Divergenza e Rotore
Alcune identità
Laplaciano
Campi conservativi, irrotazionali e solenoidali
Flusso. Teoremi di Gauss e di Stokes
(forme differenziali)

Divergenza e Rotore

Il gradiente di un campo scalare in tre dimensioni f (ad es. f(P) = temperatura nel punto P) racchiude le informazioni sulla sua velocità di variazione:
∇f(x,y,z) = grad(f(x,y,z)) = (∂f(x,y,z)/(∂x), ∂f(x,y,z)/(∂y), ∂f(x,y,z)/(∂z)).
∇ (del o nabla) indica l'operatore i∂/∂x + j∂/∂y + k∂/∂z; ∇f può essere pensato come una moltiplicazione scalare "formale" tra (il vettore) ∇ e (lo scalare) f.
    Nel caso di un campo vettoriale F(x,y,z) = (F1(x,y,z), F2(x,y,z), F3(x,y,z)) (es. la velocità nel punto P di un fluido in movimento) le informazioni sulla rapidità di variazione coinvolgono 9 derivate parziali:
∂Fj(x1, x2, x3)/∂xk,  dove x1, x2, x3 stanno per x, y, z.
    Per capire come operare partiamo dal caso piano, ossia con F3(x,y,z)=0 e con F1(x,y,z) e F2(x,y,z) indipendenti da z, ossia descrivibili come F1(x,y) e F2(x,y) (come nel caso di un fluido in un canale per cui si supponga che tutte le particelle alla stessa quota si muovano con la stessa velocità). Le derivate parziali da considerare si riducono a 4.
    Sia v = (vx(x,y),vy(x,y)) il campo delle velocità dei punti di un oggetto in movimento: (vx(x,y),vy(x,y)) è il vettore velocità della particella nella posizione (x,y). Supponiamo che si tratti di un fluido (liquido o gassoso) in movimento. Consideriamo quattro situazioni "ideali":
(1) il fluido scorre con velocità costante (direzione dell'asse y);
(2) il fluido scorre ruotando attorno all'asse z con velocità angolare costante;
(3) il fluido scorre con velocità inclinata come l'asse y e intensità proporzionale alla distanza (orientata) da esso;
(4) il fluido si espande muovendosi con velocità perpendicolare all'asse x e di intensità proporzionale alla distanza da esso;
(5) come (3), ruotato di α.
(1) v = h j
(2) v = -ω y i + ω x j
[v perpendicolare ad OP; ω=vel. angolare]
(3) v = h x j
(4) v = h y j
(5) v = h·d(x,y)(-sin(α)i+cos(α)j)
con d(x,y) = (x+tan(α)y)/√(tan(α)2+1)
[distanza di (x,y) dalla retta x=-tan(α)y]


  Proponiamoci, innanzi tutto, di distinguere il caso (4), in cui abbiamo un aumento di volume (invece che a una espansione potremmo pensare a una sorgente diffusa sotto a tutta la superficie), dagli altri, nei quali se considero una superficie chiusa, come si vede nella figura (5), il volume che entra è pari a quello che esce.
Consideriamo un rettangolino infinitesimo di lati paralleli agli assi e di dimensioni Δx e Δy.
jvy (a meno di dispersioni trascurabili) entra da un lato orizzontale ed esce dal lato opposto. Se vy (la componente verticale della velocità del fluido) non cambia, non c'è differenza tra il volume che entra e quello che esce (parliamo di "volume", sottintendendo che il fluido abbia spessore costante, ovvero pensiamo a un parallelepipedo di spessore Δz=1), altrimenti si ha una variazione pari a (circa) ∂vy/∂y·Δy·Δx  (∂vy/∂y·Δy è la lunghezza del fluido in più o in meno che esce), ossia proporzionale alla velocità con cui vy cambia nella direzione y.
Analogamente tra ciò che entra ed esce tra i due lati verticali si ha una variazione circa proporzionale alla velocità con cui vx cambia nella direzione x, ossia pari a (circa) ∂vx/∂x·Δx·Δy.
Il saldo complessivo è, circa, (∂vy/∂y + ∂vx/∂x)·Δx·Δy. Al tendere a 0 di Δx e Δy le dispersioni del flusso sono trascurabili e l'errore nella approssimazione tende a zero.
Possiamo dire che non vi sono sorgenti (o espansioni/compressioni) nel punto (x,y) se ∂vy(x,y)/∂y + ∂vx(x,y)/∂x = 0.

