L'integrazione [1ª parte] (2ª)

#1  L'integrazione studia, in generale, problemi di vario genere, da come  • risalire al grafico di una funzione che rappresenta la posizione di un oggetto a partire da quello della sua velocità  a come  • calcolare la probabiltà che una certa variabile casuale continua, di cui sia nota la distribuzione, possa assumere valori compresi tra due numeri fissati,  a come  • determinare il lavoro di una forza di cui sia noto come varia l'intensità al variare del punto di applicazione.  Esempi di questo tipo sono discussi nella parte tre problemi introduttivi.  Quindi della definzione di integrale viene data una generalizzazione e sistemazione.  Segue un approfondimento dei legami tra integrazione e derivazione attraverso la messa a fuoco del teorema fondamentale del calcolo integrale.  Sono, infine, svolti alcuni approfondimenti e discusse alcune difficoltà dell'integrazione, con riferimenti ad alcuni particolari insiemi di funzioni; questi aspetti possono essere affrontati in un secondo tempo.
    Chi abbia già conoscenza dei concetti può saltare i "tre problemi introduttivi" e andare direttamente a generalizzazione e sistemazione.


#2  Tre problemi introduttivi

Primo problema (esistenza, e calcolo, dell'antiderivata)
v
= s'
(m/s)
 
   
s
(m)
 
t  (s)
Dal grafico della  velocità (in m/s) v in funzione del tempo (in s) t come posso risalire al grafico della strada percorsa (in m) s in funzione di t ?
    Intuisco che il grafico di s raffigurato a sinistra, sotto a quello di v, sia corretto;  v non è altro che la derivata s' di s e il grafico di v (quello sopra) sembra rappresentare come varia la pendenza lungo il grafico di s (quello sotto):  inizialmente questo ha pendenza costante (30/3 = 10),  poi sale con la concavità verso l'alto, ossia con pendenza via via crescente,  fino a t=5, in cui la pendenza inizia a diminuire,  fino ad arrivare a t=10, in cui la pendenza diventa nulla.
    Si intuisce pure che il grafico di s in funzione di t rappresenta anche come varia l'area A delimitata (nel modo illustrato sotto a sinistra) dal grafico di v (ovvero di s').
    Sotto a destra puoi accedere ad una animazione che illustra meglio il fenomeno.

(vedi un'animazione con R)
    Qui puoi approfondire queste considerazioni. Dunque:
trovare il grafico di s in funzione di t a partire dal grafico di s' in funzione di t equivale a tracciare il grafico dell'area A(t) tra grafico di s' e asse orizzontale che è compresa tra le rette verticali di ascissa 0 e di ascissa t.

    In realtà questa è una situazione ideale. Se non in casi particolari (come nel caso di un urto) la velocità non può cambiare bruscamente.

    Quanto visto per v vale per una qualunque funzione continua e positiva f:
una funzione g che abbia come derivata f (o, come si dice, che sia una antiderivata di f) è la funzione che ad x associa l'area A(x) delimitata dal grafico di f e l'asse orizzontale, e compresa tra un input fissato c e x.
    Naturalmente g non è l'unica funzione ad avere f come derivata. Qualunque funzione che abbia come grafico quello di f traslato verticalemente ha la stessa derivata. Ad esempio se definisco h(x) = g(x)+30 e k(x) = g(x)-30, ho D(h) = D(k) = D(g).
    Nel caso dell'esempio iniziale, se con s indichiamo la posizione lungo la strada, oltre alla s che ha grafico simile a quello di g, potremmo considerare s con grafico come quello di h o di k, che corrisponderebbo a due altre situazioni in cui la posizione iniziale è, rispettivamente, 30 m avanti o 30 m indietro, ma in cui al passare del tempo la velocità è la stessa della prima situazione: si tratta di tre mezzi che avanzano mantenendo sempre la stessa distanza tra loro.

Un esempio di calcolo.
 

   Cerco g che abbia f: x x come derivata.
Prendo g(x) = A(x) = "area tra grafico di f, asse degli input e rette verticali di ascissa 0 e di ascissa x". Si tratta di un triangolo di base x e altezza x, quindi:
 A(x) = x2/2.
Prendo dunque g(x) = x2/2.  Verifica: g'(x) = Dx(x2/2) = 2x/2 = x :  OK.
Avrei potuto prendere anche g(x) = x2/2+k con k costante qualunque.

