Funzioni polinomiali

#1  Vi sono alcune funzioni F per le quali è abbastanza facile sia prevedere l'andamento su tutto R che studiare quante sono le soluzioni dell'equazione F(x) = 0.

#2  Abbiamo già visto le funzioni lineari, x → a x + b, aventi per grafico una retta [ figure 2]:
  sono crescenti se a > 0 (x → 2x–3), decrescenti se a < 0 (x → –3x+1), costanti se a = 0 (x  5)
  l'equazione F(x) = 0 con F lineare ha 1 soluzione (se a  0), 0 soluzioni o tutti i numeri come soluzioni (se anche b=0).

#3  Le funzioni x → a x2 + b x + c, se a  0, vengono dette funzioni quadratiche. Hanno per grafico una parabola [ figure 2] ottenibile traslando il grafico [ funzione 2] di x  ax2. Infatti con i passi h e k ottengo il grafico di x → a(x – h)2 + k = a(x2 – 2hx + h2) + k = ax2 – 2ahx + ah2 + k   [vedi anche più avanti la figura che illustra la discussione delle equazioni polinomiali di 2° grado].
  ax2 – 2ahx + ah2 + k  coincide con
  ax2 + bx + c  se
      –2ah = b  AND  ah2+k = c.
   Risolvendo questo sistema posso trovare h e k:
 

           b
   h =  - ———
           2a
                         2
              2         b
   k =  c - ah  =  c - ————
                        4a
  se a>0 (parabola con la concavità verso l'alto) sono decrescenti in un intervallo (–,h] e crescenti in [h,); se a<0 (parabola con la concavità verso il basso) sono crescenti in un intervallo (–,h] e decrescenti in [h,);
  l'equazione F(x)=0, se F è una funzione di questo genere, ha 0 soluzioni, 1 soluzione o 2 soluzioni [].

#4  Più in generale posso considerare le funzioni  x → an xn + an1 xn–1 + …a2 x2 + a1 x + a0 con  a≠ 0.
    Una funzione F di questo tipo viene chiamata funzione polinomiale di grado n; ai viene chiamato coefficiente di grado i. L'equazione F(x)=0 viene chiamata equazione polinomiale (o algebrica) di grado n.
    Un termine dalla forma  an xn + an1 xn–1 + …a2 x2 + a1 x +a0 viene chiamato polinomio in x di grado n, anche se i coefficienti non sono costanti, ma variabili o termini più complessi (purché non contenenti x); i termini di grado inferiore ad n (an1 xn–1, …, a0) possono, in parte o tutti, essere anche assenti.
   Come la parola poligono deriva dalle parole greche polís (molto) e gonia (angolo), a mo' di "figura dai molti angoli", così la parola polinomio deriva dalle parole greche polís e ónoma (nome, espressione), a mo' di "espressione costituita dalla somma di molte espressioni". Si parla anche di trinomio, binomio e monomio per indicare un polinomio che è somma di 3, 2 o 1 termine, cioè in cui solo 3, 2 o 1 tra gli ai sono diversi da 0.
    Per parlare di grado di un polinomio occorre specificare o che sia chiaro dal contesto qual è la variabile a cui riferirlo. Ad esempio A+A·B3 può essere pensato come un polinomio (in particolare, un binomio) di 3° grado in B, ma trasformato in A·(1+B3), può essere considerato anche un polinomio (in particolare, un monomio) di 1° grado in A, o può essere considerato come un polinomio di grado 0 in y: la variabile y non compare in esso, quindi rispetto ad y è una costante. La variabile rispetto alla quale un termine viene considerato un polinomio a volte viene chiamata indeterminata.
Nota 1. Nell'ambito delle studio delle funzioni a due input si considerano anche i polinomi in 2 indeterminate. Ad es. (x,y) → k x3·y2 + x·y + y/4 + π è una funzione polinomiale a 2 input di grado 5; i gradi vengono calcolati sommando le potenze a cui sono elevate le due indeterminate, x e y.
Nota 2. In alcuni libri di testo sopravvivono definizioni diverse di polinomio, che, forse, tentano di descrivere l'uso del termine "polinomio" che in matematica si faceva qualche secolo fa. Puoi vedere un esercizio, e la sua soluzione, per qualche considerazione al riguardo.

   Per n=0 si ha il caso particolare delle funzioni costanti. La funzione nulla, x → 0, è costante ma non rientra nella definizione data poiché an = a0 = 0; è considerata una funzione polinomiale senza grado o, a volte, di grado –1.
    Per n=1 abbiamo il caso delle funzioni lineari non costanti e per n=2 quello delle funzioni quadratiche [].  Le funzioni polinomiali di grado 3 sono chiamate funzioni cubiche.
   Ad esempio la funzione V(x) = (20−2x)2x considerata all'inizio della voce  Risoluzione di equazioni (2) è cubica; infatti:
(20−2x)(20−2x)x = (20(20−2x)−2x(20−2x))x = (400−40x−40x+4x2)x = 4x3−80x2+400x.

