avere una forma ad U.  Infatti per x che cresce oltre ogni limite T(x) sale oltre ogni limite (in breve, diciamo che per x → ∞ anche T(x) → ∞): il valore di x4 tende a superare quello di tutte le altre potenze di x ad esponente inferiore;  analogamente, essendo 4 un numero pari, anche per "x → −∞" abbiamo che "T(x) → ∞".  Le due soluzioni individuate graficamente sopra sono tutte le soluzioni.
    Possiamo trovarne velocemente molte cifre con il procedimento descritto alla fine del §3. Ecco come applicarlo usando R ai due intervalli, ricavabili dall'ultimo grafico, [−1,−0.6] e [−0.6,0]:
  uniroot(T, c(-1, -0.6),tol=10^-9)$root
    -0.732581
  uniroot(T, c(-0.6, 0),tol=10^-9)$root
    -0.2942209

•  Potremmo, poi, usare programmi che consentono di risolvere direttamente le equazioni polinomiali. Vediamo, ad es., come farlo usando ancora R (vedi l'help apposito per ulteriori spiegazioni): si mettono in un apposito comando ("polyroot", che sta per "radici del polinomio") i coefficienti, in ordine (la costante, quello di grado 1, ... fino a quello di grado massimo, indicando 0 quando il termine di un certo grado è assente):
  polyroot(c(2/3, 2, -1, sqrt(3), 7))
    -0.2942209-0.0000000i   -0.7325810+0.0000000i
     0.3896830-0.5385201i    0.3896830+0.5385201i

I numeri vengono scritti in un modo "strano", che comprenderai negli anni prossimi: sono scritti come "numeri complessi", che hanno la forma x + i y e che coincidono con gli usuali "numeri reali" quando y=0. Quindi, tra le soluzioni indicate dal programma, devi prendere solo quelle con il coefficiente della "i" uguale a 0, ossia:
    -0.2942209    -0.7325810
Abbiamo nuovamente ritrovato gli stessi valori.

  Potrei infine battere  solve 7*x^4+...+2/3 for x real  in WolframAlpha ed ottenere risultati analoghi ai precedenti.

    Esistono anche tecniche per risolvere esattamente le equazioni polinomiali.  Richiamiamone una facile per le  equazioni polinomiali di 2º grado  introducendo  solve a*x^2 + b*x + c = 0 for x  in WolfranAlpha  (fallo e annota il risultato).

    Proviamo a risolvere rispetto ad x l'equazione  3x2 + 2x−5 = 0 :  x = −2/6 ± √(4+60)/6 = −1/3 ± 4/3, ossia  x = 1 OR x = −5/3.

    Non è detto che ci siano soluzioni o ce ne può essere una sola. Ciò corrisponde ai casi in cui, sotto radice (vedi quanto hai annotato sopra), abbiamo  b2 4 a c  negativo o uguale a 0.

    Per un breve approfondimento sulla risoluzione di equazioni vedi la voce risoluzione di equazioni -2 (su dominio, quantità di soluzioni, parametri, verifica, …) degli Oggetti Matematici.  Alla voce funzioni circolari vedi approfondimenti sulle equazioni in cui compaiono funzioni trigonometriche.  Alla voce esponenziale e logaritmo vedi approfondimenti sulle equazioni in cui compaiono le funzioni esponenziale e logaritmo.  Oppure vedi le schede e le altre voci indicate in questo ripasso.

7. Sistemi di equazioni

    Abbiamo più volte considerato condizioni ottenute combinando equazioni con &, indicato anche con AND. Condizioni di questo genere sono chiamate sistemi di equazioni.  In genere sono scritte in modo "abbreviato", usando una parentesi graffa invece di &:

Equazione1 & Equazione2 & Equazione3 → 

{

Equazione1 
Equazione2
Equazione3

    x2+y2=100 & x=6,  x2+y2=100 & y=x2−12  sono i sistemi che indicano l'intersezione del cerchio di centro (0,0) e raggio 10 con una retta e con una parabola.

    Nel primo caso le intersezioni sono i punti (6,8) e (6,−8). Infatti sostituendo 6 a x e 8 a y il sistema assume la forma a lato. Entrambe le equazioni sono vere quindi, poiché "vero" & "vero" fa "vero", il sistema è vero. Se sostituisco 6 a x e −8 a y il sistema si trasforma nello stesso modo.  Si dice anche che (6,8) e (6,−8) sono soluzioni del sistema + = 100 & x = 6 rispetto alla coppia incognita (x,y).  

{ x²+y²=100
x=6
{ 36+64=100
6=6

    

    La risoluzione del secondo sistema è leggermente più complessa. Prova a risolverlo e controlla la risposta mettendo solve x^2+y^2=100 & y = x^2-12 in WolframAlpha.

    Come dividere una quantità A in tre parti, in modo che la prima sia il doppio della seconda e che la seconda sia il triplo della terza? Indicando le tre parti con x, y e z, possiamo esprimere il problema con il seguente sistema (1) di 3 equazioni e risolverlo assumendo (x,y,z) come terna incognita e A come parametro (ossia come variabile che non assuniamo come "incongnita").

