L'integrazione [1ª parte] (2ª)
L'integrazione studia, in generale, problemi di vario genere, da come • risalire al
grafico di una funzione
che rappresenta la posizione di un oggetto a partire da quello della sua velocità
a come • calcolare la probabiltà che una certa variabile casuale continua, di cui sia nota la distribuzione,
possa assumere valori compresi tra due numeri fissati, a come
• determinare il lavoro di una forza di cui sia noto come varia l'intensità al variare del punto di applicazione.
Esempi di questo tipo sono discussi nella parte
Chi abbia già conoscenza dei concetti può saltare i "tre problemi introduttivi" e andare direttamente a
Primo problema (esistenza, e calcolo, dell'antiderivata)
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Qui puoi approfondire queste considerazioni. Dunque: trovare il grafico di s in funzione di t a partire dal grafico di s' in funzione di t equivale a tracciare il grafico dell'area |
In realtà questa è una situazione ideale. Se non in casi particolari (come nel caso di un urto) la velocità non può cambiare bruscamente.
Quanto visto per v vale per una qualunque funzione continua e positiva f: una funzione g che abbia come derivata f (o, come si dice, che sia una antiderivata di f) è la funzione che ad x associa l'area Naturalmente g non è l'unica funzione ad avere f come derivata. Qualunque funzione che abbia come grafico quello di f traslato verticalemente ha la stessa derivata. Ad esempio se definisco Nel caso dell'esempio iniziale, se con s indichiamo la posizione lungo la strada, oltre alla s che ha grafico simile a quello di g, potremmo considerare s con grafico come quello di h o di k, che corrisponderebbo a due altre situazioni in cui la posizione iniziale è, rispettivamente, 30 m avanti o 30 m indietro, ma in cui al passare del tempo la velocità è la stessa della prima situazione: si tratta di tre mezzi che avanzano mantenendo sempre la stessa distanza tra loro. Un esempio di calcolo. |
Cerco g che abbia f: x x come derivata. Prendo Prendo dunque g(x) = x2/2. Verifica: g'(x) = Dx(x2/2) = 2x/2 = x : OK. Avrei potuto prendere anche g(x) = x2/2+k con k costante qualunque. |
Se f è una funzione continua nell'intervallo Questo valore viene chiamato integrale di f sull'intervallo I. |
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Il simbolo ∫ ha la forma di una "S" allungata. Infatti ricorda che l'area che sta sotto alla curva può essere approssimata sommando opportuni rettangolini. | ||||||
Se della funzione f si vuole indicare il termine generico occorre specificare
qual è la variabile che descrive la funzione. Ad esempio nel caso dell'esempio
precedente, A(x) = ∫0x f oppure A(x) = ∫0x t dt oppure A(u) = ∫0u x dx oppure |
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Nota. Abbiamo parlato di "area orientata" per poter cosiderare anche
le situazioni in cui il grafico sta sotto all'asse orizzontale. Il concetto di
area,
invece, non dipende dal sistema di riferimento, e un'area non è mai negativa.
Ad esempio, nel caso della funzione f rappresenata a fianco, mentre possiamo dire che
|
Secondo problema (le variabili casuali continue)
Se l'istogramma della distribuzione statistica di una variabile casuale U è approssimabile col grafico di una funzione continua f per la quale so esprimere il termine f(x), | |
• come posso calcolare, utilizzando f, la probabilità che U cada in un intervallo [a,b]? • come posso calcolare M(U)? |
In questo caso il problema è in qualche modo rovesciato rispetto a quello
del paragrafo precedente:
dobbiamo trovare (per quanto riguarda il primo "•") l'area che sta tra il grafico di f,
l'asse orizzontale e le rette verticali di ascissa a e di ascissa b.