Calcoliamo le varie derivate parziali nei nostri casi.
(1) ∂vx(x,y)/∂x = 0;   ∂vx(x,y)/∂y = 0;
    ∂vy(x,y)/∂x = 0;   ∂vy(x,y)/∂y = 0
(2) ∂vx(x,y)/∂x = 0;   ∂vx(x,y)/∂y = -ω;
    ∂vy(x,y)/∂x = ω;   ∂vy(x,y)/∂y = 0
(3) ∂vx(x,y)/∂x = 0;   ∂vx(x,y)/∂y = 0;
    ∂vy(x,y)/∂x = h;   ∂vy(x,y)/∂y = 0
(4) ∂vx(x,y)/∂x = 0;   ∂vx(x,y)/∂y = 0;
    ∂vy(x,y)/∂x = 0;   ∂vy(x,y)/∂y = h
(5) ∂vx(x,y)/∂x = -h sin(α)/√(tan(α)2+1);   ∂vx(x,y)/∂y = -h sin(α)tan(α)/√(tan(α)2+1);
    ∂vy(x,y)/∂x = h cos(α)/√(tan(α)2+1);   ∂vy(x,y)/∂y = h sin(α)/√(tan(α)2+1)
    Nei casi (1)-(3) e (5) abbiamo effettivamente che ∂vx/∂x + ∂vy/∂y = 0.
Nel caso (4), invece, ∂vx/∂x + ∂vy/∂y = h.
    La grandezza (scalare) ∂vx(P)/∂x + ∂vy(P)/∂y misura quanto il campo "diverge", si "espande" nel punto P. In modo del tutto analogo, nel caso in cui il campo non sia piano, la grandezza che misura questa espansione del campo è ∂vx(P)/∂x + ∂vy(P)/∂y + ∂vz(P)/∂z. Questa grandezza (che esprime il saldo - positivo, negativo o nullo - tra flusso uscente e flusso entrante) viene chiamata divergenza in P del campo vettoriale v.
    Essa viene indicata  div(v)   o   ∇ · v   (come prodotto scalare formale).

  Un secondo aspetto rispetto a cui distinguere i campi vettoriali è quello della presenza di tendenze rotatorie attorno a certi punti. Negli esempi (1) e (4) si intuisce che se metto un piccolo oggetto nel fluido, questo non si mette in rotazione. Questo invece accade nei casi (3) e (5) (l'oggetto da un lato viene spinto in una direzione più fortemente di quanto viene spinto nella direzione opposta dall'altro lato).
    L'effetto rotatorio, nel caso piano, è determinato da quanto varia una componente del campo allo spostarsi nella direzione dell'altra. Se ∂vy/∂x (quanto varia vy al crescere di x) è positivo, come nel caso (3) in cui andando verso destra vy cresce, si ha una tendenza a ruotare in verso antiorario. Se ∂vx/∂y è positivo (come accadrebbe nel caso (3) ribaltato rispetto alla bisettrice del primo quadrante) si avrebbe una tendenza in senso orario.
Quindi la tendenza rotatoria in verso antiorario è espressa da  ∂vy/∂x - ∂vx/∂y. Si tratta di una rotazione attorno ad un asse verticale (ossia diretto come l'asse z).
    In modo del tutto analogo si ha l'espressione dell'effetto rotatorio attorno ad assi diretti come gli assi x e y, per cui l'effetto rotatorio complessivo è espresso dalla grandezza (vettoriale), chiamata rotore di v e indicata con rot(v) (o curl(v), in particolare nei paesi anglosassoni):
(∂vz/∂y - ∂vy/∂z) i + (∂vx/∂z - ∂vz/∂x) j + (∂vy/∂x - ∂vx/∂y) k,
che possiamo esprimere come prodotto vettoriale formale:  ∇ × v, ovvero:
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  i j k  |
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∂/∂x∂/∂y∂/∂z
vxvyvz

Negli esempi considerati rot(v) non ha mai le prime due componenti; dalle derivate parziali sopra calcolate si ottiene:
(1) rot(v) = 0
(2) rot(v) = 2ω k
(3) rot(v) = h k
(4) rot(v) = 0
(5) rot(v) = ... = h k

Alcune identità
Il gradiente ha alcune proprietà analoghe alle derivate; in particolare:
grad(f·g) = f·grad(g) + g·grad(f) (f,g campi scalari).