E se la velocità cambia segno?
    Se, nel nostro esempio iniziale, arrivati a t=10, v invece che mantenere il valore 0 continua a variare con lo stesso andamento diventando negativa (vedi grafico a destra in alto), ossia se il moto inverte direzione, la posizione s arretra (vedi il grafico a destra in basso).
    Per continuare a dire che l'area A(t) si comporta come s(t) devo considerare negativo il contributo delle parti di superficie che stanno sotto all'asse degli input. Questo equivale a considerare come area di ciascuno dei rettangolini considerati sopra il valore v(tt anche quando v(t) < 0.

#3 Notazioni
 

    Se f è una funzione continua nell'intervallo I = [a,b] si indica con  I f  o con  [a, b] f, o nel modo indicato a lato, l'area orientata della superficie compresa tra il grafico di f, l'asse orizzontale e le rette di ascissa a e di ascissa b, dove con area orientata intendiamo indicare che si tratta del valore ottenuto conteggiando come positivo/negativo il contributo delle parti di grafico con ordinata positiva/negativa.
    Questo valore viene chiamato integrale di f sull'intervallo I.
 
 b f
 
a
    Il simboloha la forma di una "S" allungata. Infatti ricorda che l'area che sta sotto alla curva può essere approssimata sommando opportuni rettangolini.
    Se della funzione f si vuole indicare il termine generico occorre specificare qual è la variabile che descrive la funzione. Ad esempio nel caso dell'esempio precedente, f(x) = x, avremmo potuto scrivere:
    A(x) = 0x f  oppure  A(x) = 0x t dt  oppure  A(u) = 0u x dx  oppure  A(x) = 0x f(t) dt  oppure …
Nota.  Abbiamo parlato di "area orientata" per poter cosiderare anche le situazioni in cui il grafico sta sotto all'asse orizzontale. Il concetto di  area, invece, non dipende dal sistema di riferimento, e un'area non è mai negativa.  Ad esempio, nel caso della funzione f rappresenata a fianco, mentre possiamo dire che [a,b] f = 0, ovvero che l'area orientata della figura colorata è 0, dobbiamo dire che l'area della stessa figura è il doppio dell'area di ciascun triangolino (e vale, quindi, 9).  

#4  Secondo problema (le variabili casuali continue)

Se l'istogramma della distribuzione statistica di una variabile casuale U è approssimabile col grafico di una funzione continua f per la quale so esprimere il termine f(x),
   come posso calcolare, utilizzando f, la probabilità che U cada in un intervallo [a,b]?
come posso calcolare M(U)?

In questo caso il problema è in qualche modo rovesciato rispetto a quello del paragrafo precedente:  dobbiamo trovare (per quanto riguarda il primo "") l'area che sta tra il grafico di f, l'asse orizzontale e le rette verticali di ascissa a e di ascissa b.  Nel caso rappresentato sopra f : x → (x/3−1)2 so trovare una g la cui derivata sia f e, quindi (), riconduco il calcolo dell'area cercata, ossia di  [a, b], a quello di  g(b) − g(a):
      D(g)(x) = (x/3−1)2  se  g(x) = (x/3−1)3 + k  dove k è una qualunque costante;
      dunque  g(b) − g(a) = (b/3−1)3(a/3−1)3

Nota. La f dell'esempio precedente, definita tra 0 e 3, è effettivamente una funzione di densità:  non è negativa in [0, 3] e l'area tra il grafico e l'asse x vale 1:  [0, 3] f = (3/3−1)3(0/3−1)3 = 1.

    Affrontiamo in modo simile il secondo "".

M(U)  ≈  N(xk· Pr(U Ik))
Σ
k = 1
 ≈ 
N(xk· f(xk)·Δx)
Σ
k = 1
 e quindi, se U varia in I:

M(U) = I x·f(x) dx

Nel caso della f dell'esempio precedente abbiamo che la media è  03 x f(x) dx 03 x(x/3−1)2 dx 03 x(x2/9−2x/3+1) dx 03 x3/9−2x2/3+x dx.  So trovare g(x) la cui derivata sia x3/9−2x2/3+x e, quindi (), mi riconduco al calcolo di  g(3) − g(0):
g(x) = x4/36−2x3/9+x2/2+k;  media = 34/36−2·33/9+32/2 = 3/4.  Generalizzando quanto visto per gli istogrammi ( figure 2), abbiamo che tale valor medio corrisponde alla ascissa del baricentro della figura considerata, a cui tendono gli istogrammi.
 

  E come posso trovare la mediana?
Nel caso discreto posso considerare l'istogramma della frequenza cumulata e trovare la colonna più vicina al 50% (vedi)

In generale, se la variabile aleatoria è definita in un intervallo che ha per estremo sinistro c, la mediana sarà il valore m tale che  cm f = 0.5.