(1)(2) (3)(4) (5)
{ x+y+z = A    { x+y+z = A    { 6z+3z+z = A    { 10z = A    { z = A/10
x = 2yx = 6z x = 6zx = 6zx = 6A/10
y = 3zy = 3z y = 3zy = 3zy = 3A/10

    A destra del sistema (1) sono riportate alcune successive trasformazioni, fino al sistema finale (5) in cui x, y e z sono espresse in funzione del parametro A.

    Risolvendo un sistema mediante manipolazioni in genere si cerca di "eliminare" delle incognite da una o più equazioni, fino ad arrivare a un'equazione in cui ce n'è una sola:  l'equazione 6z+3z+z = A del passo (3).  Si risolve questa, poi si ricavano, utilizzando le altre equazioni, i corrispondenti valori delle altre variabili, come si è fatto al passo (5).
    Per manipolare un sistema di equazioni trasformandolo in un sistema ad esso equivalente, oltre che manipolare le singole equazioni, posso usare specifiche riscritture. Le più usate sono le seguenti:

  Volendo, si può cambiare l'ordine delle equazioni. infatti l'operatore & è commutativo.

{ a + b + 4 = 0    equivale a    {b − 1 = a
b − 1 = aa + b + 4 = 0

  Si può sostituire un sottotermine α con un termine β se nel sistema è presente l'equazione α = β (o β = α) che impone l'uguaglianza tra α e β.

Nella trasformazione (1)→(2) si è sostituito y della 2ª equazione con 3z, perché la 3ª equazione impone che y e 3z siano uguali.  Nella trasformazione (2)→(3) si sono sostituiti x e y della 1ª equazione con 6z e 3z rispettivamente, perché la loro uguaglianza a x e y è imposta dalla 2ª e dalla 3ª equazione.

  Si possono addizionare al 1° e al 2° membro di un'equazione rispettivamente il termine α e β se nel sistema è presente l'equazione α = β (o β = α) che impone l'uguaglianza tra α e β.

Esempio. Osservando il sistema (1) qui sotto, vedo che se addiziono x−y a x+y posso eliminare la y.  Quindi trasformo la prima equazione addizionando x−y al 1° membro e 3 al 2°: posso farlo perché l'uguaglianza tra x−y e 3 è imposta dalla seconda equazione.  In questo modo ottengo il sistema (2), che posso semplificare in (3), in cui la prima equazione contiene solo la variabile x:

(1)  (2)  (3)  (4)  (5)  (6)  (7)
{x+y = 1 {x+y+x−y = 1+3 {2x = 4 {x = 2 {x = 2 {x = 2 {x = 2
x−y = 3x−y = 3x−y = 3x−3 = yy = x−3y = 2−3 y = −1

    Alcuni tipi di sistemi sono particolarmente facili da risolvere, sia graficamente (se non contengono parametri), sia con manipolazioni.  Si tratta dei sistemi interpretabili come intersezione tra due rette.

    A lato è raffigurato il sistema x+y = 1 & x−y = 3, che abbiamo appena risolto.
    Avrei potuto concludere subito, anche senza grafici, che questo sistema ha esattamente 1 soluzione: la 1ª equazione è trasformabile in y = −x+… per cui rappresenta una retta con pendenza −1; la 2ª è trasformabile in y = x+… per cui rappresenta una retta con pendenza 1. Avendo pendenze diverse le due rette si intersecano.
    Volendo tracciare a mano le due rette, possiamo completare la trasformazione nella forma y = … e trovare le intercette 1 e −3, e poi far partire da (0,1) una retta con pendenza −1 e da (0,−3) una retta con pendenza 1.
  
    Per tracciare le rette potevo anche, per ciascuna di esse, trovarne due punti e disegnare un tratto rettilineo passante per essi.  In genere una coppia di punti facile da determinare è quella costituita dalle intersezioni con gli assi.

{eq. 1ª retta  {x+y = 1  {x =1       {eq. 1ª retta  {x+y = 1  {y = 1
equaz. asse x y = 0 y = 0 equaz. asse y x = 0 x = 0

{eq. 2ª retta  {x−y = 3  {x = 3       {eq. 2ª retta  {x−y = 3  {y = −3
equaz. asse x y = 0 y = 0 equaz. asse y x = 0 x = 0

    Per stabilire se due rette sono parallele spesso si può fare a meno di calcolarne le pendenze.  Basta osservare che, ad esempio, le equazioni  3x+2y+1 = 0, 3x+2y−7 = 0, 30x+20y+10 = 0, 6x+4y−2 = 0, −6x−4y+3 = 0, … rappresentano rette parallele in quanto sono tutte trasformabili nella forma y = −3/2x+…, in quanto, ad es., 30/20 = 6/4 = 3/2.

    Come abbiamo chiamato funzioni lineari le funzioni x → k x + h che hanno per grafici rette, così chiamiamo equazioni lineari in x e y queste equazioni.

    I sistemi costituiti da due equazioni lineari (rispetto alla stessa coppia di variabili) vengono detti sistemi lineari.  Essi possono avere:

  1 soluzione,  se le due equazioni rappresentano rette non parallele,
  0 soluzioni,  se esse rappresentano due rette parallele,
  o come soluzione ogni coppia (x,y) che sia un punto della retta rappresentata dalle due equazioni, se queste sono equivalenti.

6. Esercizi     Vai qui.