Per la divergenza abbiamo una relazione che è più leggibile usando i prodotti formali:
div(F×G) = ∇·(F×G) = (∇×F)·G–F·(∇×G) (F,G campi vettoriali).

Sono importanti le seguenti relazioni:
div(rot(F)) = 0  (∇·(∇×F)=0)     rot(grad(f)) = 0  (∇×(∇f)=0)
(entrambe facilmente verificabili, ma intuibili anche pensando ai prodotti formali)

Laplaciano
Per un campo scalare f si considera spesso la grandezza:
div(grad(f)) = ∇·∇f = [in breve] 2f
dove l'operatore ∇2 viene chiamato laplaciano o operatore di Laplace.
Tale operatore viene usato anche per i campi vettoriali F nel seguente significato:
2F = (∇2Fx)i + (∇2Fy)j + (∇2Fz)k.


Campi conservativi, irrotazionali e solenoidali

Il campo gravitazionale F(P) generato da una massa "puntiforme" M collocata in P0 è un campo vettoriale diretto come P0-P, ossia come il vettore PP0, avente intensità:
  |F(P)| = k M / |P-P0|2
Possiamo esprimerlo così:
  F(P) = - k M (P-P0) / |P-P0|3 =
- k M ( (x-x0)i+(y-y0)j+(z-z0)k ) / ( (x-x0)2+(y-y0)2+(z-z0)2 )3/2
Questo campo vettoriale può essere espresso come il gradiente di un campo scalare:
  F(P) = grad(k M / |P-P0|)
infatti, posto f(P) = k M / |P-P0|, abbiamo:
  ∂f/∂x = - k M (x-x0) / |P-P0|3,   ∂f/∂y = ...
Il campo scalare f viene detto funzione potenziale di F.
In questo caso una funzione potenziale di F viene chiamata energia potenziale per unità di massa, nel senso che se in P c'è una particella di massa m, F(P)m esprime il campo di forze gravitazionali che si viene a determinare e f(P)m esprime l'energia potenziale (di m nella posizione P).
Nel caso della gravitazione terrestre spesso F viene approssimato con F(P) = -g k. Un potenziale è f(P) = gz e l'energia potenziale può essere espressa come  m g z.

Dato un campo scalare f e una curva orientata C definita (parametrica) come P(t), a ≤ t ≤ b con P funzione continua possiamo definire (in modo analogo all'integrale su un intervallo di una funzione a 1 input e 1 output) l'integrale di linea di f su C come limmax |ΔPi|→0Σif(xi*,yi*,zi*)|ΔPi| dove Pi sono i punti della curva corrispondente a una partizione di [a,b] e |ΔPi| sono le distanze tra un punto e il successivo e (xi*,yi*,zi*) è un punto dell'i-mo archetto in cui viene suddivisa C.
Il calcolo diC f si riconduce al calcolo di:
[a,b] f(P(t)) |dP(t)/dt| dt.
Se P(t) = (x(t),y(t),z(t)) e P(t) = (x(t),y(t),z(t)) sono due diverse descrizioni della stessa curca C, il valore dell'integrale che si ottiene è lo stesso (la cosa può essere verificata con una sostituzione).