#5  Il coefficiente di grado massimo di una funzione polinomiale viene chiamato coefficiente direttivo.
    Nel caso delle funzioni lineari non è altro che la pendenza (e è detto anche coefficiente angolare).
    Nel caso di quelle quadratiche è il fattore che determina forma e concavità della parabola.
    A lato è tracciato il grafico di x → q(x–2)2 + 1, cioè di x → qx2 – 4qx + 4q + 1, per vari valori del coefficiente direttivo q (nel caso in cui q=0 non siamo più di fronte a una funzione quadratica, ma alla funzione costante x → 1).

  

#6  Tutte le funzioni polinomiali sono  continue.
   Generalizzando quanto visto per le equazioni polinomiali di 2° grado [], si ha che una equazione polinomiale di grado n ha al più n soluzioni. Prima di discutere questa proprietà richiamiamo altre caratteristiche delle funzioni polinomiali.

#7  Il prodotto di due funzioni polinomiali, una di grado m, l'altra di grado n, è una funzione polinomiale di grado m+n. Infatti:
   se F: x → amxm +… e G: x → bnxn +… sono le due funzioni, sviluppando il prodotto F(x)·G(x), raggruppando i termini e, poi, riordinandoli, si ottiene: am·bnxm+n +… come nell'es. seguente:

   2  x        3         2   3       x   3           3
(3x - — + 2)(7x - x) = 3x (7x - x) - —(7x - x) + 2(7x - x) =
      2                              2

             4    2
   5    3  7x    x        3
21x - 3x -(——— - ——) + 14x - 2x =
            2     2

             4    2
   5    3  7x    x       3
21x - 3x - ——— + —— + 14x - 2x =
            2     2

        4              2
   5  7x           3  x    
21x - ——— + (14-3)x + —— - 2x =
       2               2

   5      4     3      2
21x - 3.5x + 11x + 0.5x - 2x

Nota. Date due funzioni F e G a input e output numerici, la funzione somma F+G è così definita: (F+G)(x) = F(x)+G(x). Analogamente si definiscono F·G, F–G e F/G.

#8  Così come l'insieme dei numeri interi è dotato della operazione divisione intera a 2 input e 2 output (quoziente e resto), così l'insieme delle funzioni polinomiali è dotato di una analoga divisione a 2 input e 2 output (polinomio quoziente e polinomio resto):
  nel calcolo della divisione di un numero A per un altro numero B (B ≤ A) cerco di ricondurmi alla divisione per B di numeri man mano più piccoli, fino ad arrivare a 0 o a un numero comunque inferiore a B;
(1)
   2875 | 3
        |————
        |
(2)
   2875 | 3
        |————
        | 900
(3)
   2875 | 3
   2700 |————
        | 900
(4)
   2875 | 3
  -2700 |————
  ————— | 900
    175
(5)
   2875 | 3
  -2700 |————
  ————— | 900
    175    50
(6)
   2875 | 3
  -2700 |————
  ————— | 900
    175    50
   -150
  —————
     25
(7)
   2875 | 3
  -2700 |————
  ————— | 900
    175    50
   -150     8
  —————
     25
    -24
  —————
      1
(8)

    900
     50
      8
    ———
    958

 con resto 1
(1)  per fare 2875 diviso 3 posso osservare che  (2)-(3)  2700 diviso 3 fa 900 e quindi ricondurmi a dividere per 3 la  (4)  parte rimanente, 175 (in pratica cambio segno a 2700 e lo sommo a 2875);  (5)-(6)  150 diviso 3 fa 50, e rimane ancora 25 da dividere per 3;  (7)  24 diviso 3 fa 8, e rimane 1, che è più piccolo di 3;  (8)  posso quindi concludere che 2875 è divisibile in 3 parti uguali a 900+50+8 = 958, e mi resta 1, che dovrei ancora dividere per 3, ma non posso farlo restando nell'ambito dei numeri interi. In altre parole 2875/3 = 958 + 1/3.
  nel caso della divisione di un polinomio A(x) per un polinomio B(x) (di grado inferiore o uguale) cercherò di ricondurmi alla divisione per B(x) di polinomi di grado man mano minore, fino ad arrivare al polinomio nullo o a un polinomio di grado inferiore rispetto a B(x):

(1)




(2)





(3)





(4)







(5)
    2
  4x  - x - 3  | x + 1
               |——————
               |

    2
  4x  - x - 3  | x + 1
               |——————
               | 4x


    2
  4x -  x - 3  | x + 1
    2          |——————
  4x + 4x      | 4x


    2
  4x -  x - 3  | x + 1
    2          |——————
-(4x + 4x)     | 4x
——————————————
      -5x - 3


    2
  4x -  x - 3  | x + 1
    2          |——————
-(4x + 4x)     | 4x
——————————————
      -5x - 3    -5
    -(-5x - 5)
——————————————
            2
   2
  x  - 2x - 3  | x + 1
               |——————
               |