Nel caso della f dell'esempio precedente, riferito a una variabile casuale definita in [0, 3], abbiamo che l'area che sta tra 0 e x è  (x/3−1)3 − (−1)3  che eguagliata a 50% dà luogo all'equazione:
(x/3−1)3 − (−1)3 = 1/2, la cui soluzione è la mediana:
(x/3−1)3 = 1/2 + (−1)3     (x/3−1)3 = −1/2     x = 3(1 − 1/21/3) = 0.61889842…
 

#5  Terzo problema (il lavoro di forze variabili)

Abbiamo visto ( proporzionalità inversa) che il lavoro di una forza costante è dato dal prodotto di questa per lo spostamento che ha generato nella sua stessa direzione, come richiamato nel caso illustrato sotto a sinistra.
    Il grafico a destra illustra la situazione nel caso particolare in cui la forza sia di 10 N, ossia ( vettori) di circa 1.02 hg–forza:  il lavoro è proporzionale allo spostamento s eseguito, e varia come l'area di un rettangolo di altezza fissata.
    Che dire nel caso che la forza cambi intensità, come nel caso ilustrato a destra, in cui la forza esercitata via via aumenta?
  


L = F · s
                      cm





?

    In questo caso particolare (legge di Hooke) sappiamo che la forza da esercitare sulla molla per ottenerne un allungamento è proporzionale all'allungamento stesso (almeno fino a un certo valore di esso, dopo il quale la molla rimane deformata). Quindi, se indichiamo con s l'allungamento della molla, abbiamo che la forza da esercitare per ottenerlo è proporzionale al suo stesso valore (almeno fino ad un certo valore), ossia è del tipo  k · s  dove k è una grandezza costante fissata, che dipende dalle caratteristiche della molla.

    Nel caso illustrato sopra, a destra, supponiamo che la molla si allunghi di 10 cm quando è sotto l'azione di una forza di 0.5 N. A destra è illustrato il grafico di F in funzione di s, ossia di  F = 1/20 N/cm s È naturale prendere anche in questo caso come lavoro svolto spostare della lunghezza s la molla l'area della figura delimitata dal grafico di F e dall'asse orizzontale, fino alla retta verticale corrispondente al valore di s: il lavoro, in questo caso, cresce proporzionalmente sia ad s che a F (che non è più costante).  Quest'area, come abbiamo già osservato nei precedenti esempi, non è altro che l'integrale seguente, dove supponiamo che s sia espresso in cm e che F sia espressa in N:
      [0, s] F   che, in base a quanto abbiamo visto, possiamo calcolare  o  usando il significato di area  o  cercando un'antiderivata:
   

  (area del triangolo) = F·s/2 = 1/20·s·s/2 = s2/40
  (antiderivata rispetto ad x di 1/20·x) = 1/20·x2/2 = x2/40  la cui differenza per x tra 0 e s dà:  s2/40
    Quindi, usando le unità di misura,  L = s2/40  J/cm2  (la divisione per cm2 fa sì che il risultato sia J).


#6  Generalizzazione e sistemazione

Che cos'è e come si calcola l'area. Alla voce  area abbiamo visto come si calcola quella dei rettangoli e dei triangoli, e, mediante la scomposizione in triangoli, quella di un poligono qualunque. Abbiamo poi visto diversi modi per determinare l'area di un cerchio. Le figure seguenti illustrano altri due modi per trovare quest'ultimo valore, entrambi generalizzabili ad altre figure:

 
 
   
-1

Il primo metodo consiste nell'approssimare una figura via via sempre meglio con un istogramma; l'area dell'istogramma tende a stabilizzarsi su un certo valore che viene assunto come l'area della figura (nel caso illustrato si tratta dell'area di un semicerchio di raggio uno, che vale  π / 2 = 1.570796326794896619231…). Vedi qui per la semplice realizzazione di questo calcolo e queste immagini con R.  Il secondo metodo consiste nell'approssimare la figura con un trapezio dal numero dei lati crescenti (come trovare facilmente l'area di un tale trapezio l'abbiamo visto alla voce area): il valore su cui tende a stabilizzarsi coincide con quello ottenuto col metodo precedente (vedi).  D'altronde (vedi figura a lato) l'equivalenza dei due procedimenti deriva dal fatto che l'area di un trapezio è la somma di quella di due opportuni rettangoli.  