Nel caso rappresentato sopra
D(g)(x) = (x/3−1)2
se
g(x) = (x/3−1)3 + k
dove k è una qualunque costante;
dunque
Nota. La f dell'esempio precedente, definita tra 0 e 3, è
effettivamente una funzione di densità:
non è negativa in
Affrontiamo in modo simile il secondo "•".
|
≈ |
|
e quindi, se U varia in I: |
M(U) = ∫ I x·f(x) dx
Nel caso della f dell'esempio precedente abbiamo che
la media è
g(x) = x4/36−2x3/9+x2/2+k; media = 34/36−2·33/9+32/2 = 3/4. Generalizzando quanto visto per gli istogrammi |
• E come posso trovare la mediana?
Nel caso discreto posso considerare l'istogramma della frequenza cumulata e trovare la
colonna più vicina al 50% (vedi)
In generale, se la variabile aleatoria è definita in un intervallo che ha
per estremo sinistro c, la mediana sarà il valore m
tale che
Nel caso della f dell'esempio precedente, riferito a una variabile casuale definita
in (x/3−1)3 − (−1)3 = 1/2, la cui soluzione è la mediana: (x/3−1)3 = 1/2 + (−1)3 (x/3−1)3 = −1/2 |
Terzo problema (il lavoro di forze variabili)
Abbiamo visto ( proporzionalità inversa)
che il lavoro di una forza costante è dato dal prodotto
di questa per lo spostamento che ha generato nella sua stessa direzione,
come richiamato nel caso illustrato sotto a sinistra. Il grafico a destra illustra la situazione nel caso particolare in cui la forza sia di Che dire nel caso che la forza cambi intensità, come nel caso ilustrato a destra, in cui la forza esercitata via via aumenta? |
L = F · s |
cm ? |
In questo caso particolare (legge di Hooke) sappiamo che la forza da esercitare sulla molla
per ottenerne un allungamento è
proporzionale all'allungamento stesso (almeno fino a
un certo valore di esso, dopo il quale la molla rimane deformata).
Quindi, se indichiamo con s l'allungamento della molla, abbiamo che la
forza da esercitare per ottenerlo è proporzionale al suo stesso valore (almeno fino
ad un certo valore), ossia
è del tipo
Nel caso illustrato sopra, a destra, supponiamo che la molla si allunghi di
∫ [0, s] F che, in base a quanto abbiamo visto, possiamo calcolare o usando il significato di area o cercando un'antiderivata: |
(area del triangolo) = F·s/2 = 1/20·s·s/2 = s2/40
(antiderivata rispetto ad x di 1/20·x) = 1/20·x2/2 = x2/40
la cui differenza per x tra 0 e s dà: s2/40
Quindi, usando le unità di misura, L = s2/40 J/cm2 (la divisione per
cm2 fa sì che il risultato sia J).
Generalizzazione e sistemazione
• Che cos'è e come si calcola l'area. Alla voce area abbiamo visto come si calcola quella dei rettangoli e dei triangoli, e, mediante la scomposizione in triangoli, quella di un poligono qualunque. Abbiamo poi visto diversi modi per determinare l'area di un cerchio. Le figure seguenti illustrano altri due modi per trovare quest'ultimo valore, entrambi generalizzabili ad altre figure:
| ||
-1 | 1 |
Il primo metodo consiste nell'approssimare una figura via via sempre meglio con un istogramma; l'area dell'istogramma
tende a stabilizzarsi su un certo valore che viene assunto come l'area della figura (nel caso illustrato si
tratta dell'area di un semicerchio di raggio uno, che vale
|
Tutti i metodi visti, nel caso dell'area di una figura che può essere interpretata come la parte del piano x,y che sta tra il gafico di una funzione, l'asse x e due rette verticali x=a e x=b, si può dimostrare che sono equivalenti al seguente metodo:
Sopra è illustrato il caso N = 4 ed è evidenziato il quarto rettangolino dell'unione di rettangoli che approssima l'area A della figura
rappresentata. L'area dell'intera unione è:
Se come figura consideriamo quella tra il grafico di f e una retta orizzontale di ordinata k (ossia il
grafico della funzione