   2
  x  - 2x - 3  | x + 1
               |——————
               | x


   2
  x  - 2x - 3  | x + 1
   2           |——————
  x  +  x      | x


   2
  x  - 2x - 3  | x + 1
   2           |——————
-(x  +  x)     | x
——————————————
     - 3x - 3


   2
  x  - 2x - 3  | x + 1
   2           |——————
-(x  +  x)     | x
——————————————
     - 3x - 3   -3
   -(- 3x - 3)
——————————————
            0

    2
  4x - x - 3                2
  ——————————    4x - 5 + —————
     x + 1                x + 1

 2
x - 2x - 3
——————————    x - 3
   x + 1
(1)  per fare A(x) diviso B(x)  (2)-(3)  cerco un monomio axn tale che B(x)·axn inizi come A(x) [nel caso a sinistra (x+1)·4x = 4x2+4x inizia come 4x2–x–3; in quello a destra (x+1)·x = x2+x inizia come x2–2x–3]. Mi riconduco quindi a dividere per B(x) la  (4)  parte rimanente, –5x–3 in un caso, –3x–3 nell'altro, ottenuta sommando –B(x)·axn ad A(x).  (5)  Procedendo in modo analogo a quanto fatto in (2)-(4) trovo che, in un caso, (x+1)·−5 = −5x−5 inizia come −5x–3, nell'altro (x+1)·–3 = –3x–3 inizia come –3x–3; le parti rimanenti sono di grado inferiore a B(x), e quindi mi fermo.  Nel caso a sinistra sommando i risultati parziali ottengo 4x−5, con resto 2, in quello a destra x–3 con resto 0.  Le trasformazioni in color magenta indicate con "" corrispondono alla trasformazione 2875/3 = 958 + 1/3 vista per la divisione tra numeri (dividendo 2875 per 3 ottengo 958 e mi rimane 1 che dovrei ancora dividere per 3).
    2
   x  + x + 1  | x + 1     
    2          |——————
 -(x  + x)     | x
 —————————————
            1

  2
 x + x + 1           1
 —————————    x + —————
   x + 1           x + 1
    Nell'esempio illustrato a lato il procedimento si conclude più rapidamente rispetto ai primi due esempi. Infatti come primo resto ottengo 1, che ha grado inferiore a x+1, per cui mi devo fermare al primo passo.

#9  Il concetto di divisione nel caso dei numeri e dei polinomi è sostanzialmente lo stesso; si tratta dell'operazione inversa della moltiplicazione []. 
 Calcolare 2875/3 vuol dire trovare Q tale che Q · 3 = 2875; se ci si limita ad operare nei numeri naturali si tratta di trovare il numero Q tale che Q · 3 + R = 2875 con R<3.
 Calcolare (x2+x+1)/(x+1) vuol dire trovare il polinomio Q (x) tale che Q(x) · (x+1) = x2+x+1 o, almeno, il polinomio Q (x) tale che Q (x) · (x+1) + R (x) = x2+x+1 con R (x) polinomio di grado inferiore rispetto a x+1; questo caso include il precedente, prendendo R(x)=0 (polinomio nullo).   In generale nel caso di A (x) : B (x) si cerca Q (x) tale che Q (x)·B (x) + R (x) = A (x) con R (x) polinomio di grado inferiore rispetto a B (x).
    Q sta per quoziente, R per resto.
    Nel caso degli esempi visti sopra [] abbiamo:
                                         2
(1) 2875 = 958·3 + 1               (2) 4x - x - 3 = (4x - 5)·(x + 1) + 2

     2                                  2
(3) x - 2x - 3 = (x - 3)·(x + 1)   (4) x + x + 1 = x·(x + 1) + 1

#10  Ma questa analogia tra numeri e polinomi vale fino a un certo punto:
  il fatto che la divisione 16/2 ha 8 come risultato "esatto", cioè con resto nullo, ci consente di dire che 16/2 è uguale ad 8,
  invece il fatto che la divisione di x2–2x–3 per x+1 ha come risultato x  3 con resto nullo non ci consente di concludere che il termine a lato equivale a x - 3:
    2
   x - 2x - 3
   —————————— 
      x + 1
il termine x–3 è definito per ogni x mentre il termine (x2–2x–3)/(x+1) non è definito per x = –1.
Non è invece sbagliato dire che tale termine equivale a x–3 + 0/(x+1). Più in generale se A(x) diviso B(x) ha Q(x) come quoziente e R(x) come resto possiamo sempre dire che A(x)/B(x) equivale a Q(x)+R(x)/B(x), senza cancellare "+R(x)/B(x)" se R(x) è nullo.