    Tutti i metodi visti, nel caso dell'area di una figura che può essere interpretata come la parte del piano x,y che sta tra il gafico di una funzione, l'asse x e due rette verticali x=a e x=b, si può dimostrare che sono equivalenti al seguente metodo:

   
      si suddivide l'intervallo [a, b] in N intervallini,  si sceglie a caso un numero x i*  nell'i-mo intervallino (i che va da 1 a N),  si fa la somma delle aree dei rettangoli che hanno per base tali intervallini e per altezza il valore che la funzione assume nel numero scelto;  se tale valore, al tendere a 0 dell'ampiezza massima degli intervallini, tende a stabilizzarsi su un unico numero A, allora A viene assunto come area della figura considerata.
Come  osservato, per ricordare che il calcolo è effettuato mediante una somma, l'area è indicata con una S un po' allungata:  A = [a, b] f,  oppure con  [a, b] f(x) dx  (se vuoi puoi pensare intuitivamente il termine come la somma infinita di tanti rettangolini di base infinitesima dx e di altezza f(x) al variare di x tra a e b). I numeri a e b sono i valori tra cui viene considerata f.

    Sopra è illustrato il caso N = 4 ed è evidenziato il quarto rettangolino dell'unione di rettangoli che approssima l'area A della figura rappresentata.  L'area dell'intera unione è:  (x1−x0) · f(x1*) + (x2−x1) · f(x2*) + (x3−x2) · f(x3*) + (x4−x3) · f(x4*)

    Se come figura consideriamo quella tra il grafico di f e una retta orizzontale di ordinata k (ossia il grafico della funzione x → k), come nel caso raffigurato sotto a sinistra, possiamo togliere all'area di f considerata nel modo precedente l'area del rettangolo punteggiato sotto al centro, ossia considerare l'area raffigurata per ultima.

   

È evidente che l'area che sta sotto al grafico della funzione costante k è quella di un rettangolo:  [a, b] k dx = (b−a)k  e che l'area che sta sotto alla funzione x → f(x)−k è pari alla differenza tra  [a, b] f(x) dx  e  [a, b] k dx. In formule:

[a, b] f(x) dx = ∫ [a, b] f(x) k dx + ∫ [a, b] k dx    e    ∫ [a, b] f(x) k dx = ∫ [a, b] f(x) dx − ∫ [a, b] k dx

    Analogamente, a una figura come quella a destra associamo l'area data da:    
[a, b] f(x) dx − ∫ [a, b] g(x) dx
È naturale estendere il procedimento al caso raffigurato sotto, in cui g ha il grafico che contiene tratti sottostanti all'asse x:  nel valutare  [a, b] g(x) dx  basta considerare negativi i contributi dei rettangoli rivolti in basso (sotto, a destra, è raffigurata l'approssimazione della figura delimitata dal grafico di g e dall'asse x per una particolare suddivisione dell'intervallo dato in quattro parti).

    
ab g(x) dx
 

    Il procedimento descritto inizialmente si estende quindi naturalmente anche al caso in cui il grafico di f abbia tratti sottostanti all'asse x, a patto di considerare negativi i contributi dei rettangoli rivolti in basso, e di chiamare integrale invece che area il valore ottenuto:

si fa la somma dei prodotti  (xi xi-1) · f(xi*)  - che sono positivi o negativi a seconda del segno di f(xi*) - e se tale valore, al tendere a 0 dell'ampiezza massima degli intervallini, tende a stabilizzarsi su un certo numero I, I viene assunto come integrale di f tra a e b, e viene indicato con il simbolo  a b f.

    L'uso del simbolo della S allungata e del termine "integrale" è frutto di un accordo raggiunto verso la fine del 1600 dai matematici (e fisici, filosofi, …) Leibniz e Newton.

#7  Sembra facile, pensando al significato di area, dimostrare che tutte le funzioni continue in un intervallo [a, b] sono ivi integrabili, ossia che se f è una di esse si può trovare un unico numero I tale che I = [a, b] f,  ma non lo è affatto.  Noi prendiamo questo per buono (lasciando a chi è interessato una traccia della dimostrazione) e, più in generale, prendiamo per buona la seguente proprietà :

se f è una funzione continua in [a, b] o è ivi limitata e discontinua in al più un numero finito di punti, allora esiste [a, b] f

Questo risultato ci autorizza a scegliere nel modo più comodo la suddivisione dell'intervallo [a, b], dato che si può dimostrare che (nel caso in cui la funzione soddisfi le ipotesi citate) in ogni caso il processo al limite converge verso il valore cercato.