È evidente che l'area che sta sotto al grafico della funzione costante k è quella di un
rettangolo:
∫ [a, b] f(x) dx = ∫ [a, b] f(x) − k dx + ∫ [a, b] k dx e ∫ [a, b] f(x) − k dx = ∫ [a, b] f(x) dx − ∫ [a, b] k dx
Analogamente, a una figura come quella a destra associamo l'area data da: | |
∫ [a, b] f(x) dx − ∫ [a, b] g(x) dx | |
È naturale estendere il procedimento al caso raffigurato sotto, in cui g
ha il grafico che contiene tratti sottostanti all'asse x:
nel valutare
|
∫ab g(x) dx | |
Il procedimento descritto inizialmente si estende quindi naturalmente anche al caso in cui il grafico di f abbia tratti sottostanti all'asse x, a patto di considerare negativi i contributi dei rettangoli rivolti in basso, e di chiamare integrale invece che area il valore ottenuto:
si fa la somma dei prodotti
(xi − xi-1)
· f(xi*)
- che sono positivi o negativi a seconda del segno di f(xi*) -
e se tale valore, al tendere a 0 dell'ampiezza massima degli intervallini,
tende a stabilizzarsi su un certo numero I, I viene assunto come integrale di f
tra a e b, e viene indicato con il simbolo
L'uso del simbolo della S allungata e del termine "integrale" è frutto di un accordo raggiunto verso la fine del 1600 dai matematici (e fisici, filosofi, ) Leibniz e Newton.
Sembra facile, pensando al significato di area, dimostrare che tutte le funzioni continue in un intervallo
se f è una funzione continua in [a, b] o è ivi limitata e discontinua in al più un
numero finito di punti, allora esiste
Questo risultato ci autorizza a scegliere nel modo più comodo la suddivisione dell'intervallo [a, b], dato che si può dimostrare che (nel caso in cui la funzione soddisfi le ipotesi citate) in ogni caso il processo al limite converge verso il valore cercato.
In particolare, nel caso la funzione sia (inoltre) dispari
( funzione-2)
abbiamo che |
Nel caso di funzione f che (inoltre) sia periodica
( periodo e frequenza)
abbiamo che se T è il periodo ed I e J sono due intervalli ampi T, allora Nel caso sottostante al precedente è illustrato un caso specifico: la funzione che ad x associa Pensando al significato di integrale come area è facile capire (e non sarebbe difficile dimostrare, ragionando sui rettangolini, come abbiamo fatto sopra) che se f e g sono integrabili su | |
Esempio 1 ∫ [−2, 2] x3 + 2 dx = ∫ [−2, 2] x3 dx + ∫ [−2, 2] 2 dx = (in quanto x → x3 è dispari) 0 + 4·2 = 8 | Esempio 2 ∫ [−2, 2] (x3 + 2)/8 dx = 1/8 ∫ [−2, 2] x3 + 2 dx = ... = 1/8 · 8 = 1 |
Inoltre, se f è integrabile tra a e b, tra b e c, e tra a e c
Esempio g : x → 2 se x > −1, g : x → x altrimenti ∫ [−3, 2] g = ∫ [−3, −1] g + ∫ [−1, 1] g + ∫ [1, 2] g = ∫ [−3, −1] 2 dx + 0 + ∫ [1, 2] x dx = 2·2 + 0 + 3/2 = 11/2 |
Nota.
Nell'esempio precedente abbiamo calcolato ∫ [−3, −1] g
come se
Formula fondamentale del calcolo integrale
In molte situazioni non è affatto facile trovare direttamente l'integrale di una funzione continua. In queste
situazioni può essere di aiuto quanto già, informalmente, osservato all'inizio
sia f continua in [a, b]; se G' = f allora
Quest'ultima espressione viene spesso chiamata formula fondamentale del calcolo integrale in quanto consente di ricondurre il calcolo di un integrale definito di f alla ricerca di una sua primitiva, ossia di una funzione che abbia f come derivata, semplificando notevolmente il lavoro in molti casi. Anch'essa fu scoperta e dimostrata, più o meno contemporanemente e indipendentemente, verso la fine del XVII secolo, dal tedesco Leibniz e dall'inglese Newton. Facciamo alcuni esempi, per confermare la validità della formula, evitando di darne una dimostrazione più rigorosa della spiegazione fatta nell'esempio iniziale.