#11  Sotto sono riprodotti a sinistra il grafico della funzione F (è una retta "bucata") e, a destra, quello della funzione G, dove F e G sono così definite (F(x) è il termine già considerato sopra): 
        F: x ->  
 2
x - 2x - 3
——————————
  x + 1
        G: x ->  
 2
x + x + 1
—————————
  x + 1

     

    Affinché una funzione del tipo x → H(x)/K(x) con H e K funzioni polinomiali sia definita per ogni numero reale occorre (e basta, in quanto H(x) e K(x) sono definiti per ogni x) che K(x) non si annulli mai, cioè che l'equazione K(x)=0 non abbia soluzioni.

#12  Anche senza tracciare il grafico di x → x2–2x–3, poiché ho visto [] che x2–2x–3 è fattorizzabile come (x+1)(x–3) (infatti x2–2x–3 diviso x+1 fa x–3 con resto 0), posso concludere che esso interseca l'asse x per x= –1 e x=3. Infatti:
    (x–3)(x+1) = 0  equivale a  x–3 = 0 OR x+1 = 0  e quindi a  x = 3 OR x = –1

    Viceversa, se so che la funzione polinomiale x → A(x) ha grafico che interseca l'asse x per x=h, cioè se so che A(h)=0, posso concludere che A(x) è divisibile esattamente per x–h?
    Ad es. a lato è tracciato il grafico di x → 2x2+5x+3. Esso interseca l'asse x in due punti che hanno ascissa –1 e –1.5 rispettivamente.
    Posso concludere che 2x2+5x+3 è fattorizzabile come (x–(–1))·(…), cioè come (x+1)·(…)? Ovvero come (x–(–1.5))·(…), cioè come (x+1.5)·(…)?

   

    La risposta è affermativa, infatti vale la seguente proprietà, nota come teorema del resto (o di Ruffini):

la divisione di A(x) per  x – h  ha come resto il numero  A(h)

La dimostrazione di ciò è facile.
  Se Q(x) e R sono il quoziente e il resto della divisione di A(x) per x–h:
      A(x) / (x-h) = Q(x) + R / (x-h), ovvero:  A(x) = Q(x)(x–h) + R.
  Quindi, per x=h, A(h) = Q(h)(hh) + R = 0+R = R

    Come immediata conseguenza del teorema del resto, abbiamo che:

se  A(h) = 0  il polinomio A(x) è divisibile esattamente per  x – h

    Nel caso dell'esempio precedente (2x2+5x+3, che si annulla per x=–1 e per x=–3) abbiamo effettivamente che 2x2+5x+3 si divide esattamente per x+1, e dà 2x+3; ovvero che si divide esattamente per x+1.5 e dà 2x+2. D'altra parte (x+1)(2x+3) = 2x2+5x+3 e (x+1.5)(2x+2) = 2x2+5x+3 [si noti che: (2x+3) = 2(x+1.5) e che (2x+2) = 2(x+1)].

#13  Il teorema del resto ci consente di concludere che, se un'equazione polinomiale ha, ad esempio, 5 soluzioni a, b, c, d ed e, il polinomio è divisibile [sottointeso "esattamente"] per (x–a), (x–b), (x–c), (x–d) e (x–e) e, quindi, è equivalente a (x–a)(x–b)(x–c)(x–d)(x–e)·… . Il polinomio deve, perciò, essere almeno di 5° grado.
    Un'equazione polinomiale di 4° grado, quindi, ha al più 4 soluzioni: se ne avesse 5 dovrebbe essere di grado maggiore di 4.
    In generale possiamo concludere (come preannunciato) che:

una equazione polinomiale di grado n ha al più n soluzioni.

    Questo risultato, assieme al fatto che le funzioni polinomiali sono continue, ci fornisce argomentazioni teoriche che ci possono indirizzare nella ricerca delle soluzioni di una equazione polinomiale, che può essere fatta sia con metodi numerici o grafici [ risoluzione di equazioni 1, risoluzione di equazioni 2], sia con tecniche algebriche.
    Possono essere utile anche altre considerazioni sull'andamento dei grafici delle funzioni polinomiali. Limitiamoci a qualche esempio. Lo studio delle equazioni polinomiali può essere approfondito ulteriormente introducendo nuovi concetti matematici (numeri complessi, derivate, …).

#14  Siano F e G le funzioni polinomiali di 1° e 2° grado descritte sotto. A partire dalla parabola e dalla retta grafici di F e G, posso schizzare (anche senza computer) l'andamento del grafico della loro funzione prodotto H, di 3° grado:
per x<–1.5 ho H(x)=F(x)·G(x)<0 in quanto F(x)>0 e G(x)<0, per –1.5<x<–1 ho H(x)>0 in quanto …