Se F è un campo vettoriale, si può considerare CF(P)·dP ("·" è il prodotto scalare), ossia l'integrale di linea della componente tangenziale di F lungo C.
I campi vettoriali F dotati di potenziale hanno la caratteristica che, presi due punti A e B del loro dominio, CF·dP è uguale per ogni curva C "liscia a tratti" (ossia con una quantità finita di punti angolosi) avente A e B come estremi. Da ciò segue facilmente che se C è chiusa CF·dP = 0.
Se F è una forza variabile, l'integrale di linea lungo C esprime il lavoro fatto da F per muoversi lungo C. Nel caso di un campo di forze dotato di potenziale abbiamo dunque che il lavoro è indipendente dal percorso e che quello lungo un percorso chiuso è nullo (l'energia "si conserva"). Per questo motivo i campi vettoriali dotati di potenziale vengono detti conservativi.

Esercizio. Calcolare il lavoro fatto dal campo di forza F(x,y,z) = xyi - x2j lungo y=x2 AND z=0 da (0,0,0) a (1,1,0).
Soluz.
Il percorso C può essere descritto con x(t)=t, y(t)=t2, ossia con P(t) = ti + t2j, 0 ≤ t ≤ 1. Quindi dP = dti + 2tdtj.
F(P)·dP = (t3i - t2j)·(dti + 2tdtj) = (t3 - 2t3)dt = -t3dt.
Quindi ∫CF(P)·dP = ∫[0,1](-t3)dt = [-t4/2]t=0..1 = -1/4.

Notazioni.
Nel caso dell'esercizio precedente, ∫CF(P)·dP ovviamente (tenendo conto che siamo nel piano x,y e che dP si riduce al vettore (dx, dy), e sviluppando il prodotto scalare) potrebbe essere scritto nella forma  ∫C (xy dx − x2 dy)
Al posto di  ∫CF·dP  viene a volte usata la notazione  ∫CF·Td dove T indica il vettore unitario tangente alla curva e ds la variazione di posizione lungo la curva (possiamo pensare s come una ascissa curvilinea, ossia ciò che prende il posto di x se ci si muove lungo la curva; se dx è la variazione nella direzione dell'asse x, ds è la variazione lungo la strada), ossia tale che  T ds  = dxi + dyj + dzk = dP.
Se C è chiusa l'integrale è chiamato circolazione (di F attorno al circuito C) e al posto di C si usa anche 


Un campo vettoriale a rotore nullo viene detto irrotazionale. Ogni campo conservativo è irrotazionale; infatti (vedi le identità considerate sopra) se F = grad(f), rot(F) = rot(grad(f)) = 0.

Un campo vettoriale a divergenza nulla viene chiamato solenoidale; il nome deriva dal fatto che un solenoide (filo percorso da corrente elettrica) genera un campo magnetico a divergenza nulla. I rotori (vedi le identità considerate sopra) sono tutti campi solenoidali.

Si può dimostrare che i campi vettoriali irrotazionali "lisci" definiti su un dominio connesso privo di buchi hanno potenziale, e sono quindi conservativi, e che i campi vettoriali solenolidali lisci definiti su un dominio tale che ogni superficie chiusa in esso contenuta delimita una regione contenuta tutta nel dominio sono dotati di rotore (il rotore di un tale campo F viene chiamato potenziale vettoriale di F).

Teoremi di Gauss e di Stokes

In modo analogo all'integrale di linea, si può definire l'integrale di superficie di un campo scalare su una superficie S opportunamente "liscia" di "area" finita:
S f = limmax Diami →0Σif(xi*,yi*,zi*)ΔSi
dove S1, S2, … sono pezzi di superficie che formano una partizione di S, ΔSi sono le loro aree e Diami i loro diametri.
Analogamente alla definizione parametrica di una curva, una superficie S può essere definita come P(u,v), con (u,v) variabile in un rettangolo R o in un dominio D più generale, cosituito da una regione racchiusa da una curva continua.

Esempio 1: così come la curva grafico di una funzione y=f(x) è descrivibile parametricamente come P(t) = (t,f(t)), così la superficie grafico di un campo scalare z=f(x,y) è banalmente descrivibile come P(u,v) = (u,v,f(u,v)).

Esempio 2: la semisfera di raggio 2 centrata nell'origine formata dai punti di ascissa nonnegativa è descrivibile, mediante "longitudine" (u) e "colatitudine" (v), come P(u,v) = (2 sin(v) cos(u), 2 sin(v) sin(u), 2 cos(v)),  -π/2 ≤ u ≤ π/2, 0 ≤ v ≤ π.
 