• ∫ [1, 3] 1/t dt = ?
Dx log(x) = 1/x
( funzioni esponenziale e logaritmo);
In questo caso non sarebbe stato facile trovare tale eguaglianza usando direttamente la definizione di integrale.
Il fatto che valgano le proprietà che permettono di ricondurre l'integrale di una somma di funzioni e della moltiplicazione per una costante di una funzione agli integrali delle singole funzioni, analoghe alle proprietà già viste per le derivate, è un'ulteriore conferma del legame tra integrazione e derivazione.
L'integrazione (2ª parte)
A causa del legame tra derivazione e integrazione (espresso dal teorema fondamentale) si è presto diffuso l'uso di
∫ f(x) dx per indicare un generico termine
È un uso che sopravvive per motivi storici, ma che è abbastanza ambiguo, e usato in modi differenti.
Per chi lo affronta per la prima volta è bene, dunque, fare alcune osservazioni:
• nel caso dell'integrale definito la variabile "integrata" è
• qualcuno usa l'integrale indefinito per indicare un insieme di termini:
• noi useremo quest'ultima convenzione, ogni tanto esplicitando, e ogni tanto no,
la possibilità di aggiungere una costante, ossia qualche volta scriveremo
∫ 6x dx = 3x2
∫ x − 1 dx =
x2/2 − x
∫ t3 + 2 dt =
t4/4 + 2t
Le prime due colonne della tabella seguente, e i primi quattro elementi delle terza, riassumono alcune derivate e alcuni integrali d'uso comune, che è bene pian piano incominciare a memorizzare. Gli elementi successivi delle terza colonna possono essere consultati all'occorrenza; è, comunque, un buon esercizio verificare che le derivate di essi sono gli elementi della prima.
Si noti che come integrale di 1/x si sono messe due espressioni: Considerazione analoghe valgono per altre funzioni: nella tabella è descritto il caso di Esercizio. Trovare ∫ (ex + x−2 + x + 3) dx. Cerco f tale che df / dx = ex + x−2 + x + 3. |
|
Basta che f sia la somma delle funzioni che in x hanno come derivate
ex, x−2, x e 3. dex / dx = ex, d − x−1 / dx = x−2, d (x2/2) / dx = x, d 3x / dx = 3 dx / dx = 3·1 = 3. Quindi va bene f(x) = ex − x−1 + x2/2 + 3x e, più in generale, f(x) = ex − x−1 + x2/2 + 3x + c al variare di c in IR. |
Se derivo o integro una funzione polinomiale ottengo ancora una funzione polinomiale.
Ad es. se
Consideriamo le cosiddette funzioni razionali, ossia esprimibili cone rapporto tra due funzioni polinomiali. La derivata
di una di esse è ancora una funzione razionale, come conseguenza immediata delle regola per la derivazione del rapporto di due funzioni.
Ma l'integrazione di una funzione razionale non è detto che sia tale. Ad esempio l'integrale rispetto ad x di 1/x è log(x), o log(−x), che non sono
razionali.
[In qualche libro di testo le funzioni razionali che sono rapporto tra due funzioni polinomiali di primo grado vengono chiamate
(a sproposito, e, a questo livello, in modo non comprensibile) funzioni omografiche.