    Viceversa ogni polinomio A(x) di 3° grado è fattorizzabile nel prodotto di uno di 1° grado per uno di 2°:
  prendendo valori di x molto maggiori di 0 o molto minori di 0 è possibile ottenere sia valori A(x)>0 che valori A(x)<0; quindi, essendo x → A(x) continua, il suo grafico deve attraversare l'asse x, cioè deve esistere z tale che A(z)=0;
  per il teorema di Ruffini posso dedurre che A(x) è scomponibile in (x–z)B(x) con B(x) di grado 2.
    A seconda che x → B(x) tagli l'asse x in 0, 1 o 2 punti, x → A(x) lo taglierà in 1, 2 o 3 punti.
    Se B(x), e quindi A(x) = (x–z)B(x), ha coefficiente direttivo positivo, come nel caso di sopra e in quello sotto a sinistra, da un certo punto in poi, verso destra, si ha il prodotto di due funzioni positive, per cui A(x) è positivo, e da un certo punto in poi, verso sinistra, si ha il prodotto di due funzioni di segno opposto, per cui A(x) è negativo. Se invece il coefficiente direttivo è negativo, con ragionamenti analoghi si ha (vedi figura sotto a destra) che verso destra il grafico starà sotto all'asse x e verso sinistra sopra all'asse x.

Non è detto che il grafico di una funzione cubica abbia oscillazioni. Potrebbe essere una funzione ovunque crescente, come x → x3 [ funzione 2], o una funzione ovunque descrescente, come x → –x3.
    Il fatto che le funzioni polinomiali di 3° grado attraversino l'asse orizzontale, ovvero che ogni polinomio di 3° grado sia divisibile per uno di primo grado, può essere generalizzato ad ogni funzione polinomiale di grado dispari. Quindi ogni equazione polinomale di grado dispari ha almeno una soluzione. Per quelle di grado pari, invece, la situazione cambia da caso a caso. Ad esempio xn+ 1 = 0 non ha soluzioni qualunque sia n pari.

  

#15  La soluzione delle equazioni polinomiali di 2° grado è interpretabile come ricerca delle intersezioni con l'asse x di una parabola di vertice (h, k) con h e k passi della traslazione con cui essa viene ottenuta da una parabola con vertice in (0,0) [].
    Dalle espressioni di h [–b/(2a)]e k [c–b2/(4a)] [] si possono ricavare le espressioni delle eventuali soluzioni dell'equazione, infatti:
  a(x – h)2 + k = 0  
  (x – h)2 = –k/a  
  x – h = ± √( –k/a)   riquadro sottostante.


 x = h ± √(

  k
- —
  a

)
   da cui   x = - 

 b
——
2a

 ± 
(b2 - 4ac)
——————————— 
    2a

    Volendo si possono memorizzare queste formule, se no è facile, di fronte a una equazione del tipo ax2+bx+c=0, cercare di trasformarla direttamente nella forma a(x–h)2+k = 0 e da qui ricavare: x = h ± √(–k/a). Se non mi interessa conoscere i passi della traslazione ma mi basta risolvere l'equazione, posso dividere per il coefficiente direttivo (nell'ipotesi che a≠0) e (usando (20*) di "termini equivalenti") ricondurmi a una equazione del tipo x2+…; ecco ad es. come cercare le intersezioni con l'asse x della parabola a fianco:  

3 x2 + 2 x − 5 = 0  →  x2 + 3/2 x − 5/3 = 0  →
      x2 + 3/2 x  →  (x+1/3)2 − (1/3)2  →  (x+1/3)2 − 1/9   (#)
(x+1/3)2 − 1/9 − 5/3 = 0  →  (x+1/3)2 − 16/9 = 0  →  x+1/3 = ±√(16/9)
→  x = −1/3 ± 4/3  →  x = 3/3 = 1 OR x = −5/3

La tecnica impiegata in (#) viene chiamata completamento del quadrato in quanto si cerca di "completare" (x+)2 in modo da ottenere un termine iniziante con x2+2/3x. Eccone un altro esempio: 4x2-20x+134(x2-5x+13/4)4(x2-2·5/2x+13/4)4((x-5/2)2-25/4+13/4)4((x-5/2)2-3)