 
L'elemento di area dS in P(u,v) è  |∂P/∂u × ∂P/∂v| du dv  (vedi figura), ossia
dS = √( (∂(y,z)/∂(u,v))2+(∂(z,x)/∂(u,v))2+(∂(x,y)/∂(u,v))2 ) du dv
dove:   ∂(xi, xj) / ∂(u, v) =  |
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   ∂xi/∂u   ∂xi/∂v   |
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 =  |
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   ∂xi/∂u   ∂xj/∂u   |
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   [ det(At) = det(A) ]
∂xj/∂u∂xj/∂v ∂xi/∂v∂xj/∂v


Nel caso di un piano z = ax+by+h, una sua descrizione parametrica è (u,v,au+bv+h) e:
dS = |∂P/∂u × ∂P/∂v| du dv = |(1,0,a)×(0,1,b)| dudv = |-ai-bj+k|dudv = √(1+a2+b2)dudv
ovvero:  dS = √(1+a2+b2) dx dy  (come u e v avevamo preso x e y).
[se il piano è scritto come ax+by+cz+d=0, ho z = -a/cx…, per cui: dS = √(a2+b2+c2) / |c| ]
Più in generale, nel caso in cui S sia grafico di una funzione z = g(x,y) definta su un dominio D, esso è descrivibile (con u=x, v=y) come  P(x,y) = (x, y, g(x,y))
∂(x,y)/∂(x,y) = 1
∂(y,z)/∂(x,y) = ∂y/∂x ∂z/∂y - ∂z/∂x ∂y/∂y = -∂z/∂x
∂(z,x)/∂(x,y) = ∂z/∂x ∂x/∂y - ∂x/∂x ∂z/∂y = -∂z/∂y
[ qui ∂z/∂x è ∂g(x,y)/∂x,  ∂z/∂y è ∂g(x,y)/∂y ]
per cui: dS = √(1+(∂z/∂x)2+(∂z/∂y)2)dx dy
e: ∫S f(x,y,z) dS = ∫D f(x,y,g(x,y)) √(1+(∂z/∂x)2+(∂z/∂y)2) dx dy

Esempio   ∫S z dS con S cono z = √(x2+y2), 0 ≤ z ≤ 1.
La superficie è descrivibile (con u=x, v=y) come  P(x,y) = (x,y,√(x2+y2))
∂z/∂x = x/√(x2+y2) = x/z
∂z/∂y = y/√(x2+y2) = y/z
dS = √(1+(x/z)2+(y/z)2)dx dy = √2 dx dy
S z dS = √2 ∫x2+y2 ≤ 1 z dx dy = #
passando in coordinate polari:
# = √2 ∫[0,2π]dθ ∫[0,1]ρ2dρ = 2√2 π / 3

Data una superficie liscia S indichiamo con N(P) il campo vettoriale unitario che rappresenta uno dei due versori normali a S in P; supponiamo che esso vari con continuità al variare di P.
Nota. Non tutte le superfici possono essere orientate in questo modo: si pensi al nastro di Möbius - vedi figura a lato - ottenuto unendo le estremità di una striscia rettangolare dopo avere ruotato di mezzo giro una di esse; non possiamo orientarlo, ossia distingure una faccia da un'altra, ossia definire un vettore N (il nastro di Möbius ha anche un solo bordo).

Data un campo vettoriale F l'integrale della componente normale di F su una superficie orientata S (con "orientamento" N) è chiamato flusso di F attraverso S:
      ∫S F · N dS.
Si scrive anche   ∫S F · dS   dove dS indica il vettore elemento di area NdS (vettore diretto come N di intensità dS).
Nota.  Se S è il grafico di una equazione G(x,y,z) = 0 un versore normale a S (vedi) è dato da grad(G)/|grad(G)|.
In particolare se S è il grafico z = g(x,y) di una funzione g con dominio D, se consideriamo la superficie orientata verso l'alto, N è:
(− ∂z/∂x i − ∂z/∂y j + k) / √((∂z/∂x)2+(∂z/∂y)2+1)   e quindi   N dS (per quanto visto sopra) è (− ∂z/∂x i − ∂z/∂y j + k) dx dy, e S F · N dS = DF(P)·(− ∂z/∂x i − ∂z/∂y j + k) dx dy
Se la superficie è orientata verso il basso,  S F · N dS = − ∫DF(P)·(− ∂z/∂x i − ∂z/∂y j + k) dx dy
[ ∂z/∂x è ∂g(x,y)/∂x,  ∂z/∂y è ∂g(x,y)/∂y ]
   