    In particolare, nel caso la funzione sia (inoltre) dispari ( funzione-2) abbiamo che  [−c, c] f = 0 qualunque sia il numero c positivo che scegliamo:  basta prendere rettangoli uguali e diversamente orientati (in su e in giù), simmetricamente rispetto all'origine, in modo che la somma con segno delle aree si annulli.  Nel caso, invece, che la funzione sia (inoltre) pari i rettangoli, presi in modo analogo, hanno arre che si sommano, per cui  [−c, c] f = 2 [0, c] f    

Nel caso di funzione f che (inoltre) sia periodica ( periodo e frequenza) abbiamo che se T è il periodo ed I e J sono due intervalli ampi T, allora  I f = J f.  La figura a lato illustra l'equaglianza di  [a, a+T] f[c, c+T] f  e di  [a+T, a+2T] f.  Per la dimostrazione basta prendere opportunamente rettangolini uguali nei diversi intervalli di ampiezza T.
Nel caso sottostante al precedente è illustrato un caso specifico:  la funzione che ad x associa  x int(x)  (ad x si sottrae la sua parte intera).  È una funzione non continua che tra −1 e 2 ha come integrale 3·0.5 = 1.5.
    Pensando al significato di integrale come area è facile capire (e non sarebbe difficile dimostrare, ragionando sui rettangolini, come abbiamo fatto sopra) che se f e g sono integrabili su [a, b] allora  [a, b] f + g = [a, b] f + [a, b] g  e  [a, b] f g = [a, b] f[a, b] g.  Altrettanto facile è dimostrare che se k è un numero qualunque  [a, b] k f = k ∫[a, b] f  (basti pensare a un cambio di unità di misura sull'asse verticale).
   

Esempio 1
[−2, 2] x3 + 2 dx =
[−2, 2] x3 dx + ∫ [−2, 2] 2 dx = 
(in quanto x → x3 è dispari)
 0 + 4·2 = 8
      Esempio 2
[−2, 2] (x3 + 2)/8 dx =
1/8 ∫ [−2, 2] x3 + 2 dx =
 ... =
 1/8 · 8 = 1

       Un'altra convenzione comoda è quella di ammettere integrali in cui gli estremi di intergrazione siano il primo maggiore del secondo, e, più precisamente, di porre  [b, a] f = − ∫[a, b] f.  In altre parole, si valutano in modo opposto, oltre le parti di area con l'ordinata negativa rispetto a quelle con l'ordinata positiva (come già abbiamo fatto sopra ), anche le parti di area con l'ascissa che viene percorsa in verso opposto.  Nel caso della funzione f raffigurata a fianco, per esempio, possiamo scrivere:
[2, 5] f = 4.5,   ∫ [5, 2] f = −4.5,   ∫ [−1, 3] f = [−1, 2] f + [2, 3] f = −4.5 + 0.5 = −4,   [3, −1] f = −∫ [−1, 3] f = 4.

    Inoltre, se f è integrabile tra a e b, tra b e c, e tra a e c

[a, b] f + ∫ [b, c] f = ∫ [a, c] f

Esempio
g : x → 2 se x > −1,  g : x → x altrimenti
[−3, 2] g = ∫ [−3, −1] g + ∫ [−1, 1] g + ∫ [1, 2] g =
[−3, −1] 2 dx + 0 + ∫ [1, 2] x dx =
 2·2 + 0 + 3/2 = 11/2
   

Nota.  Nell'esempio precedente abbiamo calcolato  ∫ [−3, −1] g  come se g(x) valesse 2 in tutto l'intervallo [−3, −1], non solo in [−3, −1).  Questo è lecito in quanto l'area di un segmento (come l'integrale tra −1 e −1 stesso di una qualunque funzione) è nulla.  Questa osservazione sta, più in generale, dietro alla possibilità di scrivere, anche quando f non è continua in b [a, b] f + ∫ [b, c] f.

