Le aberrazioni marginali studiate da Leonardo

Le aberrazioni marginali costituiscono un problema che fu considerato da molti studiosi, da Piero della Francesca a Leonardo da Vinci.
Esso evidenzia i limiti della rappresentazione prospettica Rinascimentale, che di fatto, proiettando il raggio visivo su un piano anziché su una superficie concava, così come è la retina, non rappresenta realisticamente ciò che la natura fisiologica della nostra visione ci fa percepire.

Nella figura a sinistra si può notare che proiettando su una superficie curva segmenti di uguale lunghezza posti su un piano perpendicolare allo sguardo (ossia parallelo al quadro), quelli alle estremità (da qui l'aggettivo "marginali") tendono a essere rappresentati in dimensioni man mano più piccole, diversamente da quanto accade se la superficie di proiezione è piana.

La figura a destra mostra, viceversa, come oggetti che possono apparire di eguali dimensioni rispetto a una proiezione su una superficie sferica (come le colonne di un porticato circolare visto dal centro di esso) in una proiezione piana appaiono di dimensioni che crescono all'allontanarsi dalla direzione dello sguardo.

Leonardo individua, nell'osservazione di un dipinto, il sovrapporsi di due tipi di aberrazioni della prospettiva.
Quelle dovute alla perspettiva naturale, ossia le modificazioni che le misure della superficie pittorica subiscono nell'osservazione dello spettatore, e quelle dovute alla perspettiva accidentale, cioè le modificazioni che le misure degli oggetti reali subiscono nell'osservazione e nella resa pittorica del pittore stesso.

Esse agiscono in maniera opposta:  la prospettiva accidentale in base al procedimento della prospettiva piana allarga gli oggetti che si allontanano lateralmente;  la prospettiva naturale, a causa della riduzione dell'angolo visivo verso i margini, restringe la superficie pittorica.
Esse si compensano, annullandosi reciprocamente se l'occhio dell'osservatore si pone easattamente nel centro della proiezione.