Teorema della divergenza (o di Gauss)
Ha una qualche analogia col teorema fondamentale del calcolo integrale (l'integrale di f su un intervallo è pari alla differenza dei valori di una primitiva sui punti di frontiera).
 
Sia V un dominio delimitato da una superficie chiusa S orientata con un campo normale unitario N uscente da V. Se F è un campo vettoriale liscio definito su V, allora:
      ∫V div(F) dV = ∫S F · N dS

ossia:
    l'integrale della "derivata" div(F) su un dominio è esprimibile come flusso di F uscente dalla superficie
ossia:
    l'intensità totale di tutte le sorgenti di F in V è uguale al flusso totale di F uscente dalla superficie di V.

Esempio d'uso - 1.  Dato il campo vettoriale F(P) = bxy2i+bx2yj+(x2+y2)z2k e il cilindro V di raggio a e altezza b raffigurato a lato, calcolare il flusso di F uscente dalla superficie S di V.
    Per il t. della divergenza ∫SF·dS = ∫Vdiv(F)dV
div(F) = ∑iF(P)/∂xi = (b+2z)(x2+y2)
Se S0 è il cerchio di base del cilindro,
V(b+2z)(x2+y2)dV = ∫[0,b] S0(b+2z)(x2+y2)dxdydz =
[usando le coordinate polari]
= ∫[0,b] [0,2π] [0,a] (b+2z)ρ2ρ dρdθdz =
[0,b] (b+2z) ∫[0,2π] [0,a] ρ2ρ dρdθdz =
(b2+b2)2π(a4/4) = πa4b2

Esempio d'uso - 2. Calcolare  ∫ S x2+y2 dS dove S è la superficie sferica di raggio 1 centrata nell'origine.
Posso usare il t. di Gauss cercando una F(P) tale che F(PN = x2+y2. Nel caso della nostra sfera N coincide con il raggio vettore, ossia con P stesso: N = xi+yj+zk. È facile capire che prendendo F(P) = xi+yj ho proprio F(PN = x2+y2. Dunque:
S x2+y2 dS = ∫ S F(PN dS = [per il t. di Gauss, indicando con V il solido sferico delimitato da S]
V div(F) dV = ∫ V ∇·F dV = ∫ V 1+1 dV = 2·VolumeSfera = 8/3·π.

Se una superficie orientata S non è chiusa, ha un contorno. Su ogni curva C che forma il contorno l'orientamento scelto per S induce un orientamento per C: l'orientamento di C è la direzione in cui la percorro se stando in piedi nella direzione di N vedo S alla mia sinistra. Vedi figura seguente.

Teorema di Stokes
Si tratta di un'altra analogia col teorema fondamentale del calcolo integrale.
Data una superficie S orientata con un campo normale unitario N e con contorno C formato da una o più curve chiuse, continue a tratti, con orientazione "ereditata" da S. Se F è un campo vettoriale liscio su un insieme aperto contenente S allora:
      ∫S rot(F)·N dS = ∫C F · dP.

 
Per avere un'idea della dimostrazione si pensi al caso piano e immaginiamo di suddividere la superficie S in tanti rettangolini come quello raffigurato a destra, di contorno C; il campo vettoriale sia v. Percorriamo C a partire da P:  nel primo tratto v·dPvyΔy,  nel secondo, in cui vx è cambiato e vale circa vx+(∂vx/∂y)Δy, v·dP((vx+(∂vx/∂y)Δy)Δx,  analogamente nel terzo v·dP–(vy+(∂vy/∂x)Δx)Δy, nel quarto v·dP–vxΔx. Quindi:
C v·dPvyΔy, + ((vx+(∂vx/∂y)Δy)Δx, + ... = (∂vy/∂x – ∂vx/∂y)ΔxΔy.
Unendo opportunamente i rettangolini, con opportuni passaggi, si ottiene la formula espressa dal T. di Stokes.
 