Nota.  x1 = –b/(2a)+√(b2–4ac)/(2a),  x2 = –b/(2a)–√(b2–4ac)/(2a):
questo è il modo in cui a volte viene riscritto il riquadro soprastante. In base a questa scrittura qualcuno a volte dice che quando con queste formule si ottiene per x1 e per x2 lo stesso valore vi sono due soluzioni coincidenti. Si tratta di un modo di esprimersi sbagliato: in questi casi la soluzione è una, e 21. Altra cosa sarebbe dire che in questi casi i due termini –b/(2a)+√(b2–4ac)/(2a) e –b/(2a)–√(b2–4ac)/(2a) sono equivalenti. Un errore analogo sarebbe dire che  x=3 OR x=2+1 OR x=1+2  ha 3 soluzioni coincidenti: la soluzione è 1, sono i termini 3, 2+1 e 1+2 che hanno lo stesso valore. Sono modi di dire che confondono i termini (aspetto sintattico) con i loro valori (aspetto semantico): abituarsi ad usarli alimenta fraintendimenti concettuali che poi favoriscono errori o difficoltà nell'affrontare anche altre attività di tipo algebrico più complesse di queste.
    Tuttavia a volte confusioni di questo tipo sono inevitabili, o utili per esprimersi in modo efficace. Ad es., quando si scrive:  "dati due numeri x e y con x\y indichiamo la parte intera di x/y"  si intende che la cosa valga anche se x=y, ossia se i numeri non sono 2 ma 1 solo; sono invece 2 i "nomi" x e y utilizzati.  Solo in casi di questo tipo (in cui è chiaro che si parla di numeri, punti od altri oggetti per indicare in realtà delle variabili, ossia dei nomi che li rappresentano) sono lecite queste confusioni; in queste situazioni se si vuole precisare che gli oggetti considerati devono essere diversi in genere si aggiunge un'aggettivo che lo specifichi:  "dati due punti distinti P e Q il segmento PQ contiene infiniti punti".
Un po' di parole: di fronte alla risoluzione rispetto a x dell'equazione ax2 + bx + c = 0, il termine b2 4ac, ossia l'argomento della radice quadrata nella formula risolutiva, viene spesso chiamato discriminante dell'equazione in quanto il suo segno consente di "discriminare", cioè distinguere, i casi in cui le soluzioni sono due (discriminante positivo), una (nullo) o nessuna (negativo). A volte esso viene indicato con Δ ("delta", la "d" greca, in maiuscolo).

#16  Il teorema del resto e l'algoritmo della divisone sono utilizzabili per realizzare fattorizzazioni di termini polinomiali.
    Ad esempio a2b2 può essere pensato come polinomio di 2° grado in a, cioè come P: aa2b2. Osservo che P(b) = b2b2 = 0. Per il teorema del resto a2b2 è divisibile per ab.
    Eseguo la divisione, tenendo conto che sto operando con polinomi in a: devo quindi scrivere i risultati intermedi (resti, …), usando eventuali riordini e raggruppamenti, così che appaiano come polinomi in a.
    2         2
   a       - b  | a - b     
    2           |——————
 -(a  - ba)     | a
 ——————————————
              2   b
        ba - b
              2
      -(ba - b )
 ——————————————
             0

    Il quoziente è a + b e quindi:

a2b2 = (ab)(a + b)

    Questa e altre scomposizioni (e gli sviluppi / espansioni che si ottengono leggendo alla rovescia le equazioni: lo sviluppo di (a-b)(a+b) è …) sono ricavabili anche interpretando la moltiplicazione come prodotto di lunghezze:

    a2 – b2 = (a – b)(a + b) è un esempio elementare di scomposizione che è facile ed importante (in quanto ha molte applicazioni) ricordare a memoria.
    Un altro esempio è  a2 + 2ab + b2 = (a + b)2, frutto della "lettura alla rovescia" di (20*) in  termini equivalenti.
    Un tempo era ritenuto importante ricordarsi scomposizioni polimimiali anche più complesse e meno importanti. Ai nostri giorni non è più così: i programmi di calcolo simbolico le svolgono in piccole frazioni di secondo. Se vuoi, puoi usare tali programmi per "scoprire" altre scomposizioni.
Un po' di parole: gli sviluppi di (a+b)2 e di (a+b)(a–b) richiamati sopra (e altri sviluppi analoghi - vedi qualche esempio negli "esercizi") un tempo erano chiamati prodotti notevoli. Il primo è spesso chiamato quadrato del binomio.

#17  Le fattorizzazioni possono essere utili per semplificare [ termini equivalenti] termini del tipo: 
polinomio1
——————————  
polinomio2
    Ad esempio, tenendo conto di quanto visto sopra per la scomposizione di a2–b2 e di x2–2x–3, abbiamo:
    2
   x - 1         (x-1)(x+1)      x-1
——————————  —>  ——————————  —>  ———  AND NOT x=-1
 2              (x+1)(x-3)      x-3
x - 2x - 3

    In questo caso abbiamo usato il fatto che entrambi i polinomi erano divisibili per x+1. A volte, in casi più complicati (se non si dispone di un programma di calcolo simbolico che ci faciliti la vita!), può essere utile cercare direttamente un polinomio del grado più alto possibile che divida esattamente sia polinomio1 che polinomio2.
    Un polinomio di tal genere è chiamato massimo comune divisore (m.c.d.) di polinomio1 e polinomio2Non è unico: se un polinomio è divisibile ad esempio per x+3 sicuramente è divisibile anche per 2x+6 [= 2(x+3)], per 0.2x+0.6 [= 0.2(x+3)], ….