#8  Formula fondamentale del calcolo integrale

    In molte situazioni non è affatto facile trovare direttamente l'integrale di una funzione continua. In queste situazioni può essere di aiuto quanto già, informalmente, osservato all'inizio , che possiamo precisare nel seguente modo:

sia f continua in [a, b];   se  G' = f  allora  [a, b] f = G(b) − G(a)

    Quest'ultima espressione viene spesso chiamata formula fondamentale del calcolo integrale in quanto consente di ricondurre il calcolo di un integrale definito di f alla ricerca di una sua primitiva, ossia di una funzione che abbia f come derivata, semplificando notevolmente il lavoro in molti casi. Anch'essa fu scoperta e dimostrata, più o meno contemporanemente e indipendentemente, verso la fine del XVII secolo, dal tedesco Leibniz e dall'inglese Newton. Facciamo alcuni esempi, per confermare la validità della formula, evitando di darne una dimostrazione più rigorosa della spiegazione fatta nell'esempio iniziale.

  f: x → 3x;   ∫ [0, t] f = ?
come G tale che  G' = f  posso prendere  G: x → 1.5x2;  quindi  [0, t] f = ∫ [0, t] 3x dx = G(t) - G(0) = 1.5t2 − 1.5·02 = 1.5t2.
Verifichiamo la cosa col significato di integrale:
l'area che sta tra il grafico di f, l'asse x e le rette x = 0 e x = t è l'area di un triangolo di base t e altezza 3t, ossia è  t·3t/2 = 1.5t2:  OK.
   

 
  [−2, 2] x3 + 2 dx = ?
Dx (x4/4 + 2x) = x3 + 2;  [−2, 2] x3 + 2 dx = [x4/4 + 2x]x=2[x4/4 + 2x]x=−2 = (16/4+4) − (16/4−4) = 8 − 0 = 8.
Ritroviamo in questo modo quanto trovato sopra usando direttamente la definizione di integrale (anche se, questa volta, in modo più complicato).

  ∫ [1, 3] 1/t dt = ?
Dx log(x) = 1/x  ( funzioni esponenziale e logaritmo);   [1, 3] 1/t dt = [log(x)]x=3 − [log(x)]x=1 = log(3) − log(1) = log(3).
In questo caso non sarebbe stato facile trovare tale eguaglianza usando direttamente la definizione di integrale.

    Il fatto che valgano le proprietà che permettono di ricondurre l'integrale di una somma di funzioni e della moltiplicazione per una costante di una funzione agli integrali delle singole funzioni, analoghe alle proprietà già viste per le  derivate, è un'ulteriore conferma del legame tra integrazione e derivazione.

L'integrazione (2ª parte)

#9  Approfondimenti

    A causa del legame tra derivazione e integrazione (espresso dal teorema fondamentale) si è presto diffuso l'uso di  f(x) dx  per indicare un generico termine g(x) tale che g'(x) = f(x);  l'operazione che ad f(x) associa tale termine viene chiamata  (oltre che antiderivazioneintegrazione indefinita, mentre l'aggettivo definita viene riservato all'associazione alla funzione e ad un intervallo [a, b] del numero [a, b] f.
    È un uso che sopravvive per motivi storici, ma che è abbastanza ambiguo, e usato in modi differenti. Per chi lo affronta per la prima volta è bene, dunque, fare alcune osservazioni:
  nel caso dell'integrale definito la variabile "integrata" è muta : si potrebbe scrivere  [-1, 3] f(x) dx  o  [-1, 3] f(t) dt  o  [-1, 3] f,  o usare una variabile diversa da x e t  in modo del tutto equivalente;  invece  ∫ f(t) dt∫ f(x) dx  e  ∫ f(u) du  indicano termini diversi;
  qualcuno usa l'integrale indefinito per indicare un insieme di termini:  ∫ f(x) dx = {g(x) + c / c numero reale}:  ad es.  ∫ 6x dx  starebbe per l'insieme costituito dai termini  3x23x2 + 13x2 + 2/33x2 5, …, ovvero dai termini del tipo  3x2 + c  al variare di c in IR,  altri (come noi faremo) un termine particolare che abbia come derivata  f(x);
  noi useremo quest'ultima convenzione, ogni tanto esplicitando, e ogni tanto no, la possibilità di aggiungere una costante, ossia qualche volta scriveremo  ∫ 6x dx = 3x2 e qualche altra volta  ∫ 6x dx = 3x2 + c  lasciando al lettore la comprensione; il software, più rigorosamente, usa solo la prima convenzione; ad esempio Maple fornisce i seguenti risultati, lasciando all'utente la possibilità di aggiungere una costante qualunque:
  6x dx = 3x2           ∫ x 1 dx = x2/2 x           ∫ t3 + 2 dt = t4/4 + 2t

    Le prime due colonne della tabella seguente, e i primi quattro elementi delle terza, riassumono alcune derivate e alcuni integrali d'uso comune, che è bene pian piano incominciare a memorizzare.  Gli elementi successivi delle terza colonna possono essere consultati all'occorrenza; è, comunque, un buon esercizio verificare che le derivate di essi sono gli elementi della prima.