Il termine corretto è trasformazione lineare fratta (linear fractional transformation, in sigla LFT). Le omografie si occupano di
questioni più generali, che qui non possiamo trattare]
Di fronte a una funzione espressa mediante una formula usuale siamo sempre in grado di esprimerne mediante
una formula la derivata e l'integrale? Dobbiamo precisare che cosa intendiamo per "formula usuale":
se chiamiamo funzioni elementari le funzioni ottenibili mediante successive composizioni di funzioni polinomiali,
di elevamento a potenza, esponenziali, logaritmiche, circolari e circolari inverse, la risposta è positiva per la derivazione
(abbiamo visto tutti i procedimenti per derivare una funzione elementare ottenendo una funzione elementare), ma è
negativa per l'integrazione.
Ad es. so che
d (1/√(x4+1) / dx = −2x3/√((x4+1)3); infatti
la composizione di x → u =
Un altro esempio: di fronte a F(x) = ex2
- che sta per e^(x^2) -
so che F'(x) = 2x ex2
ma non riesco a trovare alcuna funzione elementare la cui derivata sia
Nota. In altre parole, le funzioni elementari non sono altro che le F tali che
Un esempio di funzione non elementare che studierai è la funzione di ripartizione della gaussiana.
Un altro esempio è la funzione
Si parla anche di funzioni
algebriche per indicare quelle ottenibili
componendo funzioni razionali ed estrazioni di radici (non solo quadrate), e, più in generale, ogni funzione
che sia esprimibile come soluzione di una equazione polinomiale (come la funzione F dell'esempio seguente).
Ad esempio y = (x - 1)2/3+ k, che equivale a y = 3√((x - 1)2) + k, esprime y come funzione algebrica di x, mentre
Si parla anche di funzioni trascendenti per indicare le funzioni non algebriche. Sono tali, ad esempio, le funzioni trigonometriche e le esponenziali.
Il software di calcolo simbolico ogni tanto esprime gli integrali usando simboli di funzione come sinh e cosh. Queste funzioni sono chiamate rispettivamente seno iperbolico e coseno iperbolico in quanto, in modo abbastanza simile alle funzioni seno e coseno, hanno la caratteristica che D(sinh) = cosh e D(cosh)= sinh. Inoltre, così come la curva x=cos(t), y=sin(t) al variare di t è un cerchio, così la curva x=cosh(t), y=sinh(t) al variare di t è un ramo di iperbole avente le bisettrici dei quadranti come asintoti. Si ha che sinh(x) = (exp(x)-exp(-x))/2 e che cosh(x) = (exp(x)+exp(-x))/2. Per qualche approfondimento vedi qui.
Su alcune particolari tecniche che possono essere utili per calcolare alcuni integrali si tornerà alla voce calcolo di integrali.
I metodi di calcolo approssimato degli integrali definiti discussi
Numeri
trascendenti
Gli aggettivi trascendente e algebrico sono usati, in matematica, anche con altri significati, che val
la pena di richiamare:
si dice (circa dal 1750) trascendente un numero (reale o complesso) che non è soluzione di alcuna
equazione polinomiale a coefficienti interi; si dice algebrico un numero (reale o complesso) che non è
trascendente, ovvero che è soluzione di qualche equazione polinomiale a coefficienti interi.
Si può provare che π e che e, oltre ad essere irrazionali,
sono trascendenti. Le dimostrazioni sono recenti, rispettivamente
del 1882 e del 1873. Tuttora vi sono molti numeri che si sanno esprimere mediante gli
usuali simboli funzionali e che non si sa se siano trascendenti o no (ve ne sono anche che non
si sa neanche se siano irrazionali o no: vedi).
Per citare
due esempi, ricordiamo che si è dimostrato solo, rispettivamente, nel 1979 e nel 2003
che
Osserviamo, per finire, che la terminologia con cui vengono classificati i numeri e le
funzioni ha un'origine storica, legata a un periodo in cui le conoscenze e gli usi della matematica era
molto limitati rispetto agli attuali, e non deve essere confusa con i significati che "elementare",
"trascendente",
hanno in altri ambiti. Ricordiamo, per esempio, i numeri non trascendenti ora richiamati e la funzione fattoriale,
considerata in uno degli esercizi precedenti, che non è
una funzione elementare.