    L'esistenza dei massimi comuni divisori tra polinomi è garantita dall'algoritmo delle divisioni successive, noto anche come algoritmo euclideo (dal nome del matematico greco del 3° sec. a.C. Euclide, che descrive tale metodo in uno dei suoi scritti).
    In origine tale metodo è stato messo a punto per trovare il m.c.d. tra numeri naturali; vediamo un esempio in questo caso; poi trasferiremo il metodo al caso dei polinomi.
    Determino il m.c.d. di 408 e 187, cioè il massimo numero naturale per cui entrambi sono divisibili. L'idea è interpretare questo numero come il massimo numero per cui è semplificabile il rapporto 408/187, e cercare di semplificare tale rapporto riconducendomi man mano a rapporti tra numeri più piccoli. 408/187 ha quoziente 2 e resto 34 (187·2=374, 408–374=34); quindi 408/187 è trasformabile in 2 + 34/187; mi riconduco alla semplificazione di 34/187, ovvero di 187/34, di cui trovo quoziente e resto, … e così via fino a che ottengo una divisione esatta, cioè con resto nullo:

 408        34     187       17    34
 ——— = 2 + ———     ——— = 5 + ——    —— = 2
 187       187     34        34    17

     Q=2 R=34          Q=5 R=17       Q=2 R=0
17 è il massimo numero naturale per cui sono divisibili sia 34 che 17, e, quindi, sia 187 che 34, e, quindi, sia 408 che 187:    17 = m.c.d.(408, 187).
[se a questo punto volessi semplificare 408/187 potrei dividere entrambi i termini per 17 o usare le relazioni trovate con le divisioni successive:
187/34 = 5+1/2 = 11/2; 408/187 = 2 + 2/11 = (22+2)/11 = 24/11]

    Vediamo ora, ad esempio, come determinare un m.c.d. di 3x2–9x+6 e x2–5x+6. L'idea è anche in questo caso quella di cercare di semplificare il rapporto tra essi, riconducendomi questa volta a rapporti tra polinomi di grado man mano più basso. Ottengo (vedi sotto) che 6x – 12 è un m.c.d., ma lo sono anche, per esempio, 2x–4, 3x–6, 0.6x–12, … x–2. Se si vuole scegliere un rappresentante, si può prendere quest'ultimo, x–2, cioè quello con coefficiente direttivo 1 (un polinomio con coefficiente direttivo 1 viene chiamato monico).

  2                                2
3x - 9x + 6         6x - 12        x - 5x + 6
——————————— = 3 + ——————————      —————————— = 1/6 x - 1/2
  2                 2                6x - 12
 x - 5x + 6        x - 5x + 6


    2               2               2
  3x  - 9x +  6  | x - 5x + 6      x - 5x + 6  | 6x - 12
    2            |———————————       2          |————————
-(3x - 15x + 18) | 3             -(x - 2x)     | 1/6 x
———————————————                  ————————————
        6x - 12                       -3x + 6    -1/2
                                    -(-3x + 6) 
                                 ————————————
                                            0

#18  Supponiamo di voler trasformare un termine come quello a lato sotto forma di un unico rapporto tra polinomi.
    Si può applicare la trasformazione descritta a destra e poi cercare eventualmente di semplificare, così come, per fare 7/6+5/9, se non si dispone di una CT, per eseguire a mano una sola divisione ci si potrebbe ricondurre a: 

       x + 1            11x
 ————————————————— + ——————————
  3    2               2
 x - 8x + 19x - 12   2x - 5x -3


 a   c      ad   bc      ad+bc
 — + —  —>  —— + ——  —>  —————
 b   d      bd   bd       bd
 7   5   7·9   5·6   63+30   93   93/3   31
 — + — = ——— + ——— = ————— = —— = ———— = ——
 6   9   6·9   9·6    54     54   54/3   18

    A volte può essere utile cercare di "semplificare" preventivamente il termine finale prendendo al posto di b·d il più piccolo multiplo comune a b e a d. Ad es. nel caso numerico precedente, osservando che 6·3=18 e 9·2=18 (18 è il minimo multiplo comune a 6, i cui multipli sono 6, 12, 18, 24, …, e 9, i cui multipli sono 9, 18, 27, …) avrei potuto fare: 

  7   5   7·3   5·2   21+10   31
  — + — = ——— + ——— = ————— = ——
  6   9   6·3   9·2    18     18

[per inciso ricordiamo che alcuni dicono anche che 18 è il minimo comune denominatore tra 7/6 e 5/9, intendendo il numero pių piccolo che č multiplo comune dei denominatori di 7/6 e 5/9: nel caso del rapporto tra interi il divisore viene chiamato anche "denominatore" in quanto, se si legge 5/9 come "5 noni", 9 dà il nome alle parti; 5 è il "numeratore" poichè esprime il numero delle parti]