g(x) dx g(x)
f(x) f '(x) f(x) dx
k
xn
 1/x 
ex
log(x)
ax  (a > 0, a 1)
 loga(x)  (a > 0, a 1)
sin(x)
cos(x)
 tan(x) 
 asin(x) 
 acos(x) 
 atan(x) 
0
n xn−1
−x−2
ex
1/x
ax log(a)
1 / x / log(a)
cos(x)
−sin(x)
cos(x)−2  [= 1+tan(x)²]
1 / √(1−x2)
−1 / √(1−x2)
1 / (1+x2)
kx
xn+1/(n+1)   (se n −1)
 log(x) ,   log(−x) 
ex
x log(x) − x
ax / log(a)
(x log(x) − x) / log(a)
−cos(x)
sin(x)
−log(cos(x)) ,   −log(−cos(x))
x asin(x) + √(1−x2)
x acos(x) − √(1−x2)
x atan(x) − log(1+x2)/2

    Si noti che come integrale di  1/x  si sono messe due espressioni:  log(x) e log(-x).  È da intendersi che la funzione che ad x positivo associa  log(x) + h  e che a x negativo associa  log(−x) + k,  dove h e k sono numeri reali qualunque, ha come derivata 1/x.  Infatti  per x>0  d (log(x)+h) / dx = d log(x) / dx+ d h / dx = 1/x  e  per x<0  d (log(−x)+k) / dx = d log(−x) / dx+ d k / dx = −1/x·( −1) = 1/x.
    Considerazione analoghe valgono per altre funzioni: nella tabella è descritto il caso di  tan(x).

    Esercizio.  Trovare  ∫ (ex + x−2 + x + 3) dx.
    Cerco f tale che df / dx = ex + x−2 + x + 3.
    
    Basta che f sia la somma delle funzioni che in x hanno come derivate  ex,  x−2,  x  e  3.
    dex / dx = ex,  d x−1 / dx = x−2,  d (x2/2) / dx = x,  d 3x / dx = 3 dx / dx = 3·1 = 3.
    Quindi va bene  f(x) = ex − x−1 + x2/2 + 3x
    e, più in generale,  f(x) = ex − x−1 + x2/2 + 3x + c  al variare di c in IR.

#10  Difficoltà dell'integrazione

    Se derivo o integro una funzione polinomiale ottengo ancora una funzione polinomiale.
Ad es. se F(x) = 3x2+x−3√2  ho che  F'(x) = 6x+1  e che  ∫ F(x) dx = x3+x2/2−3√2x+c, al variare di c in R.
    Consideriamo le cosiddette funzioni razionali, ossia esprimibili cone rapporto tra due funzioni polinomiali. La derivata di una di esse è ancora una funzione razionale, come conseguenza immediata delle regola per la derivazione del rapporto di due funzioni.  Ma l'integrazione di una funzione razionale non è detto che sia tale. Ad esempio l'integrale rispetto ad x di 1/x è log(x), o log(−x), che non sono razionali.
[In qualche libro di testo le funzioni razionali che sono rapporto tra due funzioni polinomiali di primo grado vengono chiamate (a sproposito, e, a questo livello, in modo non comprensibile) funzioni omografiche. Il termine corretto è trasformazione lineare fratta (linear fractional transformation, in sigla LFT). Le omografie si occupano di questioni più generali, che qui non possiamo trattare]

    Di fronte a una funzione espressa mediante una formula usuale siamo sempre in grado di esprimerne mediante una formula la derivata e l'integrale?  Dobbiamo precisare che cosa intendiamo per "formula usuale":  se chiamiamo funzioni elementari le funzioni ottenibili mediante successive composizioni di funzioni polinomiali, di elevamento a potenza, esponenziali, logaritmiche, circolari e circolari inverse, la risposta è positiva per la derivazione (abbiamo visto tutti i procedimenti per derivare una funzione elementare ottenendo una funzione elementare), ma è negativa per l'integrazione.
    Ad es. so che  d (1/√(x4+1) / dx = −2x3/√((x4+1)3);  infatti la composizione di x → u = x4+1, u → y = u−1/2 ha come derivata dy/dx = dy/du·du/dx = −1/2u−3/2·4x3 = −2x3/√(u3).  Ma non si riesce a trovare un termine descritto mediante le usuali funzioni che sia uguale a  ∫ (1/√(1+x4) dx.
    Un altro esempio: di fronte a F(x) = ex2 - che sta per e^(x^2) - so che F'(x) = 2x ex2 ma non riesco a trovare alcuna funzione elementare la cui derivata sia F(x). Qualche altro esempio di funzioni, espresse con x come variabile di input, che sono nelle stesse condizioni:  √(x3+1), sin(x2), cos(ex), sin(x)/x, ex/x, 1/log(x). In effetti solo una piccola minoranza delle funzioni elementari ha antiderivata elementare. Vedi come calcolarne gli integrali qui.