Esempio d'uso - 1.  Dato il campo vettoriale F(P) = -y3i+x3j-z3k e la curva C intersezione del cilindro di raggio 1 e asse l'asse z col piano 2x+2y+z=3, orientata nel modo raffigurato a lato, calcolare ∫CF·dP.
    Per il t. di Stokes mi posso ricondurre a ∫S rot(F)·N dS dove S è il disco raffigurato a lato.
rot(F) = 3(x2+y2)k.
Un vettore normale a S è (2,2,1): vedi (anche -(2,1,1) lo è, ma questo è quello da prendere tenendo conto dell'orientamento di C); quindi N = 1/√(22+22+1)(2,2,1) = 1/3(2i+2j+k).
dS nel caso di un piano ax+by+cz=0 è (vedi sopra) √(a2+b2+1) dx dy. Nel nostro caso √(22+22+1)dxdy. Quindi:
NdS = 1/3(2i+2j+k)3 dxdy = (2i+2j+k)dxdy;
potrò dunque ricondurmi all'integrale sul cerchio proiezione di S sul piano xy.
rot(F)·N dS = (3(x2+y2)k) · (2i+2j+k) dxdy = 3(x2+y2)dxdy
In definitiva:
  ∫CF·dP = ∫S rot(F)·N dS = ∫cerchio 3(x2+y2)dxdy = 2π ∫[0,1]2ρ dρ = 3π/2.
Senza sviluppare tutti i calcoli, potevo arrivare direttamente a questo risultato utilizzando quanto visto nella nota successiva alla definizione di  S F · N dS

Esempio d'uso - 2.  Dato il campo vettoriale F(P) = y2cos(xz)i + x3eyzj - e-xyzk e la superficie S (sfera x2+y2+(z-2)2=8 privata della calotta sottostante z=0) raffigurata a fianco, determinare  S rot(FN dS.
    Per il t. di Stokes mi posso ricondurre a ∫CF·dP dove C è il cerchio x2+y2=4 percorso in verso antiorario. Ma, sempre per il t. di Stokes, quest'ultimo equivale anche a R rot(FN dS in quanto anche il disco R ha C come contorno.
Su R N è k, per cui rot(FN è la componente verticale di rot(F), ossia  ∂Fy(P)/∂x - ∂Fx(P)/∂y che su R, dove z=0, vale 3x2-2y.
In defintiva l'integrale cercato equivale a  ∫ R 3x2-2y dxdy = 3 ∫ R x2 dxdy - 2 ∫ R y dxdy = 3 ∫ R x2 dxdy (in quanto il secondo integrale vale 0 per simmetria: si può spezzare negli integrali su due semicerchi in cui y assume valori opposti).
3 ∫ R x2 dxdy = 3 ∫ [0,2π] [0,2] cos(θ)2ρ3 dρdθ = 12π.

Nota.  Date f1, f2 e f3 definite in T dominio di R3 si dice forma differenziale lineare l'espressione f1(x,y,z)dx + f2(x,y,z)dy + f3(x,y,z)dz.  Una F tale che nei punti interni di T dF(x,y,z) = f1(x,y,z)dx + f2(x,y,z)dy + f3(x,y,z)dz, ovvero dF(x,y,z)/dx = f1(x,y,z), dF(x,y,z)/dy = f2(x,y,z), dF(x,y,z)/dz = f3(x,y,z), ovvero tale che grad(F) = (f1, f2, f3), dicesi funzione primitiva di essa.  A differenza di quanto accade nel caso di 1 variabile (in cui, se f è continua, f(x)dx ha primtiva), non tutte le forme differenziali in più variabili sono dotate di primitive. Quelle per cui accade sono dette differenziali esatti (o f. d. integrabili).  Condizione necessaria affinché ciò accada è che (in T) f1'z = f3'x, f2'x = f1'y, f3'y = f2'z.  La condizione è anche sufficiente se T è un parallelepipedo.

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