    Si dice minimo comune multiplo (m.c.m.) di polinomio1 e polinomio2 un polinomio del grado più basso possibile che sia "multiplo" di entrambi, cioè che sia divisibile esattamente sia per polinomio1 che per polinomio2. 
    Un metodo "efficace" (se non si dispone di un programma di calcolo simbolico) per trovare un m.c.m.(P1,P2) è basato sulla seguente osservazione, riferita ai numeri 6 e 9 già considerati sopra:
•  6 e 9 hanno 3 come m.c.d.:  6 = 3 · 2, 9 = 3 · 3;
•  quindi calcolare 6 · 9 equivale a calcolare 3 · 2 · 3 · 3;
•  per ottenere un multiplo di 6 (= 3 · 2) e di 9 (= 3 · 3) sarebbe sufficiente considerare una sola volta il m.c.d. 3 che appare in 3 · 2 · 3 · 3, cioè prendere 3 · 2 · 3, ossia 6 · 9 / 3;
•  in altre parole  m.c.m.(6,9) = 6 · 9 / m.c.d.(6,9).
    Generalizzando e passando al caso dei polinomi, abbiamo:
          m.c.m.(P1,P2) = P1·P2 / m.c.d.(P1,P2)

    Nel caso dell'esempio iniziale, m.c.d.(x3–8x2+19x–12, 2x2–5x–3) = x–3; dividendo per x–3 ottenengo le fattorizzazioni x3–8x2+19x–12 = (x–3)(x2–5x+4) e 2x2–5x–3 = (x–3)(2x+1), da cui posso prendere come m.c.m. (x–3)(x2–5x+4)(2x+1) e quindi fare:

                                                           2
     x+1          11x          (x+1)(2x+1)            11x(x -5x+4)
————————————— + ———————— = ———————————————————— + ————————————————————
 3   2            2               2                            2
x -8x +19x-12   2x -5x-3   (x-3)(x -5x+4)(2x+1)   (x-3)(2x+1)(x -5x+4)


    2           3    2                  3    2
  2x +3x+1 + 11x -55x +44x           11x -53x +47x+1
= ———————————————————————— = ... = ———————————————————
                 2                   4    3    2
    (x-3)(2x+1)(x -5x+4)           2x -15x +30x -5x-12

    Ai nostri giorni nessuno (se non qualche libro di testo obsoleto, e qualche alunno-vittima) esegue calcoli macchinosi di questo genere a mano: nei rari casi in cui ci si imbatte in un calcolo come questo, lo si affronta utilizzando qualche programma di calcolo simbolico.  Ecco qui qualche esempio di calcolo con R e con WolframAlpha (vedi qui per l'impiego di altro software); negli esempi troverai anche la comparsa dei numeri complessi, su cui ci soffermeremo più avanti.

#19  Ma, perché dedicare tanta attenzione alle funzioni polinomiali? 
    Abbiamo visto che le equazioni polinomiali, rispetto ad altri tipi di equazioni, hanno delle particolarità che ne semplificano la risoluzione.
    Poi, si tratta di funzioni che è facile calcolare, anche con una calcolatrice tascabile: per calcolare f(x) per un certo x se f è una funzione polinomiale di grado n è necessario eseguire al più n moltiplicazioni e n addizioni.
    Ad esempio 5x4-6x3+2x2-5 può essere trasformato in (((5x-6)x+2)x·x-5, e poi calcolato con una CT (anche se priva del tasto per l'elevamento a potenza e non in grado di rispettare la gerarchia delle operazioni) con:
  5 6 2 5
dopo aver memorizzato il valore di x con . ( altro esempio)

    Si tratta, quindi, di oggetti matematici che è abbastanza facile maneggiare. Di per sé questa caratteristica non è un buon motivo per dare tanta importanza ai polinomi. Ciò che rende significativa questa facilità di manipolazione e di calcolo è il fatto che con le funzioni polinomiali si riescono ad approssimare molti altri tipi di funzioni, più difficili da maneggiare.
    Per un esempio si osservino i grafici a fianco: il grafico A rappresenta la funzione sin (con gli input espressi in radianti) mentre B, C e D sono le funzioni polinomiali che a x associano, rispettivamente, x, x-x3/6 e x-x3/6+x5/120. È possibile trovare polinomi di grado via via maggiore che approssimano sempre meglio la funzione sin. È in modi simili che le CT e i linguaggi di programmazione calcolano le funzioni circolari ed altri tipi di funzione.

  

    Questi aspetti sono affrontati verso la fine della scuola superiore o all'università; non vengono discussi in questa sezione degli Oggetti Matematici.

Nota.  Si può dimostrare che una equazione polinomiale a coefficienti interi  an xn + ... + a1 x + a0 = 0  ha le eventuali soluzioni razionali della forma p/q con p divisore di a0 e q divisore di an  (nel caso particolare a1 x+a0 = 0 abbiamo x = −a0/a1).  Ad esempio 3x³−5x²+5x−2 = 0 ha le eventuali soluzioni razionali tra i numeri a/b con a tra 1, −1, 2, −2 e b tra 1, −1, 3, −3. Verificando si trova che solo 2/3 è una soluzione razionale. Posso verificare la cosa con R, col comando polyroot(c(-2,5,-5,3)), o con WolframAlpha, col comando solve 3*x^3-5*x^2+5*x-2=0 for x rational.  Ovvero posso usare questo script:

Esercizi:

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