Nota. In altre parole, le funzioni elementari non sono altro che le F tali che F(x) può essere espresso con un termine in cui appaiono, applicati direttamente o indirettamente a x, solo i simboli log, exp, sin, cos, tan, arcsin, ..., oltre a quelli di somma, prodotto ed elevamento a potenza (e quelli di divisione e di estrazione di radice, che sono un caso particolare di elevamento a potenza).
Un esempio di funzione non elementare che studierai è la funzione di ripartizione della gaussiana.  Un altro esempio è la funzione n → n! (che è non elementare in quanto coinvolge una quantità di operazioni che cresce con n).

Esercizio   (e  soluzione)

    Si parla anche di funzioni algebriche per indicare quelle ottenibili componendo funzioni razionali ed estrazioni di radici (non solo quadrate), e, più in generale, ogni funzione che sia esprimibile come soluzione di una equazione polinomiale (come la funzione F dell'esempio seguente).
Ad esempio  y = (x - 1)2/3+ k,  che equivale a  y = 3√((x - 1)2) + k,  esprime y come funzione algebrica di x, mentre  y = sin(kx2 no, in quanto compare la funzione seno applicata a kx2.  Un esempio più complesso è la funzione F tale che F(x)5+F(x)4+x = 0, che non è esplicitabile in forma elementare.

Esercizio   (e  soluzione)

    Si parla anche di funzioni trascendenti per indicare le funzioni non algebriche.  Sono tali, ad esempio, le funzioni trigonometriche e le esponenziali.

    Il software di calcolo simbolico ogni tanto esprime gli integrali usando simboli di funzione come sinh e cosh. Queste funzioni sono chiamate rispettivamente seno iperbolico e coseno iperbolico in quanto, in modo abbastanza simile alle funzioni seno e coseno, hanno la caratteristica che D(sinh) = cosh e D(cosh)= sinh. Inoltre, così come la curva x=cos(t), y=sin(t) al variare di t è un cerchio, così la curva x=cosh(t), y=sinh(t) al variare di t è un ramo di iperbole avente le bisettrici dei quadranti come asintoti.  Si ha che  sinh(x) = (exp(x)-exp(-x))/2  e che  cosh(x) = (exp(x)+exp(-x))/2.  Per qualche approfondimento vedi qui.

    Su alcune particolari tecniche che possono essere utili per calcolare alcuni integrali si tornerà alla voce  calcolo di integrali.

    I metodi di calcolo approssimato degli integrali definiti discussi sopra, generalizzati e migliorati, sono presenti in molte applicazioni di tipo matematico. Qui trovi come usare R per effettuare questi calcoli. Qui trovi più in generale come si può usare R per integrare le funzioni.

#11  Numeri trascendenti
    Gli aggettivi trascendente e algebrico sono usati, in matematica, anche con altri significati, che val la pena di richiamare:  si dice (circa dal 1750) trascendente un numero (reale o complesso) che non è soluzione di alcuna equazione polinomiale a coefficienti interi; si dice algebrico un numero (reale o complesso) che non è trascendente, ovvero che è soluzione di qualche equazione polinomiale a coefficienti interi.  Si può provare che π e che e, oltre ad essere irrazionali, sono trascendenti. Le dimostrazioni sono recenti, rispettivamente del 1882 e del 1873. Tuttora vi sono molti numeri che si sanno esprimere mediante gli usuali simboli funzionali e che non si sa se siano trascendenti o no  (ve ne sono anche che non si sa neanche se siano irrazionali o no: vedi).
    Per citare due esempi, ricordiamo che si è dimostrato solo, rispettivamente, nel 1979 e nel 2003 che  2√2  e che  π/atan(1/2)  sono trascendenti.
    Osserviamo, per finire, che la terminologia con cui vengono classificati i numeri e le funzioni ha un'origine storica, legata a un periodo in cui le conoscenze e gli usi della matematica era molto limitati rispetto agli attuali, e non deve essere confusa con i significati che "elementare", "trascendente", … hanno in altri ambiti.  Ricordiamo, per esempio, i numeri non trascendenti ora richiamati e la funzione fattoriale, considerata in uno degli esercizi precedenti, che non è una funzione elementare.

Esercizi:     
 

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